È giusto vietare i social ai minori?

Tra le tante domande che la società si sta ponendo riguardo i social network, un dubbio più di altri sta attanagliando parecchie persone, dai politici agli psichiatri passando per insegnati, filosofi e influencer: è giusto proibire queste piattaforme online ai ragazzi più giovani?  È giusto imporre quantomeno limiti più stringenti per il loro utilizzo tra gli […]

Apr 24, 2025 - 10:08
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È giusto vietare i social ai minori?

Tra le tante domande che la società si sta ponendo riguardo i social network, un dubbio più di altri sta attanagliando parecchie persone, dai politici agli psichiatri passando per insegnati, filosofi e influencer: è giusto proibire queste piattaforme online ai ragazzi più giovani?  È giusto imporre quantomeno limiti più stringenti per il loro utilizzo tra gli adolescenti? Può essere davvero una buona idea e, soprattutto, ove si volesse procedere in questo senso, sarebbe davvero possibile? A quale costo? Esistono delle possibili alternative? 

Fornire una risposta univoca è tutt’altro che facile, e per comprendere le varie possibilità bisogna scandagliare diversi aspetti sociali, medici e politici: occorre capire prima di tutto l’uso che i ragazzi fanno dei social, i rischi che corrono e i benefici che ne traggono, comprendere cosa può fare la politica a riguardo, leggere gli studi clinici e le ricerche internazionali, ascoltare le opinioni di esperti e senza fare di tutta l’erba un fascio osservare anche i casi al limite che trovano spazio nelle cronache. Perché il tema è senza ombra di dubbio caldo, ma anche scivoloso, in un’epoca storica in cui il dibattito su quale sia il confine tra tutela e censura è quanto mai vivace e scottante. 

I paletti di oggi
Ad oggi, la stragrande maggioranza delle piattaforme social prevede un’età minima per registrarsi al servizio, fissata in genere a 13 anni: un’età che non è stata scelta casualmente, dal momento che è quella indicata dal Children’s Online Privacy Protection Act (Coppa), una legge degli Stati Uniti del 1998 pensata per proteggere i dati dei bambini online. 

Nell’Unione europea, invece, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) consente ai singoli Stati membri di fissare un’età compresa tra 13 e 16 anni per accedere autonomamente ai servizi digitali. In Italia, ad esempio, il limite scelto è stato quello di 14 anni. 

Tuttavia, sappiamo bene che a livello pratico questo limite è facilmente aggirabile, e iscriversi a questi servizi non è né più né meno che un’autocertificazione, senza alcuna verifica inequivocabile dell’età e senza controlli strutturati: basta quindi qualche clic per registrarsi alla piattaforma o al servizio desiderati. 

Rischi per la salute
Chi vorrebbe vietare i social ai minori di 18 anni parte dal presupposto che Internet e i social network non rappresentano un luogo neutro, ma un ambiente in grado di esercitare una forte influenza su numerosi aspetti della personalità dei ragazzi, e in un mondo sempre più rapido, il rischio paventato è che i giovani si trovino in contatto con determinate situazioni troppo presto, troppo velocemente e senza che famiglie, scuola e istituzioni siano in grado di fornire gli strumenti adeguati ad affrontare queste realtà. 

I rischi più spesso citati sono ben noti: imbattersi in situazioni come il cyberbullismo, i disturbi alimentari, o il “grooming” – ovvero l’adescamento da parte di adulti –, l’esposizione a contenuti violenti o pornografici, o finire coinvolti in gare e sfide pericolose – alcuni anni fa emerse ad esempio il fenomeno del “blue whale” – ma anche incontrare elementi che favoriscano una pressione sociale costante, fino a rischi come la dipendenza da schermo e da tecnologie. 

Proprio la velocità della tecnologia ha portato molte critiche ad app come TikTok e a chi ne ha ripreso le funzioni caratterizzate da contenuti brevi e rapidi che si susseguono rapidamente, rischiando di intaccare la capacità di attenzione degli utenti soprattutto in età dello sviluppo. Non è un caso che la stessa piattaforma cinese, come vedremo, ha preso le dovute precauzioni. 

