Trump e Xi, nemici-amici come Tom & Jerry. Chi ci rimette è l’Europa

“Ho un grande rispetto per il presidente Xi. È mio amico da molto tempo, e credo che finiremo per trovare una soluzione buona per entrambi. Stiamo riorganizzando il tavolo, sono sicuro che saremo in grado di andare molto d’accordo”. Ricominciamo da qui. Era la sera (per noi) del 10 aprile, Trump aveva appena rifilato all […] L'articolo Trump e Xi, nemici-amici come Tom & Jerry. Chi ci rimette è l’Europa proviene da Economy Magazine.

Apr 12, 2025 - 23:24
 0
Trump e Xi, nemici-amici come Tom & Jerry. Chi ci rimette è l’Europa

“Ho un grande rispetto per il presidente Xi. È mio amico da molto tempo, e credo che finiremo per trovare una soluzione buona per entrambi. Stiamo riorganizzando il tavolo, sono sicuro che saremo in grado di andare molto d’accordo”. Ricominciamo da qui. Era la sera (per noi) del 10 aprile, Trump aveva appena rifilato all dazi al 125%. Le Borse, in tutto questo, erano appena rimbalzate in alto, in qualche caso ai massimi storici, dopo l’annuncio della moratoria di 90 giorni per rinegoziare le tariffe appena imposte, per tutti meno che per la Cina, appunto, alla quale avrebbe riservato il giorno dopo un ulteriore rincaro del 20%, portando il totale al 145%. Meno male che sono amici, verrebbe da dire. E invece la chiave dell’azione commercialmente aggressiva del presidente americano non va cercata sul piano privato, come se si trattasse di un fatto personale fra lui e il presidente Xi, bensì nella scelta di un codice comportamentale chiarissimo, che porta con decisione il confronto sul piano sistemico, e globale, in risposta ad una azione di Pechino silenziosa e altrettanto chiara. Il 9 aprile infatti il Consiglio di Stato aveva appena emesso un importante white paper: “China’s Position on Certain Issues in China-US Economic and Trade Relations” nel quale, dando prova di saldezza emotiva, il governo di Pechino esaminava la guerra mondiale dei dazi appena incominciata come se si trattasse di un tafferuglio fra scolari, durante l’ora della ricreazione. In particolare, l’ultimo capitolo è un manifesto programmatico geopolitico offerto all’interlocutore americano senza mezzi termini: “La Cina e gli Stati Uniti possono risolvere le divergenze in ambito economico e commerciale attraverso un dialogo paritario, ed una collaborazione vantaggiosa per entrambi”. Succo del ragionamento, la conclusione: “Lo sviluppo solido, stabile e sostenibile delle relazioni economiche e commerciali fra Cina e Stati Uniti beneficia entrambi gli stati, e conseguentemente il resto del mondo“. È a questo che Trump stava rispondendo, parlando di “una soluzione buona per entrambi”.

Nel frattempo, certo, “stiamo riorganizzando il tavolo”, e cioè “rimettiamo le cose a posto dove devono stare”, per quanto riguarda tutti gli altri paesi. Avendo ereditato l’America da Biden in stato confusionale e depressa, e con il chiaro proposito di ristrutturarla in vista dei prossimi mandati presidenziali, anch’essi sperati di segno repubblicano, Trump non aveva e non ha alcuna intenzione di pagare pegno per le inefficienze del sistema e, gordianamente, taglia di netto l’intrico dei problemi economici internazionali con la sua tabella di “USA Discounted Reciprocal Tariffs”.

Dopo averli prima ampiamente avvertiti (dire “minacciati” sarebbe tendenzioso) – anche nel suo programma elettorale ufficiale – il presidente americano ha colpito tutti i paesi in relazione commerciale significativa con gli Usa, applicando dazi “discount” rispetto ad un calcolo tutto di parte sui costi che l’America deve sostenere per fare entrare le proprie merci in qualsiasi altro mercato, equiparando nel conto dazi propriamente detti, IVA, ed ogni altra forma di “costo” aggiuntivo sui prodotti, il cui beneficiario sia lo stato importatore. Dal punto di vista microeconomico una stravaganza, ma dal punto di vista macro un ragionamento sensato, perché effettivamente tali costi finiscono coll’avvantaggiare l’ente statale destinatario, penalizzando il consumatore estero con sovrapprezzi di natura pubblica.

