La Moka va in Oriente: cosa significa davvero la cessione di Bialetti a Nuo Capital
Era il 1933 quando Alfonso Bialetti rivoluzionò la colazione degli italiani inventando la Moka Express. Oggi, più di 90 anni dopo, quell’icona nazionale cambia bandiera: il 78,56% delle quote di Bialetti Industrie è stato acquistato da Nuo Capital, holding d’investimento legata al magnate cinese Stephen Cheng. Una notizia che fa rumore, non solo per la...

Era il 1933 quando Alfonso Bialetti rivoluzionò la colazione degli italiani inventando la Moka Express. Oggi, più di 90 anni dopo, quell’icona nazionale cambia bandiera: il 78,56% delle quote di Bialetti Industrie è stato acquistato da Nuo Capital, holding d’investimento legata al magnate cinese Stephen Cheng. Una notizia che fa rumore, non solo per la dimensione economica dell’operazione (valutata oltre 42 milioni di euro), ma per il suo valore simbolico.
Cosa significa davvero questo passaggio di proprietà per il Made in Italy? È l’ennesimo segnale di debolezza del sistema industriale italiano o può essere letto come un’occasione strategica per rilanciare un marchio in difficoltà?
La realtà è più complessa di quanto sembri. Bialetti, sebbene nel cuore degli italiani, da tempo navigava in acque agitate. Dopo la quotazione in Borsa nel 2007, l’azienda ha affrontato una concorrenza crescente nel settore delle macchine da caffè automatiche e capsule, accumulando debiti che hanno reso necessario un piano di ristrutturazione nel 2021. L’arrivo di Nuo Capital porta in dote nuova finanza (fino a 49,5 milioni di euro in equity) e un robusto piano di rifinanziamento, segnale che l’intenzione è quella di rilanciare il brand, non smantellarlo.
A rassicurare ci sono anche le dichiarazioni dell’attuale amministratore delegato Egidio Cozzi, confermato nel ruolo: “Continueremo a investire in innovazione e autenticità, mantenendo al centro l’eccellenza del Made in Italy”. Ma si può davvero parlare di “eccellenza italiana” se il controllo è in mani estere?
In un mondo globalizzato, la proprietà di un’azienda non è più sinonimo automatico di snaturamento. La sfida vera è la governance industriale: mantenere i centri decisionali, la produzione e il know-how in Italia, anche se il capitale parla cinese. In questo senso, la promessa di continuità manageriale e il mantenimento delle radici operative a Coccaglio (BS) sono segnali incoraggianti.
Eppure, la vicenda di Bialetti evidenzia una fragilità strutturale. Il tessuto industriale italiano è ricco di marchi iconici ma spesso sottocapitalizzati, poco protetti da strategie di lungo termine. Questo apre la porta a cessioni inevitabili, specie in contesti di crisi. Il punto non è demonizzare gli investitori stranieri, ma domandarsi perché così tanti marchi storici italiani si trovino costretti a cedere il passo per sopravvivere.
Cosa può fare l’Italia per invertire la rotta? Servono politiche industriali più lungimiranti, sostegni mirati all’innovazione delle PMI, strumenti per rafforzare l’accesso al credito. E, soprattutto, una visione strategica che non si limiti a difendere il passato, ma costruisca le basi per un futuro competitivo.
Nel frattempo, la Moka – quella con l’omino coi baffi disegnato da Paul Campani – continua a raccontare l’Italia nel mondo.
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