Fotovoltaico e agricoltura fra opportunità e nodi da sciogliere
In un contesto di costi energetici in continua crescita, l’Italia si trova ad affrontare una situazione critica, con tariffe elettriche tra le più alte d’Europa. Secondo recenti dati, l’energia elettrica in Italia costa ben l’82% in più rispetto alla Francia, il 78% rispetto alla Spagna e il 38% rispetto alla Germania. Un dato di fatto […] L'articolo Fotovoltaico e agricoltura fra opportunità e nodi da sciogliere proviene da Economy Magazine.

In un contesto di costi energetici in continua crescita, l’Italia si trova ad affrontare una situazione critica, con tariffe elettriche tra le più alte d’Europa. Secondo recenti dati, l’energia elettrica in Italia costa ben l’82% in più rispetto alla Francia, il 78% rispetto alla Spagna e il 38% rispetto alla Germania. Un dato di fatto che spingerà sempre più famiglie e imprese a cercare soluzioni alternative per ridurre i consumi e i costi. Una di queste alternative è rappresentata dal fotovoltaico, sempre più utilizzato anche in agricoltura, sia per l’autoconsumo che per la produzione di energia da vendere alla rete.
Attualmente, in Italia, sono stati installati circa 5 gigawatt di impianti rinnovabili nel settore agricolo, un’area che include biogas, fotovoltaico, idroelettrico e biomasse. In particolare, gli impianti fotovoltaici in ambito agricolo hanno raggiunto una capacità installata di circa 3 gigawatt, grazie a circa 46.000 impianti. E, come emerso dal recente Rapporto sulle Agroenergie di Confagricoltura, circa il 60-70% delle aziende agricole di grandi dimensioni (oltre 90 ettari) sarebbe interessato ad ampliare la propria capacità di generazione fotovoltaica.
C’è anche un grande potenziale nelle terre agricole inutilizzate: secondo i dati, ci sono circa 4.000 ettari di terreni che potrebbero ospitare impianti fotovoltaici o agrivoltaici, una quota destinata a crescere nei prossimi anni, soprattutto una volta risolte le incertezze normative legate al decreto Agricoltura.
Per comprendere meglio lo stato attuale del mercato e il potenziale del fotovoltaico in Italia, sia in ambito domestico che agricolo, e le opportunità di risparmio offerte dagli impianti fotovoltaici e sulle sfide che ancora ostacolano la loro diffusione su larga scala, abbiamo intervistato Alessandro Rocca, ingegnere meccanico con una lunga esperienza nel settore, socio fondatore e responsabile tecnico di Resit (Renewable Energy Systems Innovation Technology), azienda specializzata nella progettazione e installazione di impianti a fonti rinnovabili.
Perché non si riesce a far decollare in Italia il fotovoltaico, nonostante – conti alla mano – l’investimento per un piccolo impianto fotovoltaico ad uso privato verrebbe ammortizzato in pochi anni da una famiglia grazie al risparmio in bolletta?
La produzione di energia elettrica in Italia viene effettuata per oltre il 50% ancora con combustibili fossili, in particolare con il gas, che oggi è il combustibile più caro.
Gli italiani pagano l’energia più cara in Europa. Bisogna diminuire decisamente la produzione elettrica da combustibili fossili, aumentando gradualmente ma decisamente la produzione con fonti endogene e rinnovabili, abbondantemente disponibili in Italia. Non si riesce a far decollare velocemente il fotovoltaico (come l’eolico, l’idroelettrico, la geotermia) perché si va contro gli interessi del gas, interessati sia all’importazione di enormi quantità di gas dall’estero, sia per gli enormi investimenti che ancora ci vengono proposti (tubazioni, rigassificatori, eccetera). Conti alla mano, se oggi una famiglia installa un piccolo impianto fotovoltaico domestico di circa 6kW, sul tetto, con un costo ormai di circa 6-7.000 euro, questo impianto produrrà, a seconda dell’insolazione, circa 7.000-7.500 kWh/anno; si risparmierebbe alla fine in bolletta circa 2.000 euro l’anno. E in poco più di 3-4 anni il costo dell’impianto, destinato a durare fino a 30 anni, verrà ammortizzato. Evidentemente non c’è storia, e i numeri sono ancora più interessanti per gli impianti più grandi, sui tetti dei capannoni industriali o sui grandi terreni.