Tra i rischi evidenziati da alcuni medici e psicologi c’è ad esempio quello del cosiddetto abuso digitale precoce, riguardo il quale mettono in guardia sulle conseguenze neurologiche e comportamentali sui più giovani. 

Secondo quanto riportato in uno studio del Surgeon’s General Advisory, alcune aree cerebrali che nei giovani sono in via di sviluppo possono essere influenzate da un abuso precoce dei social e da un’eccessiva esposizione allo schermo. 

Già nel 2014, invece, uno studio dell’Università dell’Iowa metteva in guardia circa il fatto che gli adolescenti siano maggiormente sensibili rispetto agli adulti circa i meccanismi di ricompensa, meccanismi che sappiamo essere estremamente diffusi nei social. Negli oltre dieci anni successivi non solo la tecnologia ha avuto una maggiore diffusione su scala globale, ma il periodo della pandemia di Covid ha aumentato ulteriormente l’esposizione dei ragazzi alle piattaforme online, come molte ricerche hanno mostrato. 

Gli adolescenti, dunque, vedono il loro cervello ancora in via di sviluppo esposto a questi rischi, mentre i meccanismi delle ricompense rapide della validazione sociale tipici delle piattaforme rappresentano un’altra minaccia cui i giovani rischiano di essere estremamente vulnerabili. 

Chi pone l’accento su queste problematiche presenta spesso la possibilità di impedire l’uso dei social fino alla maggiore età come una forma di protezione simile ad altri divieti per i minori ben radicati nella nostra società, come quello di acquistare alcolici e sigarette o di praticare scommesse e gioco d’azzardo. 

Esiste anche la possibilità di non vietare del tutto i social per i minori, ma di introdurre regole più stringenti, come verifiche dell’età più efficaci, tempi di utilizzo limitati, strumenti di parental control obbligatori, blocchi automatici nelle fasce notturne, o divieti di strumenti specifici quali le notifiche push. 

Se alcune di queste proposte sono solo oggetto di dibattito, in alcuni casi sono state implementate sia come strumenti di app specifiche che a livello di legge. TikTok, ad esempio, ha sviluppato una funzionalità che invita gli utenti a interromperne l’utilizzo ogni 90 minuti e ha sfruttato diversi dei suoi più popolari influencer per campagne circa un utilizzo assennato della piattaforma. 

Tentativi di stretta
Proprio la Cina, patria della popolare piattaforma di video, si è mostrata tra i Paesi più attivi nel limitare l’uso dei social tra i minori: già tra il 2006 e il 2018 i ministeri della Cultura e dell’Istruzione avevano stilato in varie occasioni linee guida e regolamenti volti a limitare l’uso eccessivo di internet tra i giovani.

In seguito al recente boom, Douyin, ovvero la versione cinese di TikTok, ha introdotto nel 2021 un limite di 40 minuti al giorno di utilizzo per i minori di 14 anni e la possibilità di usarli esclusivamente tra le sei del mattino e le ventidue. 

E in Europa? Per quanto il nostro continente abbia spesso investito sulla sua funzione di regolatore nell’ambito delle tecnologie, il dibattito è entrato nel vivo solo di recente e i diversi Paesi, oltre le generiche linee guida del Gdpr già menzionate, stanno mettendo in campo le loro strategie: la Francia ha approvato una legge nel 2023 che impone il consenso dei genitori per l’iscrizione alle piattaforme online dei ragazzi minori di 15 anni, mentre l’Italia ha sul tavolo diverse proposte che puntano ad affrontare il tema dell’uso dei social tra i più giovani, regolamentare il fenomeno dei cosiddetti “baby influencer” e lo “sharenting”, ovvero la condivisione a mezzo social delle immagini dei figli piccoli da parte dei genitori. 

Effetti boomerang
Tuttavia, per quanto ci sia unanimità nel riconoscere l’esistenza di problemi circa un abuso delle piattaforme online da parte dei più giovani, non tutti sono d’accordo a usare un approccio rigido o addirittura proibizionista. 

Inserire eccessive restrizioni rappresenta, secondo alcuni esperti, una minaccia ai diritti fondamentali dei minori, da quello all’educazione, a quello all’informazione fino a quello alla libera espressione. 

