Eros in ombra

Esiste un modo corretto per parlare di sesso a scuola? Forse sì, forse no. Ma una cosa ci pare certa: la sessualità non può essere trattata come una materia scolastica […]

Mag 16, 2025 - 13:48
 0
Eros in ombra

Esiste un modo corretto per parlare di sesso a scuola? Forse sì, forse no. Ma una cosa ci pare certa: la sessualità non può essere trattata come una materia scolastica qualsiasi, da insegnare secondo la logica trasmissiva tradizionale, con lezioni frontali e contenuti standardizzati. Tentare di affrontarla “ex cathedra”, secondo i canoni dell’insegnamento scolastico più rigido, rischia di tradire la complessità e l’ambivalenza di una dimensione che investe la persona nella sua totalità. Con il rischio di ridurre il tutto a un elenco piatto e conformista di nozioni biologiche o normative.

Tuttavia, questo non significa che la sessualità debba rimanere ai margini dell’esperienza educativa. Al contrario, può essere affrontata in modo indiretto, laterale, dentro e attraverso le altre discipline. In questo modo, essa diventa un tema trasversale, una lente per interrogare la realtà e la natura dell’umano, un campo dove si intrecciano saperi, esperienze e modelli di vario tipo; un ambito capace di includere le molteplici dimensioni che la stessa sessualità implica.

Certamente, limitarsi a un elenco di informazioni biologiche o a campagne per la prevenzione può essere riduttivo. Serve, certo, parlare di salute, di rischi, di responsabilità. Ma serve anche un’attenzione alla sfera emotiva: un accompagnamento che aiuti ragazze e ragazzi a esplorare la sfera delle proprie emozioni (il dolore delle separazioni, il peso del fallimento, la paura di deludere gli altri o di non essere accettati). Particolarmente rilevante è dunque l’alfabetizzazione emotiva, legata all’importanza di riconoscere, esprimere e gestire emozioni complesse quali, appunto, il senso di perdita, la delusione, il timore del giudizio altrui, la difficoltà nell’accettare il proprio sé che cambia e si evolve nel tempo.

L’errore in generale è comunque quello di pensare di poter ridurre la sessualità a un campo di piena trasparenza e razionalizzazione, in una modalità addomesticata ed epurata dalle sue zone d’ombra, snaturandone così la profondità. La sessualità, infatti, ruota attorno anche ai non detti, a verità sussurrate o affidate solo a pochi, al pudore di ciò che si fa fatica ad esplicitare per intero. Un eccesso di parole, così come un eccesso di razionalizzazione, rischia di diventare un eccesso di controllo, di comunicabilità forzata, che finisce per impoverire l’Eros, con il suo impasto indeterminato di pulsioni e desideri anche contrastanti tra di loro.

Michel Foucault aveva già analizzato lucidamente questo paradosso: la moltiplicazione del discorso sul sesso ha finito per trasformare l’uomo, in Occidente, in una “bestia da confessione”. Vige una “cultura dell’imperativo sessuale” e un’”incitazione istituzionale” a parlarne sempre di più, destinandoci — scrive Foucault — “al compito senza fine di forzare il suo segreto e di estorcere a quest’ombra le confessioni più vere”. Ironia di questo dispositivo: “ci fa credere che ne va della nostra liberazione”, mentre in realtà ci sottrae la dimensione dell’Eros, con il suo carico di opacità, oscurità e mistero, sacrificati sull’altare di un’esigenza di piena trasparenza, che cela spesso una postura perbenista, un’ansia disciplinatrice, l’ossessione di stabilire confini e delimitare ciò che è giusto fare e ciò di cui è lecito parlare. Così, la sessualità — come oggetto di sapere — diventa un dispositivo di potere sia negativo (“istituente ciò che è lecito fare”) sia positivo (“istituente ciò che è bene fare”).

Non si può, insomma, esperire la sessualità proponendo pacchetti preconfezionati, caselle confortevoli a cui facilmente riferirsi, formule standard adatte allo spirito dei tempi.

È importante, allora, distinguere. Da un lato c’è la sfera delle relazioni e delle emozioni. Dall’altro, c’è l’aspetto medico e fisiologico, che resta cruciale. In questi casi, la scuola può intervenire seriamente, magari coinvolgendo professionisti, figure che conoscano davvero la fisiologia e possano parlare senza imbarazzi né semplificazioni. Questo tipo di educazione dovrebbe iniziare quando gli studenti iniziano a percepire i primi segnali dello sviluppo, e proseguire gradualmente negli anni, quando sessualità entra a far parte della vita reale degli adolescenti. Conoscenza del corpo, malattie trasmissibili, connessioni tra sessualità e salute mentale: tutto questo, in modo serio, innovativo e non ideologico, fornirebbe strumenti di sostegno concreto a chi si sta affacciando a un’esperienza nuova e complessa, aiuterebbe i giovani ad esplorare la propria sessualità con maggiore serenità e consapevolezza.

