Esselunga firma un’intesa con i sindacati che ferma l’agitazione dei rider

In attesa delle conclusioni della trattativa nazionale, rientra lo sciopero dei lavoratori di di Brivio & Viganò Logistics, Cap Delivery e Deliverit. Il parere le legale sul tema delle condizioni dei lavoratori delle società appaltanti L'agitazione sindacale che ha portato allo stop dei driver della spesa online e alla conseguente cassa integrazione dei lavoratori Esselunga del deposito di via Dione Cassio di Milano, rientrata sabato 3 maggio, ha trovato una soluzione temporanea con un accordo tra le parti in attesa della trattativa a livello nazionale. Tuttavia la questione degli appalti di servizio, soprattutto nella gdo, rimane un tema spinoso e complesso. Mark Up ha chiesto allo Studio Legale Daverio & Florio qual è lo stato delle cose in termini normativi circa l'armonizzazione tra le condizioni di lavoro dei dipendenti delle società appaltatrici in confronto con quelli delle società appaltanti. Ecco quanto emerge. (*) Avvocato Alessandro Daverio, Socio dello Studio Legale Daverio & Florio e l’Avvocato Antonella Lo Sinno, Managing Partner dello Studio Legale Daverio & Florio. Sempre di più i lavoratori impiegati negli appalti sono al centro del dibattito nel mondo del lavoro. Nello specifico della GDO, nelle ultime settimane alcuni lavoratori (corrieri) impiegati negli appalti affidati da un’azienda del settore hanno, tra l’altro, richiesto di ricevere trattamenti speciali per determinati tipi di attività (es.: consegne al piano e con carico/scarico). Ne è nato uno sciopero con ripercussioni anche sull’azienda committente. La vicenda - tuttora in corso – offre spunti di riflessione comuni anche ad altri settori merceologici (logistica) rispetto alla individuazione dei trattamenti che spettano ai lavoratori degli appaltatori e della responsabilità per gli stessi delle aziende committenti. Avvocato Alessandro Daverio dello Studio Legale Daverio & Florio Nel corso degli anni, la materia è stata caratterizzata dall’introduzione di numerosi vincoli da parte del legislatore, da ultimo con l’introduzione del comma 1bis all’art. 29 del d. lgs. 276/2003 (c.d. “legge Biagi”) da parte del c.d. Decreto PNRR (D. L n. 19/2024). La norma da un lato ha individuato il trattamento, economico e normativo “corretto” che i lavoratori impiegati nell’appalto dovrebbero ricevere e dall’altro ha esteso la responsabilità solidale dei Committenti. Ciò dal presupposto che i dipendenti degli appaltatori, in generale, riceverebbero trattamenti considerati non congrui. Avvocato Antonella Lo Sinno, managing partner dello Studio Legale Daverio & Florio La norma in questione ha quindi imposto di corrispondere un trattamento economico e normativo “complessivamente non inferiore” a quello del contratto collettivo di riferimento. Il riferimento di cui alla norma non coincide necessariamente con il CCNL del committente (anzi) e nemmeno con quello abitualmente applicato dall’Azienda appaltatrice ma è, invece, quello che risulta «applicato nel settore e per la zona connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto» La disposizione, quindi, non obbliga ad applicare un certo contratto collettivo ai propri dipendenti quanto piuttosto garantire loro trattamenti non inferiori a tale parametro. Il problema principale risulta quindi la corretta individuazione di questo parametro (CCNL più applicato nel settore nella zona “strettamente connessi” con l’attività dell’appalto). Ciò anche perché non vi sono criteri oggettivi e certi che ne rendano sicura la individuazione. Tra le altre cose, mancano dati certificati su quale sia il contratto collettivo maggiormente applicato in una data zona. Lo stesso perimetro delle “attività” non è poi facilmente individuabile; esistono contratti collettivi (Multiservizi) che disciplinano i rapporti di lavoro di più categorie merceologiche. Questa oggettiva incertezza pone gli appaltatori nella non facile condizione di dover verificare, volta per volta e appalto per appalto, i trattamenti “economici e normativi” che possano contestualmente soddisfare tutte le caratteristiche ed anche le Aziende committenti che per questi trattamenti sono responsabili in solido. Anche i trattamenti “normativi” debbono essere equivalenti a quelli del contratto di riferimento il che non è meno problematico. Per alcuni istituti, ad esempio il numero di giorni di ferie, l’operazione è superabile ma in altri casi (la disciplina dell’orario di lavoro) è davvero difficile stabilire quale sia il trattamento “migliore”. Nel settore pubblico (dove le regole sono in parte diverse) l’ANAC (“Associazione Nazionale Anticorruzione”) ha pubblicato linee guida che si propongono come criterio generale per verificare l’equivalenza tra i diversi contratti collettivi. Certamente l’indicazione ha una sua utilità anche in chiave analogica nel settore privato; tuttavia, le incertezze e le variabili sono ancora numerose. Come accennato, questo tema riguarda anche (e forse soprattutto) il committente. È noto, infatti, che per tutte le voci retrib

