Il posto dell’Italia nel mondo di Mattei
Come dice nell’intervista su questo numero di Economy Otto Bitjoka, presidente dell’Unione delle comunità africane in Italia, non più tardi di pochi mesi fa Mali e Niger hanno nazionalizzato le miniere d’uranio togliendone la proprietà ai partner occidentali che le sfruttavano con percentuali di aggio vergognosamente alte. La storia si ripete. Troppo spesso i Paesi […] L'articolo Il posto dell’Italia nel mondo di Mattei proviene da Economy Magazine.

Come dice nell’intervista su questo numero di Economy Otto Bitjoka, presidente dell’Unione delle comunità africane in Italia, non più tardi di pochi mesi fa Mali e Niger hanno nazionalizzato le miniere d’uranio togliendone la proprietà ai partner occidentali che le sfruttavano con percentuali di aggio vergognosamente alte. La storia si ripete.
Troppo spesso i Paesi cosiddetti avanzati ripropongono comportamenti predatori e colonialistici contro partner che oggi però sempre più spesso reagiscono. Contro questo storico tic si era schierato Enrico Mattei, settant’anni fa, e l’ha pagata con la vita, strappatagli dalla mafia con l’attentato aereo di Bescapè, su commissione di qualche scellerato del cartello dei big del petrolio. Mattei voleva guadagnare, e bene, con il suo Eni e voleva mettere al riparo il Paese dal rischio della dipendenza energetica, ma non ”contro”, bensì in accettabile equilibrio con gli interessi dei Paesi produttori; e se oggi nonostante le sanzioni anti-Putin tutto sommato ce la siamo cavata benne lo dobbiamo ancora a lui e alla buona reputazione che Eni, anche dopo Bescapè, ha saputo conservare sui mercati mondiali. Voleva armonia, e l’hanno ucciso. Stile yankee. Quel che c’è non solo di sbagliato ma di antistorico nella linea Trump, non è tanto la spudoratezza con la quale il vecchio influencer biondo innalzato alla Casa Bianca dai demoni della Rete (e vedremo di peggio, statene pur certi perché il voto è ormai in mano ai pazzi) insulta i “parassiti” europei; non è tanto la volgarità che lui esprime (“devono baciarmi il c***”) mentre i suoi predecessori pensavano ma, più educatamente e ipocritamente, non esprimevano. No: l’errore di Trump è un altro: è immaginare un mondo di contrapposizioni inconciliabili. Che non si confanno all’Italia, per fortuna. Un mondo dove un miliardo scarso di persone, tra Europa e Nordamerica pretende di tenerne in scacco altri 7,5 miliardi. Un mondo che non può funzionare.
L’inclusione non è una graziosa concessione, è una mossa da fare per non soccombere: facendo leva su cultura, welfare, qualità della vita, creatività, l’Occidente può e deve cercare di riprendere quota: non facendo leva sulle armi. E l’Italia, al di là dell’opportunismo con il quale oggi la Meloni dialogherebbe pappa-e-ciccia pure con Mefistofele in persona, se sedesse alla Casa Bianca, deve ricordarsi la lezione di Mattei e non solo usarne il nome per un piano di cooperazione economica con l’Africa che al momento sembra più chiacchiera che concretezza. Abbiamo interi quadranti geoeconomici da penetrare, se non in sostituzione degli Stati Uniti in affiancamento al nostro export negli Usa. Ci sono i Paesi arabi, e appunto l’Africa (ne parliamo nel corsivo qui sotto), e poi tra India e Cina ci sono tre miliardi di consumatori, e altri Paesi stanno scoprendo i consumi, dalla Thailandia alla Corea a una parte del Sudamerica. Il piano Tajani per i 700 miliardi di export al 2027 potrebbe rivelarsi persino prudenziale, se riusciremo a continuare ad essere quel “volto cordiale” dell’Occidente nel mondo che Enrico Mattei – pochi giorni fa è stato il 119º anniversario della nascita – riuscì a proiettare in tante nazioni lontane.
Già: e chi non esporta? In realtà abbiamo in Italia tante fior d’aziende tutte orientate sul mercato interno. E qui non c’è export che salvi. Ci sono soltanto due parole chiave: creatività e innovazione. Ce ne vorrebbe una terza, “capitali’: ma quelli, che pure circolano in Italia, non sedimentano quanto dovrebbero e potrebbero sugli investimenti industriali fissi ma semmai deviano verso quelli finanziari redditizi e non laboriosi.
Ah, e un’altra cosa: abituiamoci a navigare con il mare grosso. Speriamo tutti che il contesto internazionale si calmi, ma senza farci troppe illusioni: con Trump siamo saliti sull’ottovolante, e per quattro anni lì saremo. Ma di nuovo: come ricorda, con un filo d’ironia, quel grandissimo imprenditore manager che si chiama Andrea Pontremoli, che è stato a.d. dell’Ibm in Italia e ha lavorato 20 anni negli Usa: «Viviamo in tempi di cambiamenti e di velocità, e queste due dinamiche generano caos. Ebbene: noi italiani, a lavorare nel caos, non ci batte nessuno!». E per favore: diciamo a Giorgia Meloni di non aver paura, e di provarci. Le leadership europee attuali sono talmente mosce che lei potrebbe, volendo, diventare un faro: anche grazie al rapporto con la Casa Bianca, e nell’interesse del nostro Paese.
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