Come già accennato, un processo di formazione integrale non può che passare per lo studio dei classici, che offrono strumenti critici per approfondire se stessi, anche rispetto al tema sessualità. Fare i conti con questa sfera così importante significa infatti confrontarsi pure con alcune, imprescindibili, letture fondamentali: è anche quella l’occasione per scavare nel profondo di se stessi e per alzare lo sguardo oltre le miserie del proprio tempo. Dalla tragedia greca al Simposio di Platone, da Freud a Thomas Mann: parliamo di opere letterarie e di saggi (si veda anche L’eroe negato di Francesco Gnerre) in grado di restituire il senso di una vita e di una realtà che è sempre oltre il tentativo di incasellarla dentro determinati schemi di pensiero o dentro angusti parametri normativi. Per contrastare pregiudizi, spezzare tabù, favorire spazi di libertà, ampliare orizzonti e slanci di vita e di pensiero. Per guardare infine, con coraggio, dentro gli abissi dell’animo incarnato, riconoscendo la vertigine del desiderio, che può essere una forma di ebbrezza, di fervore anche spirituale.

La sessualità, che al fondo è spontaneità e libertà, è però anche il luogo dove si scaricano le tensioni e le frustrazioni del nostro tempo: ad esempio, l’abitudine al consumo distratto e compulsivo dei corpi o la reazione uguale e contraria di chi ha scelto la via della ritirata solitaria schermata dai social. Custodire la “sacralità del corpo” — come luogo di senso, non di merce o vetrina — rimane un valore, che però non ha nulla a che vedere con il moralismo. I cosiddetti “peccati della carne” non sono mai il problema. Il vero pericolo è semmai la riduzione del corpo a funzione, a prestazione, a tecnica. È lì che l’Eros si spegne e si snatura.

Siamo oggi costantemente esposti a messaggi a sfondo sessuale: immagini, slogan, pubblicità e contenuti digitali che utilizzano l’imperativo sessuale come leva per attirare attenzione e stimolare il consumo. Eppure, paradossalmente, nonostante la pervasività di tali richiami e contenuti, ciò a cui assistiamo, almeno secondo alcune diagnosi, è a una progressiva rarefazione dell’erotismo. Il sesso è cioè ovunque a livello figurativo e commerciale, come dispositivo di seduzione simbolica, ma è sempre più marginale nella vita reale: vissuto non tanto come un’esperienza profonda, relazione, ma piuttosto come una pratica funzionale, superficiale, quasi si trattasse di un prodotto che si acquista, si consuma e si archivia nei ritagli di un’esistenza distratta, alienata, compressa tra mille ansie e frustrazioni. Paradossalmente, più il sesso diventa visibile, tematizzato, rappresentato, più tende a perdere la sua densità a livello di immaginario e il suo radicamento nell’esperienza di vita concreta, incarnata.

In questo scenario, il desiderio, depotenziato dalla sua carica immaginativa e affettiva, sembra appiattirsi sempre più su logiche standardizzate, prestazionali; compresso e ridotto a stimolo rapido, meccanico, immediato. Così è l’Eros — come tensione simbolica ed energia creativa, dinamica dell’attesa e della mancanza, spazio dell’ambiguità e della scoperta, momento di incontro vero tra sguardi e corpi incarnati — a vacillare e a ritrovarsi progressivamente marginalizzato, soffocato com’è da un tempo rapido, contratto e superficiale, piegato da istanze che ti portano sempre altrove, in luoghi dove la relazione profonda con se stessi e con gli altri ha l’intensità e la fugacità di un click.

Certamente, oggi c’è più libertà, più accettazione, e questa è una conquista. Ma non sempre c’è esperienza profonda. E tuttavia, tra le poche cose buone di questo tempo, c’è che le nuove generazioni parlano di sé con più naturalezza. Una naturalezza che è anche quella di non volersi esporre del tutto, di non dover per forza dire tutto a tutti di sé. E forse è proprio in questa zona di riserva, in questo confine tra ciò che si mostra e ciò che si custodisce, che sopravvive ancora una scintilla di Eros, verità e bellezza.