Gianni Dominici, AD di FPA: “Il reclutamento nella PA alla prova della Gen Z”

“Mai come oggi, il mondo del lavoro è stato abitato da età così diverse. Concentrandoci sui giovanissimi, la generazione Z porta con sé un diverso modo di concepire il lavoro, il tempo e la relazione con le realtà, siano esse pubbliche o private. È proprio qui che si gioca una delle sfide decisive per le […] L'articolo Gianni Dominici, AD di FPA: “Il reclutamento nella PA alla prova della Gen Z” proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Apr 24, 2025 - 10:18
 0
Gianni Dominici, AD di FPA: “Il reclutamento nella PA alla prova della Gen Z”

“Mai come oggi, il mondo del lavoro è stato abitato da età così diverse. Concentrandoci sui giovanissimi, la generazione Z porta con sé un diverso modo di concepire il lavoro, il tempo e la relazione con le realtà, siano esse pubbliche o private. È proprio qui che si gioca una delle sfide decisive per le nostre pubbliche amministrazioni: abbiamo bisogno di una PA che sa stare nel tempo giusto.”

Parola di Gianni Dominici, amministratore delegato FPA, in vista del Forum PA che si terrà al Palazzo dei Congressi di Roma dal 19 al 21 maggio.

“L’attrattività delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle nuove generazioni – spiega – è diventata un tema centrale per prefigurare un cambiamento effettivo delle nostre istituzioni in una logica di modernità e di innovazione. D’altronde i termini sono ben noti. Dopo decenni di disinvestimento sulle nostre organizzazioni pubbliche, ora ci troviamo con delle istituzioni dove l’età media è superiore ai 50 anni e con competenze quasi esclusivamente di natura amministrativistica. È evidente come sia diventato urgente affiancare agli attuali lavoratori pubblici nuove risorse, nuove competenze, nuove capacità, nuove energie. È sufficiente riaprire i concorsi, come per fortuna sta accadendo, per ringiovanire le nostre istituzioni? È una condizione necessaria, ma evidentemente non sufficiente, perché probabilmente ciò che era attrattivo trenta anni fa non lo è in questa fase storica piena di cambiamenti e di incertezze che si susseguono a grandissima velocità.”

“Quello che sta cambiando infatti – osserva – non è solo il comportamento dei giovani, ma l’intero orizzonte culturale dentro cui il lavoro viene pensato. Mai come oggi, il mondo del lavoro è abitato da età così diverse. Cinque generazioni che rappresentano spesso visioni del mondo, del tempo e del lavoro: dai tradizionalisti ancora attivi, fino alla Gen Z, portatrice di una domanda radicale di senso, riconoscimento e impatto. Ogni generazione porta con sé bisogni, atteggiamenti e linguaggi propri. I baby boomers valorizzano l’impegno e l’identificazione nel ruolo. La generazione X ha imparato a essere autonoma e pragmatica, a cavallo tra l’analogico e il digitale. I millennials hanno cambiato le aspettative: vogliono flessibilità, equilibrio, cultura del feedback. E poi ci sono loro, i Gen Z: digitalmente fluenti, orientati alla sostenibilità, sensibili alle disuguaglianze, ma anche fragili, esigenti, velocissimi nel cambiare direzione.”

“Concentrandoci sui giovanissimi, coloro che abiteranno la PA del futuro, la generazione Z è la prima a entrare nel mondo del lavoro avendo vissuto fin da giovanissima una sequenza ravvicinata di crisi: la pandemia, la guerra, l’inflazione, la crisi climatica, l’attuale guerra commerciale.”

“Ha imparato presto – spiega Dominici che la stabilità è un’illusione e che la sicurezza non risiede più nei contratti, ma nei contesti. È anche la generazione più connessa, più istruita, più abituata a muoversi tra linguaggi e piattaforme diverse, e per questo meno disposta ad accettare ambienti organizzativi verticali, chiusi, opachi. Non si tratta solo di gusti, linguaggi o abitudini, ma di un diverso modo di concepire il lavoro, il tempo e la relazione con le realtà, siano esse pubbliche o private. La generazione Z, inoltre, mostra una sensibilità forte verso il benessere individuale, la flessibilità, la sostenibilità e il senso dell’agire quotidiano. Ma, come mostra il report Disi 2025, non sempre questa sensibilità si traduce in scelte coerenti o in comportamenti strutturati. Siamo di fronte a un cambiamento culturale profondo ma non ancora compiuto, che richiede alle istituzioni pubbliche un salto di comprensione e di linguaggio. Questo cambio di paradigma spiazza molte organizzazioni, abituate a considerare il reclutamento come un atto unilaterale, e non come una relazione da costruire.”

