È consentito fare video o foto ai vigili o ai poliziotti durante i controlli?

Da una parte le bodycam sulle divise degli agenti, dall’altra gli smartphone dei cittadini. Con il Decreto Sicurezza (art. 21, D.l. n. 48/2025) l’Italia si prepara a una piccola rivoluzione: poliziotti e carabinieri dotati di telecamere personali per documentare interventi, controlli e operazioni sul campo. Una mossa che punta a rafforzare la trasparenza e a

Mag 9, 2025 - 17:21
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È consentito fare video o foto ai vigili o ai poliziotti durante i controlli?

Da una parte le bodycam sulle divise degli agenti, dall’altra gli smartphone dei cittadini. Con il Decreto Sicurezza (art. 21, D.l. n. 48/2025) l’Italia si prepara a una piccola rivoluzione: poliziotti e carabinieri dotati di telecamere personali per documentare interventi, controlli e operazioni sul campo. Una mossa che punta a rafforzare la trasparenza e a tutelare tanto le forze dell’ordine quanto i cittadini.

Intanto, cresce l’attenzione sull’altro lato dell’obiettivo: quello dei cittadini che filmano con i propri telefoni. Video di posti di blocco, interventi e fermi rimbalzano ogni giorno sui social, sollevando interrogativi non solo etici, ma anche giuridici.

È legale riprendere le forze dell’ordine in servizio?

La libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), consente a ciascun cittadino di esprimersi anche attraverso immagini e video. Ciò include, la possibilità di filmare o fotografare agenti delle forze dell’ordine — siano essi Polizia, Carabinieri o Polizia Municipale — mentre sono impegnati in attività di servizio in spazi pubblici. Tuttavia, questo diritto non è illimitato: incontra vincoli giuridici quando si scontra con altri interessi tutelati dalla Costituzione, come la tutela dell’ordine pubblico, il buon andamento della P.A. e il diritto alla privacy.

La giurisprudenza ha chiarito che la semplice registrazione non costituisce di per sé reato, a condizione che il cittadino non ostacoli l’intervento o non adotti atteggiamenti offensivi. La Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del reato di oltraggio a pubblico ufficiale in assenza di condotte irriguardose o strumentali al dileggio (Cass. sent. n. 49218/2024). In altre parole, riprendere non è reato se lo si fa in modo civile, rispettoso e senza interferenze.

Differenze tra luogo pubblico e privato nelle riprese

La legittimità della ripresa dipende però anche dal luogo in cui essa avviene. In uno spazio pubblico — come una strada, una piazza, un parco o persino l’androne di una stazione ferroviaria — filmare un controllo è generalmente consentito. Tuttavia, esistono situazioni richiedono maggiore attenzione. Un parcheggio di un centro commerciale pur essendo frequentato da tutti, è tecnicamente un’area privata aperta al pubblico: qui le riprese possono essere vietate dai regolamenti interni.

Quando invece ci si trova in un ambiente privato o in un luogo in cui le persone hanno una legittima aspettativa di riservatezza — come studi medici, pronto soccorso, ascensori o spogliatoi — le riprese senza consenso, anche nei confronti di pubblici ufficiali, possono violare la normativa sulla privacy o integrare vere e proprie fattispecie di reato. Pensiamo al caso di un intervento della polizia all’interno di un’abitazione privata in presenza di minori: la ripresa e la successiva diffusione potrebbero comportare conseguenze anche sul piano penale.

Una menzione a parte meritano i luoghi pubblici soggetti a restrizioni, come carceri, tribunali, caserme o uffici pubblici. In questo senso, l’art. 114 c.p.p. vieta la pubblicazione, anche parziale, degli atti coperti da segreto e, per gli atti non più segreti, fino alla conclusione delle indagini preliminari. Inoltre, vieta la pubblicazione delle immagini di persone private della libertà personale riprese durante l’esecuzione di provvedimenti restrittivi, salvo autorizzazione del giudice.

Ad esempio, il divieto di trasmettere in televisione o pubblicare sui giornali le immagini di persone ammanettate durante un arresto, senza l’autorizzazione del giudice. Anche se l’arresto avviene in un luogo pubblico, come una strada o una piazza, l’art. 114 c.p.p. vieta la pubblicazione di tali immagini per tutelare la dignità della persona sottoposta a misura restrittiva e garantire il corretto svolgimento del procedimento penale.”