Diversi esperti, a partire dalla sociologa Sonia Livingstone della London School of Economics, sostengono che i ragazzi hanno bisogno di spazi digitali sicuri, e non di essere esclusi da tali spazi. Lo sviluppo e la dispersività della rete, peraltro, pongono anche un’altra riflessione: il rischio che vietare alcuni spazi del web ai minori – come d’altronde a qualsiasi altra categoria – li costringa a spostarsi in altre aree del web, magari più oscure e problematiche con tutti i rischi connessi, e che quindi anziché vietare potrebbe essere più efficace creare percorsi più monitorati e accompagnati dalle famiglie e da altre figure per rendere il web più sicuro ai più giovani. 

Non va inoltre dimenticata la questione legata alle disuguaglianze sociali. Chi ha genitori presenti, attenti e provvisti delle adeguate conoscenze sui rischi della rete potrà comunque accedere a qualsiasi servizio online con tutto il monitoraggio e la sicurezza del caso. Ma al tempo stesso, in caso di divieti, potrà comunque avere un accesso protetto in presenza dei genitori che gli permetta di accedere a tutti quegli strumenti educativi e in generale utili presenti sul web. 

Non si può invece dire lo stesso di chi, invece, cresce in contesti più fragili, che rimanendo escluso dal web potrebbe rimanere escluso da tutti quei pezzi di vita che si sono almeno in parte spostati in rete, e se da un lato non sarà esposto a certi rischi, dall’altro non avrebbe nemmeno accesso a tutta quella conoscenza che si può trovare online, rischiando di perdere anche grandi opportunità in materia di istruzione, relazioni sociali e lavoro. 

Se spesso ci soffermiamo sugli aspetti negativi dei social network e delle piattaforme online, infatti, non dobbiamo mai dimenticare anche il loro fondamentale ruolo nella società e le straordinarie opportunità che offrono in numerosi ambiti. 

Non si può poi non menzionare un tema più ampio che, in un momento in cui si parla molto di libertà e di «free speech» risulta attuale e trasversale, tocca anche lo spinoso tema dei giovani sui social. C’è infatti da chiedersi in che modo bisognerebbe stabilire cosa sia adeguato ai minori e cosa no e quale sia il limite di età più corretto, al di là di ciò che già è fissato dalla legge ma che dovrà essere affrontato in modo più ampio ove dovesse trasformarsi in un regolamento da applicare a una delle aree più importanti della società di oggi, come Internet. 

Bilanciamento
Ma come spesso succede in questi casi, c’è anche un altro rischio, che il dibattito vada avanti nei salotti e nelle stanze delle decisioni senza prendere minimamente in considerazione i diretti interessati. 

Un sondaggio del 2023 condotto dall’associazione DiTe insieme a Skuola.net tra giovani tra i 9 e i 19 anni ha mostrato come emergano elementi problematici ma anche una consapevolezza diffusa. Il 73% degli intervistati, ad esempio, usa i social solo per guardare contenuti altrui, ma solo il 40% ne discute con i genitori. Solo il 6% posta regolarmente ogni giorno, sempre il 6% – ma solo degli over 13 – si è cancellato da almeno una app e il 50% ha cancellato almeno un profilo su pressione dei genitori. Ben il 65%, invece, per non essere facilmente trovato si è dotato di un profilo fake. 

In generale, non esiste ad oggi una risposta unanime su come gestire il rapporto complesso tra i giovani e le piattaforme online, perché è ovviamente difficile trovare l’equilibrio tra la prevenzione dei rischi e la tutela delle opportunità offerte dal web. 

Se la legge vuole provare a dare una struttura più chiara, non può non tenere conto del ruolo che dovranno per forza giocare (e che già stanno giocando) i sempre più potenti giganti della Big Tech così come di quello delle famiglie, alle quali deve per forza di cose spettare un controllo determinante sull’uso che i loro figli fanno degli strumenti tecnologici. Ma perché l’uso di tali strumenti possa essere assennato, non dobbiamo sbagliare il bersaglio da colpire, concentrandosi su uno strumento dalle immense possibilità come Internet e non sul potenziale uso sbagliato che se ne può fare. Trovare l’equilibrio tra questi elementi è oggi la grande sfida, in un’epoca in cui restare disconnessi rischia sempre di più di tradursi nell’essere tagliati fuori dalla società.