Ecco come viene visto dalla Cina il nuovo Papa Leone XIV
Un outsider per ricoprire uno degli incarichi più importanti nella curia romana. È stata questa la decisione presa da papa Francesco a gennaio 2023, quando ha scelto un nome a sorpresa per guidare il Dicastero per i vescovi, l’ufficio che, tra le altre cose, partecipa nella selezione e nella nomina di nuovi vescovi. Da quella […]

Un outsider per ricoprire uno degli incarichi più importanti nella curia romana. È stata questa la decisione presa da papa Francesco a gennaio 2023, quando ha scelto un nome a sorpresa per guidare il Dicastero per i vescovi, l’ufficio che, tra le altre cose, partecipa nella selezione e nella nomina di nuovi vescovi.
Da quella nomina a prefetto, l’ex vescovo di Chiclayo, cittadina peruviana di 600mila anime, si è fatto un nome rapidamente, guadagnando fiducia all’interno delle mura vaticane e presso lo stesso pontefice, che nel giro di pochi mesi lo ha creato cardinale.
Un’ascesa culminata l’8 maggio, quando Robert Francis Prevost è diventato il secondo papa proveniente dal Nuovo Mondo, dopo Bergoglio, e il primo ad arrivare dagli Stati Uniti, sfatando una sorta di tabù nei confronti dei candidati della prima potenza mondiale.
Spetta a lui ora raccogliere la pesante eredità di Francesco. Dalla riforma della curia, agli scandali per la pedofilia nel clero, passando per le nomine femminili e le aperture alla comunità Lgbt, sono numerosi i cantieri lasciati aperti dal papa argentino, spesso bersaglio di contestazioni all’interno della Chiesa stessa.
Diverse anche le questioni aperte sul fronte diplomatico, nel pieno della «terza guerra mondiale a pezzi» di cui Bergoglio aveva parlato per la prima volta nel 2014. Prima fra tutte quella dei rapporti con la Cina, causa di spaccature che hanno avuto un peso anche nella scelta del nuovo pontefice.
Risultato storico
È su questo tema, sullo sfondo dell’intensificarsi delle tensioni tra l’Occidente e Pechino, che si sono concentrate alcune delle critiche più aspre al papato di Francesco, fino a compromettere, secondo alcuni osservatori, le chance di quella che fino all’ultimo era considerata la candidatura più solida.
Ancora dopo la fumata bianca, Pietro Parolin, capo della diplomazia vaticana per quasi tutto il pontificato di Francesco, era dato in netto vantaggio sugli altri papabili (tra i quali non figurava Prevost), con quote del 70 per cento sulla piattaforma Polymarket. Rimasto in testa fin dalla prima votazione, il segretario di Stato non è mai riuscito ad attirare voti sufficienti per superare la soglia dei due terzi.
Nonostante la vasta esperienza internazionale di Parolin, alla fine gli è stato preferito un candidato con un maggior profilo pastorale. A penalizzare il 70enne di Schiavon, paradossalmente, potrebbe essere stato quello che viene considerato il più importante successo diplomatico del pontificato di Bergoglio, di cui Parolin è ritenuto il principale artefice: l’intesa sulla nomina dei vescovi del 2018, contestato dalla frangia conservatrice della Chiesa.
L’accordo, stipulato per la prima volta nel 2018 e da allora rinnovato altre tre volte, mira a sanare la storica spaccatura tra la chiesa clandestina cinese, fedele al papa, e quella ufficiale, sostenuta dallo Stato. Il contenuto è segreto ma riguarda la nomina dei vescovi: Pechino ha il potere di nominarli ma Roma quello di porre il veto, dando al papa l’ultima parola. La speranza della Chiesa è quella di aumentare la propria presenza nel secondo Paese più popoloso al mondo, anche se i critici ritengono che possa comprometterne l’indipendenza. La Cina, in cui vige l’ateismo di Stato, spera invece di accrescere il proprio «soft power», consapevole che sul piano religioso la sua immagine è «danneggiata» dalla questione tibetana e da quella uigura, come scrive Benoît Vermander, gesuita che insegna all’Università Fudan di Shanghai.
“Gregge nella bocca dei lupi”
Ma secondo i molti critici l’accordo è per la Chiesa cattolica un segno di debolezza, o peggio una trappola. Uno dei più strenui è il cardinale di Hong Kong Joseph Zen, arrestato nel 2022 per il suo sostegno alle proteste per la democrazia. All’età di 93 anni non ha potuto partecipare al conclave ma ha preso parte alle congregazioni che lo hanno preceduto. In passato il vescovo emerito di Hong Kong ha dichiarato che l’accordo ha gettato «il gregge nella bocca dei lupi», definendolo «un tradimento incredibile».
Da parte dei conservatori statunitensi le critiche sono state altrettanto dure. Nel 2020 l’ex segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, in un articolo su una rivista cattolica conservatrice e in una serie di tweet, ha tacciato il Vaticano di aver messo a repentaglio la sua «autorità morale». A sua volta Pompeo è stato accusato da Oltretevere di voler trascinare la Santa Sede in campagna elettorale, dopo una prima presidenza Trump in cui le politiche anti-cinesi hanno avuto un ruolo di primo piano.
