California, sogno verde sull’asfalto: un ecoponte riunirà la fauna
L'ecoponte di Wallis Annenberg, in costruzione in California, sarà il più grande al mondo e permetterà alla fauna selvatica di spostarsi tra habitat divisi dall'autostrada. L'articolo California, sogno verde sull’asfalto: un ecoponte riunirà la fauna è tratto da Futuro Prossimo.

Pesa quanto 14 elefanti africani e sovrasta dieci corsie di traffico incessante. Cos’è? È la prima trave del più grande ecoponte del mondo, un’opera titanica che sta prendendo forma sopra la Highway 101 in California.
Un progetto da 92 milioni di dollari che è molto più di un semplice cavalcavia: è la nostra ammissione di colpa e, contemporaneamente, un tentativo di rimediare ai danni inflitti alla fauna selvatica. Sissignore: il nuovo ecoponte di Wallis Annenberg è la materializzazione di un cambiamento di prospettiva, e ora vi dico perché.
Una barriera innaturale nel cuore della natura
Quando fu costruita, l’autostrada 101 non era solo un nastro d’asfalto per collegare comunità umane. Era, senza che nessuno ci pensasse troppo, una “barriera formidabile e virtualmente impenetrabile per molte specie selvatiche”. Non mi stupisce: abbiamo questa straordinaria capacità di tagliare in due ecosistemi millenari senza battere ciglio, e poi meravigliarci quando la natura collassa.
L’impatto è stato devastante per tantissimi animali: impossibilità di cacciare, riprodursi, espandersi. Con conseguenze prevedibili eppure ignorate: consanguineità forzata, dispute territoriali in spazi ristretti, morti per collisioni con i veicoli. Questo è ciò che accade quando l’urbanizzazione non tiene conto dell’ambiente: in questo caso, non tiene conto dei corridoi ecologici esistenti da millenni prima del nostro arrivo.
È paradossale come noi, che ci riteniamo così intelligenti, abbiamo bisogno di decenni per capire l’ovvio: non possiamo semplicemente cancellare connessioni naturali senza pagarne le conseguenze.
Ecoponte, un colosso che pesa (letteralmente)
Lo scorso mercoledì 17 aprile, le squadre di costruzione hanno installato la prima trave dell’ecoponte che attraverserà l’autostrada più trafficata d’America. Beth Pratt, Direttrice Regionale della National Wildlife Federation per la California, ha descritto l’esperienza come “catartica”. E posso capirla: vedere quella prima trave calata nel cuore della notte, tra gli applausi, deve essere stato come assistere a un primo timido passo verso la redenzione.
Perché questo ecoponte, lo avete capito, non è un ponticello qualunque: è un gigante buono dell’ingegneria. Le travi (enormi “scatole” di cemento armato) sono il primo livello di un’impalcatura che alla fine misurerà 64 metri per 53. Ogni singola trave pesa tra le 126 e le 140 tonnellate; più pesante (come accennavo) di 14 elefanti africani messi insieme.
Ci vorranno dai 30 ai 45 giorni per installare tutte le 82 travi necessarie. Un lavoro titanico che richiede la chiusura dell’autostrada per cinque ore ogni notte. Ma ne vale la pena, no?
Un modello globale di coesistenza
Questo ecoponte permetterà a puma, volpi grigie, coyote e cervi mulo di attraversare in sicurezza quell’autostrada che aveva tagliato in due il loro habitat naturale, separando le montagne di Santa Monica dalla catena montuosa di Sierra Madre.
Il progetto da 92 milioni di euro sarà terminato nel 2026, e diventerà un modello globale per la conservazione della fauna selvatica in ambienti urbani.
Quello che mi colpisce di più è il messaggio di fondo: possiamo ancora riparare, almeno in parte, ai danni causati. È un atto di umiltà, di riconoscimento dei nostri errori passati. È una struttura che dice: “Sì, abbiamo sbagliato, ma siamo disposti a investire tempo, denaro e ingegno per rimediare”. O sono troppo ingenuo io?
Ad ogni modo, in un mondo dove le catastrofi ecologiche sembrano accumularsi una dopo l’altra, questo ecoponte che “vegeta” letteralmente sopra l’asfalto californiano è una promessa, un sogno verde di coesistenza che, trave dopo trave, prende finalmente forma.
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