Mag 7, 2025 - 16:41
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Esselunga firma un’intesa con i sindacati che ferma l’agitazione dei rider
In attesa delle conclusioni della trattativa nazionale, rientra lo sciopero dei lavoratori di di Brivio & Viganò Logistics, Cap Delivery e Deliverit. Il parere le legale sul tema delle condizioni dei lavoratori delle società appaltanti

L'agitazione sindacale che ha portato allo stop dei driver della spesa online e alla conseguente cassa integrazione dei lavoratori Esselunga del deposito di via Dione Cassio di Milano, rientrata sabato 3 maggio, ha trovato una soluzione temporanea con un accordo tra le parti in attesa della trattativa a livello nazionale.

Tuttavia la questione degli appalti di servizio, soprattutto nella gdo, rimane un tema spinoso e complesso. Mark Up ha chiesto allo Studio Legale Daverio & Florio qual è lo stato delle cose in termini normativi circa l'armonizzazione tra le condizioni di lavoro dei dipendenti delle società appaltatrici in confronto con quelli delle società appaltanti. Ecco quanto emerge.

(*) Avvocato Alessandro Daverio, Socio dello Studio Legale Daverio & Florio e l’Avvocato Antonella Lo Sinno, Managing Partner dello Studio Legale Daverio & Florio.

Sempre di più i lavoratori impiegati negli appalti sono al centro del dibattito nel mondo del lavoro. Nello specifico della GDO, nelle ultime settimane alcuni lavoratori (corrieri) impiegati negli appalti affidati da un’azienda del settore hanno, tra l’altro, richiesto di ricevere trattamenti speciali per determinati tipi di attività (es.: consegne al piano e con carico/scarico). Ne è nato uno sciopero con ripercussioni anche sull’azienda committente. La vicenda - tuttora in corso – offre spunti di riflessione comuni anche ad altri settori merceologici (logistica) rispetto alla individuazione dei trattamenti che spettano ai lavoratori degli appaltatori e della responsabilità per gli stessi delle aziende committenti.

Avvocato Alessandro Daverio dello Studio Legale Daverio & Florio

Nel corso degli anni, la materia è stata caratterizzata dall’introduzione di numerosi vincoli da parte del legislatore, da ultimo con l’introduzione del comma 1bis all’art. 29 del d. lgs. 276/2003 (c.d. “legge Biagi”) da parte del c.d. Decreto PNRR (D. L n. 19/2024). La norma da un lato ha individuato il trattamento, economico e normativo “corretto” che i lavoratori impiegati nell’appalto dovrebbero ricevere e dall’altro ha esteso la responsabilità solidale dei Committenti. Ciò dal presupposto che i dipendenti degli appaltatori, in generale, riceverebbero trattamenti considerati non congrui.