In ogni caso occorre tenere conto che anche in situazioni del tutto lecite è necessario prestare attenzione a chi finisce nell’inquadratura. Riprendere soggetti estranei all’evento — magari in un bar, in fila alla posta o su un mezzo pubblico — può generare responsabilità civile per lesione della reputazione o della privacy. Il semplice fatto che si tratti di un luogo pubblico non legittima la diffusione indiscriminata delle immagini.

Cosa si rischia se si pubblicano le immagini online?

Pubblicare sui social video o immagini delle forze dell’ordine mentre eseguono un arresto, un fermo o un posto di blocco non è privo di conseguenze giuridiche. A differenza dell’uso personale — che resta confinato alla sfera privata — la diffusione pubblica di questi contenuti è regolata dal Codice della privacy (D.lgs. n. 196/2003, aggiornato dal D.lgs. 101/2018) e dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR).

Anche se si tratta di agenti in divisa, la loro immagine costituisce un dato personale. Pubblicarla senza un fondamento giuridico legittimo — come il diritto di cronaca, purché rispettoso dei limiti di verità, pertinenza e continenza — può integrare una violazione della privacy. Non è raro, che video girati durante un arresto diventino virali mostrando dettagli sensibili: volti di soggetti arrestati, targhe di veicoli, indirizzi di abitazioni. In questi casi, il rischio non ricade solo sull’autore della ripresa, ma anche su chi diffonde il contenuto. Il Garante Privacy può intervenire con sanzioni amministrative pecuniarie, mentre i soggetti lesi possono agire civilmente per ottenere un risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.)

Quando può configurarsi il reato di oltraggio o diffamazione?

Sul piano penale, possono configurarsi i reati di oltraggio a pubblico ufficiale e diffamazione. L’art. 341 bis c.p. punisce chi offende l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale durante l’esercizio delle sue funzioni. Normalmente, la pubblicazione online non integra questo reato, ma esiste un’eccezione:

“Se il video viene postato in tempo reale, corredato da insulti, mentre l’agente è ancora in servizio e ne viene a conoscenza immediata, si può ipotizzare il reato. Pensiamo al caso di un automobilista che, fermato a un posto di blocco, trasmette in diretta Instagram l’interazione con gli agenti, accompagnandola con commenti offensivi visibili a centinaia di follower.”

Invece, la diffamazione (art. 595 c.p.) è più frequente. Pubblicare un video con didascalie o commenti come “ecco come lavorano male i nostri poliziotti” o “incompetenti e corrotti”, senza che l’agente venga taggato o avvisato, può comunque integrare il reato, specie se il contenuto raggiunge un vasto pubblico. Un caso recente riguarda una sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna per diffamazione aggravata per un video su Facebook con pesanti offese a un agente della polizia locale (Cass. sent. n. 8193/2024).

Un aspetto spesso trascurato riguarda le riprese effettuate in emergenza, come interventi durante manifestazioni o sgomberi. Pubblicare immagini che mostrano volti di terzi coinvolti (ad esempio minorenni, persone disabili o soggetti vulnerabili) può esporre a responsabilità ulteriori per violazione della privacy, anche quando l’intenzione era di documentare un fatto di interesse pubblico.

Come tutelarsi se si filma un abuso delle forze dell’ordine

Quando si riprende un presunto abuso da parte delle forze dell’ordine, occorre garantire la validità legale del materiale raccolto affinché possa essere usato come prova. É consigliabile conservare il video originale in un formato non modificabile, preservando i metadati che attestano data, ora e luogo della registrazione. Tali elementi sono atti dimostrare l’autenticità del filmato in sede giudiziaria. Inoltre, bisogna evitare la diffusione pubblica del video, per non compromettere eventuali indagini o procedimenti legali. La divulgazione potrebbe anche esporre, come visto, a responsabilità civili o penali. Per rafforzare la propria posizione, è utile raccogliere ulteriori prove, quali testimonianze oculari, registrazioni di telecamere di sorveglianza presenti nella zona o documenti che possano corroborare la versione dei fatti.