I Paesi che hanno vietato i social agli adolescenti
C’è un consenso molto ampio sul fatto che tra i più giovani i social possano rappresentare un problema e sia necessario ne facciano un uso il più assennato possibile, ma si è meno concordi sull’opportunità che uno Stato adotti provvedimenti a riguardo e su che tipo di misure implementare. Mentre più settori della società in […]

C’è un consenso molto ampio sul fatto che tra i più giovani i social possano rappresentare un problema e sia necessario ne facciano un uso il più assennato possibile, ma si è meno concordi sull’opportunità che uno Stato adotti provvedimenti a riguardo e su che tipo di misure implementare.
Mentre più settori della società in tutto il mondo prendono parte a questo dibattito e mentre le diverse piattaforme social sviluppano autonomamente strumenti per provare a dare un ordine a questa situazione, numerosi Paesi hanno iniziato a varare provvedimenti legislativi, in diverse forme.
In Italia, l’età necessaria per usare i social network è fissata a 14 anni, ma sappiamo bene che allo stato attuale l’iscrizione non rappresenta altro che un’autodichiarazione facilmente aggirabile con alcuni clic, senza particolari controlli accurati.
Proprio per cercare di dare maggior efficacia alla legislazione, è stata presentata una proposta di legge bipartisan firmata dalla senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni e dalla deputata del Partito Democratico Marianna Madia che punta ad alzare l’età del «consenso digitale» a 15 anni e implementare un meccanismo per verificare in modo più efficace l’età di chi si registra alle piattaforme, aggiungendo anche la necessità di un’autorizzazione dei genitori per la sponsorizzazione di prodotti o servizi da parte di minori, arginando così il fenomeno dei cosiddetti “baby-influencer”.
La proposta italiana è molto simile alla legge entrata in vigore in Francia nel 2023, secondo cui sotto i 15 anni ci si può iscrivere sui social soltanto con l’autorizzazione verificata dei genitori.
La scelta dell’età in queste due realtà non è casuale: l’Unione europea, infatti, menziona la questione anagrafica solo nel Gdpr, il regolamento dell’Ue sulla privacy, dove prevede che ogni Stato membro possa stabilire una soglia di età tra i 13 e i 16 anni per accettare la raccolta di dati personali da parte di un sito web.
La soglia dei 13 anni è fissata anche dal Coppa, la legge degli Stati Uniti sulla protezione dei dati dei minori su Internet che rappresenta la misura di riferimento a livello federale sull’argomento, entro la quale ogni Stato può regolarsi a modo suo. Lo Utah, ad esempio, ha stabilito che un minore può registrarsi ai social solo con il consenso dei genitori.
In Cina da molto tempo c’è una notevole attenzione sull’uso dei social e di internet da parte dei minori. Dal 2020 una legge invita le piattaforme social a prendere provvedimenti per limitare il loro uso da parte dei più giovani, e per questa ragione Douyin, la versione cinese di TikTok, ha sviluppato una funzione per cui i minori di 14 anni possono usare la popolare app al massimo 40 minuti al giorno e soltanto tra le sei del mattino e le ventidue.
Lo scorso novembre, anche l’Australia si è unita ai Paesi che hanno legiferato a riguardo, con una misura che entrerà in vigore nei prossimi mesi e che vieterà l’accesso ai social network a tutti i minori di 16 anni, con multe salate per le piattaforme che non si adegueranno. Da queste misure, tuttavia, è stato escluso YouTube: la legge ha tenuto infatti conto dell’«importante scopo educativo» della popolare piattaforma web, spesso utilizzata a livello scolastico.