“Ma proprio qui – avverte – si gioca una delle sfide decisive per la pubblica amministrazione: essere in grado di riconoscere i tratti culturali delle nuove generazioni e di ridefinire i propri modelli di funzionamento per intercettarli. Non si tratta di assecondare un gusto generazionale passeggero, ma di comprendere che il tempo sociale è cambiato, e con esso anche le dinamiche del coinvolgimento. Non è vero, infatti, che i giovani non vogliano lavorare nel pubblico (e le nostre indagini lo dimostrano): non vogliono lavorare in organizzazioni che non li capiscono. Cercano ambienti capaci di valorizzare le competenze, dare spazio al pensiero critico, offrire un equilibrio tra vita e lavoro. In assenza di questi elementi, prevale il disincanto: come mostra uno studio pubblicato dall’Osservatorio Delta Index, la Gen Z non tollera leadership tossiche, mancanza di welfare interno, ambienti in cui “la cultura del controllo prevale sul riconoscimento”.”

“È in questi contesti – afferma – che nascono fenomeni come quiet quitting, job hopping, o più semplicemente la decisione di non candidarsi affatto. Un’analisi approfondita ce la restituisce anche Gigroup, sulla base di una survey somministrata ad un campione di italiani dalla quale emerge che i più giovani cercano nel lavoro indipendenza, sicurezza economica ma anche un’opportunità di crescita delle competenze. Il posto di lavoro viene quindi visto non come un traguardo, ma come una tappa importante, ma anche temporanea, nel proprio percorso professionale. Nell’ottica della Gen Z, job hopping non è fuga, ma strategia identitaria. È un modo per esplorare sé stessi attraverso il lavoro, per cercare contesti in cui sentirsi riconosciuti, valorizzati, connessi. È una forma di apprendimento esperienziale, che sostituisce la traiettoria verticale con una geografia del senso: non salire, ma muoversi, cercare, provare. Le organizzazioni pubbliche, tuttavia, non sono strutturate per accogliere questa logica mobile. Premiano la permanenza, diffidano del cambiamento frequente, legano il merito alla durata.”

“Ma è proprio qui – commenta – che si apre una frattura generazionale: mentre i giovani cercano esperienze trasformative, le istituzioni offrono spesso posizioni stanziali, con poche leve per apprendere, rischiare, innovare. La fedeltà non può più essere misurata in anni di servizio, ma in intensità di coinvolgimento, in contributo effettivo, in relazione viva con l’organizzazione. E dobbiamo accettare l’idea che, per la nuova generazione, andarsene può essere un segno di lucidità, non di debolezza.”

“Infine, il tema dell’intelligenza emotiva. Un articolo di Six Seconds del luglio 2024 esplora come l’intelligenza emotiva giochi un ruolo cruciale nel coinvolgimento e nella produttività della generazione Z sul posto di lavoro. Contrariamente agli stereotipi, i giovani dimostrano un forte desiderio di connessione e significato nelle loro attività lavorative. Abituati fin da piccoli a gestire relazioni ibride, analogiche e digitali, sincrone e asincrone, personali e pubbliche, questi ragazzi hanno sviluppato una forma di alfabetizzazione emotiva spesso superiore a quella delle generazioni precedenti. Non temono di parlare di ansia, di fragilità, di benessere mentale. Al contrario: considerano la capacità di esprimere e gestire emozioni una competenza cruciale, anche nel contesto lavorativo.”

