Il valore del Made in Italy alla prova dei dazi
Per Tomaso Mariotti, responsabile delle gestioni Value di Banor, la sfida globale della guerra commerciale si vince con un mix di resilienza e capacità di trasformazione che contraddistingue i casi di successo di molti brand iconici L'articolo Il valore del Made in Italy alla prova dei dazi proviene da Economy Magazine.

Dai laboratori di alta moda alle linee di montaggio delle supercar, il Made in Italy ha costruito il proprio successo globale su un mix unico tra artigianalità, innovazione e visione imprenditoriale. Ma nell’era dei nuovi protezionismi – con la minaccia sempre incombente di dazi generalizzati del 20% sui prodotti italiani imposti dagli Usa – anche le eccellenze del Made in Italy rischiano di essere messe a dura prova.
Ma il punto non è solo politico. Il Made in Italy deve oggi confrontarsi anche con un consumatore che cambia: meno impulsivo, più selettivo e più attento ai valori del brand. È in questo contesto che si distinguono le aziende capaci di reinventarsi e anticipare i bisogni, spesso sottovalutate dai mercati. Per individuarne il valore è quindi necessario saper guardare agli investimenti con un approccio analitico, finalizzato a cercare qualità e andare oltre la moda dei cosiddetti “macrotrend”. È il caso della filosofia d’investimento “quality-investing” di Banor, società indipendente specializzata in gestione e consulenza sui patrimoni, adottata da Tomaso Mariotti, responsabile gestioni Value, che gestisce un portafoglio di oltre 3 miliardi di euro ed è a capo di un team composto da 8 professionisti: «Crediamo fermamente che non sia possibile farsi guidare da previsione economiche che sempre più spesso si rivelano sbagliate, motivo per cui basiamo le nostre scelte di investimento sull’analisi fondamentale», ci spiega Mariotti. «Come ci insegna Warren Buffet, investiamo esclusivamente in settori che crescono naturalmente più del PIL globale e in business di qualità, ovvero in aziende che, rispetto ai competitor, si distinguono per i loro vantaggi competitivi, che si traducono in ritorni sul capitale consistentemente più alti».
Tra i settori del Made in Italy più esposti alla minaccia dei dazi c’è senza dubbio il lusso: secondo il Centro Studi di Unimpresa, l’export italiano di moda e lusso verso gli Stati Uniti, che ammonta a circa 12 miliardi di euro, rischia una flessione tra i 600 milioni e 1,2 miliardi di euro. Una nuova turbolenza geopolitica che il Made in Italy ha tutte le carte in regola per vincere, così come ha saputo distinguersi nella crisi epocale che il lusso sta attraversando da circa due anni. Per capirci: secondo l’Osservatorio Altagamma, nel 2024 il comparto si è attestato a 1.478 miliardi di euro (ma erano circa 1.500 nel 2023), con un calo di circa il 2%. «Dopo il Covid è arrivata l’inflazione, poi il rialzo dei tassi e, di conseguenza, dei prezzi» Troppo? Probabilmente sì. Eppure, qualcosa si muove. Beauty, gioielli e occhiali sono le categorie di prodotto che crescono, con un giro d’affari stimato di circa 363 miliardi di euro. E per il 2025 la stima è comunque di una crescita moderata (il 3%). «Rispetto ad altri settori, nel lusso è molto più facile ribaltare sul consumatore finale l’aumento del costo delle materie prime», commenta Mariotti. «Il problema, però, è che la domanda si è dimostrata più elastica rispetto al prezzo di quanto ci si aspettasse».
In questo scenario sono soprattutto i marchi italiani quelli che sembrano resistere meglio di altri. Ferrari, ad esempio, non conosce crisi: ha chiuso il 2024 con ricavi record per 6.7 miliardi di euro e un margine operativo di oltre il 28%, battendo inoltre le stime degli analisti consecutivamente da 18 quarter di fila (4 anni e mezzo!). Il segreto? «Una produzione volutamente limitata, un posizionamento esclusivo e un pricing power senza pari. Una combinazione che alimenta una domanda ben superiore all’offerta, portando alla formazione di liste d’attesa che, in alcuni casi, superano i due anni. Non è un caso che la società sia riuscita a mantenere invariati gli obiettivi finanziari per il 2025, nonostante il rischio dei dazi».
Anche Lamborghini, sotto la guida del Gruppo Volkswagen, ha saputo spingere su nuovi modelli, edizione limitate, e motorizzazioni ibride, chiudendo il miglior anno della sua storia nel 2024, con oltre 3 miliardi di fatturato ed un margine operativo molto vicino a quello di Ferrari. Nel mondo della moda, si distinguono gli esempi virtuosi delle italiane Moncler e Brunello Cucinelli, con Moncler che ha fatto della creatività il cuore pulsante del proprio modello.
«Non è un caso che tutte queste aziende mostrino bilanci solidi, una crescita costante e una governance improntata alla continuità e alla visione di lungo periodo. Un tratto comune a tutte è infatti la presenza di azionisti di riferimento di natura familiare ed amministratori delegati lungimiranti, che favoriscono stabilità e una visione strategica di lungo termine, a differenza di altre realtà soggette alla pressione del breve termine dei mercati finanziari».
Ma in un mondo segnato da instabilità geopolitica, tensioni commerciali e transizioni tecnologiche, il Made in Italy non può permettersi di rimanere ancorato al passato. «Servono investimenti, visione e modelli industriali resilienti, capaci di affrontare shock esterni senza compromettere la qualità e il posizionamento. Le aziende italiane che si sono distinte negli ultimi anni hanno molto da insegnare: non solo per i risultati economici, ma per il modo in cui questi risultati sono stati ottenuti. Attraverso strategie pazienti, filiere controllate, governance solide e un’identità chiara», conclude Mariotti.
E qui s’impone un disclaimer: questa non è una sollecitazione all’investimento. Ma neppure al disinvestimento.
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