Avvocato Antonella Lo Sinno, managing partner dello Studio Legale Daverio & Florio

La norma in questione ha quindi imposto di corrispondere un trattamento economico e normativo “complessivamente non inferiore” a quello del contratto collettivo di riferimento. Il riferimento di cui alla norma non coincide necessariamente con il CCNL del committente (anzi) e nemmeno con quello abitualmente applicato dall’Azienda appaltatrice ma è, invece, quello che risulta «applicato nel settore e per la zona connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto»

La disposizione, quindi, non obbliga ad applicare un certo contratto collettivo ai propri dipendenti quanto piuttosto garantire loro trattamenti non inferiori a tale parametro. Il problema principale risulta quindi la corretta individuazione di questo parametro (CCNL più applicato nel settore nella zona “strettamente connessi” con l’attività dell’appalto). Ciò anche perché non vi sono criteri oggettivi e certi che ne rendano sicura la individuazione. Tra le altre cose, mancano dati certificati su quale sia il contratto collettivo maggiormente applicato in una data zona. Lo stesso perimetro delle “attività” non è poi facilmente individuabile; esistono contratti collettivi (Multiservizi) che disciplinano i rapporti di lavoro di più categorie merceologiche. Questa oggettiva incertezza pone gli appaltatori nella non facile condizione di dover verificare, volta per volta e appalto per appalto, i trattamenti “economici e normativi” che possano contestualmente soddisfare tutte le caratteristiche ed anche le Aziende committenti che per questi trattamenti sono responsabili in solido. Anche i trattamenti “normativi” debbono essere equivalenti a quelli del contratto di riferimento il che non è meno problematico. Per alcuni istituti, ad esempio il numero di giorni di ferie, l’operazione è superabile ma in altri casi (la disciplina dell’orario di lavoro) è davvero difficile stabilire quale sia il trattamento “migliore”.

Nel settore pubblico (dove le regole sono in parte diverse) l’ANAC (“Associazione Nazionale Anticorruzione”) ha pubblicato linee guida che si propongono come criterio generale per verificare l’equivalenza tra i diversi contratti collettivi. Certamente l’indicazione ha una sua utilità anche in chiave analogica nel settore privato; tuttavia, le incertezze e le variabili sono ancora numerose.
Come accennato, questo tema riguarda anche (e forse soprattutto) il committente. È noto, infatti, che per tutte le voci retributive la Società appaltante è (da ben prima della riforma) responsabile in solido ai sensi dell’art. 29 della legge Biagi già richiamata. In sostanza, il dipendente può chiedere il pagamento delle retribuzioni (e dei contributi previdenziali) eventualmente non pagate dall’appaltatore.

Di fatto la riforma ha ulteriormente esteso l’ambito della (già esistente) responsabilità solidale. Se l’appaltatore/fornitore non individua correttamente il parametro di riferimento (CCNL più applicato nel settore e nella zona e strettamente connessa con l’attività dell’appalto) e corrisponde trattamenti inferiori a questo parametro, il Committente sarà responsabile dell’eventuale differenza di retribuzione (e relativa contribuzione).

Dall’entrata in vigore della norma la prassi ha registrato tentativi di ovviare a questo problema con richieste (e clausole dei contratti di appalto) con cui i Fornitori si impegnano ad applicare integralmente anche al proprio personale le retribuzioni e i contratti collettivi (financo di secondo livello) applicati dal committente. Ciò comporta un aumento degli oneri connessi all’appalto: sia del costo del lavoro in capo all’appaltatore e quindi anche, presumibilmente, dei corrispettivi che l’appaltatore medesimo richiederà per il servizio nel suo complesso.

Tuttavia, non è scontato che riconoscere un trattamento uguale a quello del personale del committente sia sufficiente a raggiungere quel parametro minimo che la riforma ha introdotto, il quale come detto è individuato dalla legge sulla base di elementi ulteriori diversi dalla equivalenza tra trattamenti tra personale dell’appaltatore e del committente.
Il che sarebbe paradossale, considerato il miglior favore di simili equiparazioni, e dovrebbe indurre a qualche riflessione sulla reale efficacia della norma del 2024.

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