“La pubblica amministrazione oggi – sottolinea Gianni Dominici non può ignorare tutto questo. Se non riesce a sincronizzarsi con le trasformazioni culturali in atto, rischia non solo di perdere energie preziose, ma di diventare irrilevante. La Gen Z è portatrice di un’idea di lavoro che è anche un’idea di società: dinamica, collaborativa, distribuita. Per leggere questo scollamento non basta una griglia sociologica o psicologica. Serve una lente temporale. Ed è proprio questa che ci offre Hartmut Rosa, uno dei pensatori più lucidi della contemporaneità. Nel suo lavoro sull’accelerazione sociale, Rosa sostiene che la crisi delle istituzioni moderne è una crisi di relazione con il tempo. L’accelerazione tecnica, culturale e sociale ha reso instabile il rapporto tra i sistemi e il mondo vissuto Le istituzioni, se non si ristrutturano in profondità, perdono la sincronizzazione con la vita delle persone. Ma l’accelerazione si riscontra anche e soprattutto nel mondo del lavoro. L’occupazione in uno stesso contesto non dura quasi mai l’intera vita professionale ma, al contrario, cambia a ritmo più alto nelle nuove generazioni.

La tesi – argomenta – è semplice e suggestiva: quando l’amministrazione pubblica non riesce più ad essere in linea con i mutamenti in atto non è in grado di entrare in risonanza con i nuovi bisogni. Risuonare significa, al contrario, entrare in rapporto con ciò che accade, senza fuggire né controllare. Significa lasciarsi colpire, ascoltare in profondità, rispondere in modo trasformativo. Una pubblica amministrazione risonante non rincorre il cambiamento, ma lo abita. Non chiude il tempo dentro la norma, ma porta la norma nel tempo della vita.

Per costruire una forma amministrativa capace di risonanza, serve una Pa aumentata. Non aumentata in senso quantitativo – più risorse, più personale, più competenze – ma in senso qualitativo e relazionale. Aumentata perché più sensibile, più porosa, più presente. Una pubblica amministrazione che non si protegge dietro la forma, ma si espone al contesto, che non rinuncia alla regola, ma la interpreta alla luce del senso.

Una Pa aumentata – illustra – è, in altre parole, una Pa che risuona perché si lascia attraversare. Questa nuova dimensione si realizza lungo tre assi trasformativi”.

  1. Le persone. La prima leva di risonanza è la qualità umana e professionale di chi lavora nella Pa. La burocrazia aumentata riconosce che non bastano esecutori fedeli, servono interpreti consapevoli. Funzionari e dirigenti devono essere messi nelle condizioni di esercitare soluzioni innovative, di prendersi cura dei problemi reali, di connettere norme e contesto, regole e sperimentazione. Una Pa aumentata non infantilizza i suoi operatori, ma li responsabilizza. E questo non si ottiene solo con la formazione tecnica, ma con un ripensamento delle condizioni organizzative: tempi giusti, leadership che ascolta, margini di manovra, cultura della fiducia.
  2. Le tecnologie. Una pubblica amministrazione aumentata non subisce il digitale, ma lo abita come spazio di possibilità. Le tecnologie, se progettate con intelligenza, non sono solo strumenti di efficienza, ma ambiente abilitante: moltiplicano le connessioni, facilitano la partecipazione, aprono nuovi linguaggi. Il digitale non deve replicare la burocrazia esistente in formato elettronico, ma trasformare l’esperienza amministrativa: renderla accessibile, dialogica, comprensibile. In questa chiave, la tecnologia non è una scorciatoia per fare prima, ma una piattaforma per costruire fiducia.
  3. Le relazioni. Una Pa aumentata è una Pa relazionale. Non si chiude nei propri uffici, ma si connette con le energie diffuse della società: cittadini, imprese, territori, reti civiche, istituzioni. Riconosce che il valore pubblico non si genera da soli, ma si costruisce insieme, nella frizione, nel confronto, nella collaborazione. Le relazioni sono spazi di apprendimento reciproco, dispositivi di ascolto, contesti di adattamento. Solo in una Pa aumentata le relazioni non sono un intralcio, ma il cuore del servizio pubblico.

L’esperienza del Pnrr ha mostrato che non è sufficiente accelerare i processi: occorre cambiare mentalità. Una Pa disallineata non è solo lenta, è inefficace. Una Pa aumentata, al contrario, è una Pa che sa stare nel tempo giusto, che comunica con generazioni diverse, che anticipa e non solo reagisce. In definitiva, una PaA che torna ad abitare il proprio ruolo: non come apparato che gestisce, ma come infrastruttura che accompagna.

L'articolo Gianni Dominici, AD di FPA: “Il reclutamento nella PA alla prova della Gen Z” proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.