Si può calcolare invece, in percentuale, a quanto potrebbe ammontare il risparmio grazie alla messa in opera di un impianto di dimensioni medie su un capannone industriale?
Un impianto fotovoltaico di medie dimensioni di circa 100 kW, sul tetto, con un costo ormai di circa 70-80.000 euro, produrrà, a seconda dell’insolazione, circa 130.000-140.000 kWh/anno; si risparmierebbe alla fine in bolletta circa 40.000 euro l’anno. E in poco meno di 3 anni il costo dell’impianto, destinato a durare fino a 30 anni, verrà ammortizzato.
Il fotovoltaico nel settore agricolo è un tema quanto mai attuale, anche alla luce del Decreto Agricoltura. Quali le maggiori criticità (ed opportunità) nel settore?
A implementare l’uso di energia green sta pensando sempre più anche il settore agricolo (5 gigawatt di impianti rinnovabili su tutto il territorio italiano, tra biogas, fotovoltaico, idroelettrico e biomasse). Sono tantissimi gli impianti fotovoltaici realizzati da aziende agricole e imprenditori agricoli in Italia, sia per autoproduzione e autoconsumo sia come investimento indiretto (affitto dei terreni per la realizzazione degli impianti). La capacità installata con impianti fotovoltaici in ambito agricolo risulta pari a 3 GW, generata da 46.000 impianti (fonte Osservatorio ConfAgricoltura, febbraio 2025). Il Decreto Agricoltura ha erroneamente vietato la realizzazione di grandi impianti fotovoltaici su terreno agricolo, senza fare il giusto distinguo tra terreni produttivi e terreni marginali o “pietraie”. Secondo i più recenti dati Istat, la superficie agricola totale in Italia (SAT) è pari a 17,5 milioni di ettari, mentre la superficie agricola utilizzata (SAU) misura 12,8 milioni di ettari. Ciò significa che la differenza, e cioè 5 milioni di ettari, rappresenta un’enormità di terreni definiti agricoli catastalmente ma che di fatto non lo sono o non sono comunque utilizzabili in agricoltura. Per il raggiungimento, nei prossimi dieci anni, degli obiettivi assegnati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) e dai piani della Comunità Europea, basterebbe l’1% dei terreni in questione. Bisogna utilizzare in primis i tetti dei capannoni, ma bisogna utilizzare anche i terreni; con un’attenta valutazione agronomica si può dimostrare quali siano abbandonati, marginali o scarsamente produttivi.
Cosa si potrebbe e dovrebbe fare quindi?
Si dovrebbe fare un’attenta distinzione per i terreni di pregio e quelli non utilizzabili per l’agricoltura. La distinzione può essere facilmente operata richiedendo l’esame pedologico del terreno tramite valutazione LCC (Land Capability Classification), da sottoporre, ad esempio, al Dipartimento Agricoltura della Regione interessata. Quando alcuni Enti emettono normative limitanti per il fotovoltaico su terreni agricoli (in primis il Decreto Agricoltura e anche altre normative regionali), senza distinzione per i terreni “fermi” da anni o non utilizzabili, non difendono l’agricoltura ma favoriscono i petrolieri, in senso lato.
Ci fa un esempio virtuoso di azienda agricola green?
Ne potrei fare tanti. Uno fra tutti, l’azienda agrituristica polifunzionale Serragiumenta, 550 ettari di estensione, situata ad Altomonte, in provincia di Cosenza, che ha realizzato negli ultimi anni numerosi impianti fotovoltaici; il più significativo è un impianto da circa 2 MWp di potenza, progettato da Resit, ed è in grado di produrre circa 2.800 MWh/anno. Con il risultato che in autunno-inverno, dalle ore 9 alle ore 16, e nel periodo primavera-estate, dalle 8 alle 19, l’azienda agricola può permettersi di non prelevare energia dalla rete elettrica, soddisfacendo così non solo il fabbisogno aziendale ma cedendo anche energia alla rete nazionale. Serragiumenta, tramite il fotovoltaico, riesce anche a realizzare profitti, che le permettono di reinvestire nelle sue molteplici attività agricole e turistiche.
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