Gli attacchi però non sono arrivati solo dall’ala più conservatrice della politica statunitense ma anche dalla democratica Nancy Pelosi, ex presidente della Camera dei rappresentanti. «Non ne sono molto felice, e non so cosa abbiano ottenuto», ha detto in un’intervista al National Catholic Reporter. Nonostante le divisioni con il clero statunitense su molti temi, primo fra tutti l’aborto, l’ex leader democratica condivide le critiche a Francesco per la sua politica sulla Cina: «Perché il governo cinese dovrebbe avere voce in capitolo nella nomina dei vescovi? Ho parlato con alcune persone qui e mi hanno detto: “Beh, dobbiamo stare al passo con i tempi”. Cosa?! Non capisco». Pelosi ha quindi una «visione completamente diversa» dall’approccio di Papa Francesco e condivide piuttosto il «punto di vista del cardinale di Hong Kong, Joseph Zen», a cui nel 2020 ha conferito il Wei Jingsheng Chinese Democracy Champion.
Passi avanti
Anche se la Cina è ufficialmente uno Stato ateo, l’esercizio della religione è legale, purché avvenga nell’ambito di organizzazioni riconosciute da Pechino. Dalla creazione dell’Associazione patriottica cattolica cinese nel 1957, in Cina coesistono due Chiese: una ufficiale, che conta circa 1.900 sacerdoti, e una clandestina, con 1.200. Con l’accordo, questa dualità è scomparsa.
Non ci sono più diocesi gestite da vescovi clandestini e altre da preti ufficiali ed entrambe riconoscono ora il papa come capo della Chiesa cattolica. L’intesa ha inoltre ufficializzato la nomina di otto vescovi ordinati prima del 2018 senza l’approvazione del Vaticano. Questo nonostante Santa Sede e Cina, in cui sono presenti tra i sei e i dodici milioni di cattolici, non intrattengano ufficialmente relazioni diplomatiche dal 1951. In precedenza la Santa Sede aveva indicato che qualsiasi partecipazione a organizzazioni legate al Partito comunista, salito al potere nel 1949, avrebbe portato alla scomunica. Il Vaticano rimane ancora uno dei 12 Paesi al mondo (l’unico in Europa), a non riconoscere Pechino ma Taiwan.
L’accordo è stato rinnovato nel 2020, nel 2022 e nell’ottobre dello scorso anno, quando entrambe le parti hanno concordato di prorogarlo per altri quattro anni. Un risultato ottenuto al termine di un avvicinamento durato decenni sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, prima di essere ufficializzato sotto Bergoglio.
La volontà ferma del pontefice nel portare avanti le trattative è dimostrata dalle continue aperture, a partire dal messaggio inviato via radio a Xi Jinping nell’ottobre 2014 durante una visita in Corea del Sud. In quell’occasione l’aereo del pontefice aveva ottenuto l’autorizzazione a sorvolare lo spazio aereo cinese. La stessa che era stata negata nel 1999 a Giovanni Paolo II. «Entrando nello spazio aereo cinese, estendo i miei migliori auguri a Sua Eccellenza e ai suoi concittadini, e invoco le benedizioni divine di pace e benessere sulla nazione», aveva detto nel telegramma papa Francesco.
Ma i progressi sono stati molto graduali. Negli scorsi anni le ordinazioni sono state poche, lasciando decine di diocesi senza vescovo. Oltretutto, l’accordo non diceva nulla sui circa 20 vescovi non riconosciuti dal governo. «Sembra che aspetteremo la loro successione per designare candidati di compromesso», ha detto a Le Monde Vermander che, secondo il quotidiano francese, viene considerato da molti il rappresentante non ufficiale del Vaticano in Cina.
La “via possibile”?
Anche per le nomine che sono state fatte non sono mancate criticità. A novembre 2022 un vescovo ha accettato di essere nominato come ausiliario nello Shaanxi, una diocesi non riconosciuta dal Vaticano, senza che la Santa Sede fosse consultata.
In un comunicato, il Vaticano sottolineava che la nomina «non ha avuto luogo in accordo con lo spirito del dialogo esistente tra il Vaticano e le controparti cinese e su ciò che è stipulato» nell’accordo. Il papa ha poi scelto di sanare la decisione «per il maggior bene della diocesi», anche perché il vescovo era stato in precedenza membro della chiesa clandestina e la nomina poteva quindi essere considerata equivalente a un riconoscimento. Un altro episodio risale alla fine di marzo 2023, quando l’Associazione patriottica cattolica cinese ha nominato Joseph Shen a capo della diocesi di Shanghai, la più grande della Cina, senza consultare il Vaticano. La giustificazione dell’associazione è stata che era stato trasferito da un’altra diocesi.
Anche in questo caso il papa ha «deciso di sanare l’irregolarità canonica creatasi a Shanghai, in vista del maggior bene della Diocesi e del fruttuoso esercizio del ministero pastorale del vescovo», come affermato all’epoca da Parolin. Nella metropoli cinese, la Santa Sede non aveva ancora nominato un successore di Aloysius Jin Luxian, vescovo morto nel 2013, mentre il suo ausiliare Thaddeus Ma Daqin è agli arresti domiciliari dal 2012.
La stampa conservatrice ha continuato ad attaccare l’accordo anche in queste settimane, accusando Pechino di aver nominato due vescovi mentre la sede apostolica era vacante. La risposta di Leone XIV darà una prova del corso che il nuovo pontefice sceglierà di tracciare rispetto alle scelte di Francesco.
Da parte sua, papa Bergoglio ha ammesso che l’accordo, anche «se procede bene» «non è l’ideale». In un’intervista del 2022 il pontefice aveva spiegato il suo approccio richiamando le critiche che erano piovute contro Giovanni XXIII, Paolo VI e il segretario di Stato Agostino Casaroli per le aperture i Paesi dell’Europa dell’Est, che secondo molti storici hanno poi consentito alla Chiesa di mantenere una presenza al di là del muro negli anni della Guerra fredda. «La diplomazia è così», aveva detto a Reuters. «Quando ci si trova di fronte a una situazione di stallo, bisogna trovare la via possibile, non quella ideale».