Ecco perché, rispetto a questa azione, le fibrillazioni di Borsa non sono state considerate rilevanti, dal punto di vista trumpiano, bensì fisiologiche, divenendo invece perentoria la richiesta di negoziazione a livello politico, nazionale o, come nel caso dell’Europa, sovranazionale (e nell’amministrazione repubblicana è ben chiaro che il commercio con l’estero sia materia di competenza dell’Unione, motivo per cui sono certamente inutili i battibecchi intraeuropei sull’opportunità o meno di una negoziazione per stati membri).
Per quanto riguarda il dialogo con la Cina, quindi, Trump sta dicendo: facciamoci questa schermaglia dei dazi (il cui risultato comunque è +20% contro la Cina) per dividerci il mondo in due zone di influenza stabili. Il resto si adegui. Che è esattamente la stessa cosa che sostiene Xi. Una enorme differenza rispetto ai rapporti tenuti un tempo con l’amministrazione democratica, che non metteva dazi formalmente, ma minacciava politicamente la Cina per Taiwan, nonché per le politiche, tutte interne, e quindi sovrane, che accusava di perpetrare in Tibet e Xinjiang.

In effetti, ciò che sta accadendo adesso non è tutta una conseguenza logica e lineare di quanto detto da Trump in campagna elettorale sin dallo scorso luglio quando, sollecitato da Bloomberg, ricordava che “Taiwan è a 9.500 miglia di distanza dall’America, e a sole 68 miglia dalla Cina”. E se questo febbraio il Dipartimento di Stato ha eliminato sul proprio sito la dicitura che affermava che gli Stati Uniti non supportano l’indipendenza dell’Isola, sostituendola con una frase di stampo “cinese” sulla pacifica convivenza sui due lati dello Stretto, resta esplicito comunque che le relazioni con Taiwan sono solo “informali”.
Importante, anche l’assist di Xi sulla centralità delle Nazioni Unite e delle relative organizzazioni internazionali, molto meno indigeste per Trump della Nato (da cui ha pure nei mesi scorsi minacciato di uscire) tanto cara invece al suo predecessore come strumento di politica internazionale, con tutte le conseguenze belliciste che ne sono derivate nei quattro anni di amministrazione democratica.

A voler ben vedere, anzi, Xi Jinping indica già il tavolo sul quale giocare la partita, precisamente quel Wto che proprio gli USA tengono in scacco sostanziale dal 2019, con la mancata nomina dei giudici dell’Appellate Body, per i quali solo dallo scorso anno sono riprese le trattative. Le quali ovviamente non si risolveranno finché Trump non avrà rinegoziato i dazi e la sua nuova politica economica. La Cina ne è perfettamente cosciente, e si guarda bene dal muovere accuse in questo senso, limitandosi ad indicare (anche) nel Wto un utile punto di equilibrio.

Insomma, i due grandi del mondo in questo momento alzano la voce, seminando il panico fra alleati minori e clientes, con l’obiettivo di polarizzare commercialmente il mondo, in un quadro di pacifica convivenza. Ed è anche per questo che Trump fa la voce (moderatamente) grossa con Putin, come a rivendicare sulla Russia una sorta di “compatronato” politico, sovrapposto a quello economico di Xi.

E l’Europa? Con le sue prese di posizione autolesioniste e non costruttive, ostentando la sua ostinata incapacità di dialogo, mostra tutti i limiti dell’ibrida maggioranza Ursula bis. In verità, sconta anche così le invasive politiche dell’ultimo quadriennio ad amministrazione Usa democratica, ad incominciare dall’ircocervo Eu-Us Trade and Technology Council, organo teoricamente europeo, in realtà composto da due commissari europei, un aggiunto, più due ministri del governo Biden nonché lo stesso (allora) segretario di Stato Blinken, nato per omologare le norme commerciali transatlantiche, ma il cui atto costitutivo non è comunque mai stato reso pubblico.

Ecco, tutto considerato, in questo momento, l’Unione Europea, senza nerbo e direzione propria, sembra paradossalmente l’unica ridotta rimasta dei democratici americani, che dopo aver perso le elezioni sembrano proprio voler fare l’opposizione a Trump a partire da Bruxelles. Whatever it takes.

LEGGI ANCHE Politica economica: oltre il rating, il vuoto. E Bruxelles ci incatena

L'articolo Trump e Xi, nemici-amici come Tom & Jerry. Chi ci rimette è l’Europa proviene da Economy Magazine.