Donald Trump un vero disastro per le Big Tech, secondo l’Economist
Donald Trump si è rivelato un vero disastro per le Big Tech americane. E’ questo il giudizio lapidario dell’Economist, che oggi ha pubblicato un’analisi al vetriolo sulle conseguenze dei primi cento giorni di presidenza sulle Big Tech, che tanto affidamento avevano fatto sul nuovo presidente dal giorno del suo insediamento. Finora la disponibilità e l’ossequio […] The post Donald Trump un vero disastro per le Big Tech, secondo l’Economist appeared first on Key4biz.

Donald Trump si è rivelato un vero disastro per le Big Tech americane. E’ questo il giudizio lapidario dell’Economist, che oggi ha pubblicato un’analisi al vetriolo sulle conseguenze dei primi cento giorni di presidenza sulle Big Tech, che tanto affidamento avevano fatto sul nuovo presidente dal giorno del suo insediamento.
Finora la disponibilità e l’ossequio mostrati da Mark Zuckerberg e Jeff Bezos al neo presidente non sono serviti ad evitare un tracollo economico che in soli tre mesi è clamoroso.
Lo scontro sui dazi con Amazon
Trump è del tutto insensibile alle istanze di Meta, Amazon & co e tira dritto per la sua strada come dimostra lo scontro avvenuto e le accuse della Casa Bianca al sito di eCommerce di agire in modo “politicamente ostile” nei confronti dell’America, pubblicando sul suo sito il prezzo dei dazi accanto a quello dei prodotti in vendita. Un’accusa rintuzzata da Jeff Bezos in corner.
Dall’insediamento di Trump, il valore di mercato combinato delle cinque grandi piattaforme – Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft – più Nvidia, la superstar americana dei semiconduttori, è crollato di 2,3 trilioni di dollari, pari al 16% (vedi grafico). Quanto potrebbe peggiorare la situazione?
Due casi Antitrust vs Google avviati da Biden continuano
Prosegue l’anlaisi dell’Economist: né Andrew Ferguson, nominato presidente della Federal Trade Commission (FTC) da Trump, né Gail Slater, da lui scelta come capo della divisione antitrust del Dipartimento di Giustizia (DoJ), hanno mostrato particolare interesse nel frenare e tanto meno stoppare i casi contro le grandi aziende tecnologiche avviati dall’amministrazione Biden. La Slater, che il 21 aprile ha descritto Google come una minaccia alla libertà di parola, alla libertà di pensiero e ai “liberi mercati digitali americani”, ha ereditato due casi contro Alphabet, la sua società madre. Il 17 aprile un giudice distrettuale ha stabilito in uno di questi che l’azienda gestisce un monopolio illegale nella pubblicità digitale. Nell’altro caso, un tribunale ha stabilito lo scorso anno che anche il settore della ricerca di Google costituiva un monopolio illegale; le udienze per decidere sui provvedimenti correttivi inizieranno il 2 maggio. Il DoJ ha esortato il tribunale a costringere Google a vendere il suo browser Chrome, oltre ad apportare altre modifiche alla sua attività. Peraltro, OpenAI ha reso noto che potrebbe valutare l’acqiusizione di Chrome.
Alphabet non è sola
Il 14 aprile sono iniziate le udienze del caso della FTC contro Meta, accusata dall’autorità di regolamentazione di aver mantenuto un monopolio illegale attraverso l’acquisizione di Instagram nel 2012 e WhatsApp nel 2014 (affermazione che l’azienda nega). Meta avrebbe chiesto l’aiuto di Trump per raggiungere un accordo con la FTC, con scarso successo finora. Le agenzie antitrust stanno inoltre facendo causa ad Amazon e Apple e indagando su Microsoft e Nvidia.
Oltre tutto c’è la guerra dei dazi di Trump
A tutto questo si aggiunge la guerra commerciale di Trump. Apple assembla quattro quinti dei suoi iPhone e Mac in Cina, il che spiega perché il prezzo delle sue azioni sia sceso di quasi un quarto nella settimana successiva alla presentazione dei “dazi reciproci” da parte di Trump il 2 aprile. Si è ripresa in qualche modo quando sono state annunciate delle eccezioni per smartphone e PC. Ciononostante, sui prodotti cinesi si applica ancora un’aliquota del 20%. È probabile che i prezzi degli iPhone aumentino, incidendo sulle vendite già in calo. Secondo alcune fonti, Apple starebbe pianificando di spostare l’assemblaggio dei suoi smartphone destinati agli Stati Uniti dalla Cina all’India entro la fine del 2026.
Anche Nvidia nel fuoco incrociato
Anche Nvidia è nel mirino. I prezzi dei suoi chip, prodotti principalmente all’estero, sono destinati a salire anche per i clienti americani, il che potrebbe frenare la crescita clamorosa dell’azienda. Un problema ancora più grande è la sua attività in Cina, che vale il 13% del fatturato nel 2024. Il governo americano le ha recentemente impedito di vendere il suo chip H20 in Cina senza una licenza di esportazione. Nvidia ha reso noto che le nuove regole cancelleranno 5,5 miliardi di dollari dal valore del suo inventario, segno che si aspetta di ottenere pochi permessi, se non nessuno. Le nuove restrizioni daranno un vantaggio competitivo a Huawei.
Le Big Tech rischiano inoltre di diventare materia di rivalsa nella guerra commerciale fra Usa e Cina.
Le multe per 700 milioni della Commissione Ue
Sul fronte europeo, il 23 aprile la Commissione Ue ha inflitto una multa di 700 milioni di euro a Apple (500 milioni) e Meta (200 milioni) per violazione del Digital Markets Act. Una cifra che avrebbe potuto essere molto superiore, ma il segnale è chiaro.
Anche i ricavi derivanti dal cloud computing delle grandi aziende tecnologiche potrebbero subire un duro colpo. Secondo la banca JPMorgan Chase, clienti aziendali e startup stanno già rimandando la stipula di contratti a causa dell’incertezza sulle condizioni economiche. Un calo della spesa per l’intelligenza artificiale (IA), su cui i giganti della tecnologia ripongono le loro speranze di crescita, sembra possibile.
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