Dall’omicidio di Chiara Poggi alla condanna di Alberto Stasi fino alla nuova indagine: la ricostruzione del delitto di Garlasco
Delitto Garlasco, la ricostruzione dell’omicidio di Chiara Poggi Il delitto di Garlasco si riapre a sorpresa: Andrea Sempio, oggi 37enne e all’epoca dei fatti 19enne, è infatti oggi indagato per concorso in omicidio con Alberto Stasi, essendo quest’ultimo l’unico condannato per l’assassinio di Chiara Poggi, o persona rimasta ignota. Secondo quanto rivelano le nuove indagini, […]

Delitto Garlasco, la ricostruzione dell’omicidio di Chiara Poggi
Il delitto di Garlasco si riapre a sorpresa: Andrea Sempio, oggi 37enne e all’epoca dei fatti 19enne, è infatti oggi indagato per concorso in omicidio con Alberto Stasi, essendo quest’ultimo l’unico condannato per l’assassinio di Chiara Poggi, o persona rimasta ignota. Secondo quanto rivelano le nuove indagini, l’assassino avrebbe lasciato del materiale genetico intorno a due dita delle mani della vittima: il dna, però, non apparterrebbe ad Alberto Stasi, ma bensì proprio ad Andrea Sempio (qui il suo profilo), il quale dovrà ora sottoporsi a un test del dna.
L’omicidio di Chiara Poggi
Il 13 agosto 2007, tra le 9:12 e le 9:35 del mattino, l’impiegata 26enne Chiara Poggi viene uccisa nella villetta in cui viveva con i suoi familiari a Garlasco, in provincia di Pavia. La ragazza viene assassinata a colpi di un oggetto contundente che non è mai stato ritrovato, forse un martello. Era sola in casa, perché i genitori e il fratello erano in vacanza.
Nell’abitazione casa non c’erano segni di effrazione, Chiara aveva aperto la porta spontaneamente al suo aggressore e in pigiama. Questo fa subito pensare agli inquirenti che conoscesse il suo assassino. A dare l’allarme è il fidanzato di Chiara, Alberto Stasi, allora studente di 24 anni, che aveva trovato intorno alle 13.50 il corpo riverso in fondo alle scale che conducono alla tavernetta di casa Poggi. “Credo che abbiano ucciso una persona. Non ne sono sicuro, forse è viva…c’è tanto sangue dappertutto”, dice Stasi al 118 prima di chiamare i carabinieri.Il 24 settembre Stasi viene fermato. Secondo gli inquirenti contro di lui ci sono indizi “gravi, precisi e concordanti”.
Gli indizi contro Alberto Stasi
Ad attirare l’attenzione degli investigatori su Alberto Stasi sono il Dna di Chiara, rinvenuto sui pedali della bicicletta del ragazzo, e le scarpe di Stasi, ritenute “troppo pulite” per aver attraversato il pavimento sporco di sangue di casa Poggi. Stasi sostiene che nell’orario in cui si è verificato il delitto lui stesse lavorando al computer alla sua tesi di laurea, ma il racconto del ragazzo non convince gli inquirenti. Gli investigatori provano ad esaminare altre ipotesi, ma nessuna si concretizza.
Intanto, il giudice per le indagini preliminari ritiene che non ci siano elementi sufficienti per tenere Stasi in carcere e il giovane dopo quattro giorni torna a casa. “È la fine di un incubo”, commenta il ragazzo. Il 3 novembre 2008 la procura chiede e ottiene il rinvio a giudizio di Stasi.
Il processo
Nel 2009 si apre di fronte al tribunale di Vigevano il processo con rito abbreviato contro Stasi, che rimane l’unico indagato. Contro di lui l’accusa chiede trent’anni di carcere per omicidio volontario. Il giudice dispone quattro nuove perizie per supplire ad alcune “significative incompletezze d’indagine” e “indizi contraddittori e insufficienti”.
Secondo la difesa, Stasi non si è sporcato perché il sangue era già secco e l’orario della morte è compatibile con questa ipotesi secondo la perizia medico-legale. Inoltre, la perizia informatica conferma l’alibi del giovane, che sarebbe effettivamente stato al lavoro al computer nell’orario indicato. Su queste basi, dopo 24 udienze, il 17 dicembre 2009 il tribunale di Vigevano assolve Alberto Stasi.
Nel 2011 Stasi torna in tribunale per il processo di secondo grado, celebrato a Milano. L’accusa e la famiglia di Chiara chiedono accertamenti sui frammenti organici nelle unghie della ragazza, su un capello trovato nella sua mano e sui due gradini della scala che Stasi ha calpestato prima di scoprire il cadavere.
Chiedono inoltre che sia acquisita la bici nera in possesso della famiglia Stasi, compatibile con quella vista da una testimone fuori da casa Poggi la mattina del delitto. Una nuova perizia, inoltre, sposta l’orario dell’omicidio di Chiara, smentendo l’alibi dello studente e la plausibilità del fatto che non si sarebbe sporcato nel momento in cui ha rinvenuto il cadavere. Ma il collegio giudicante non accetta queste nuove verifiche. I giudici negano la riapertura del dibattimento e il 6 dicembre 2011 la Corte d’Assise d’Appello assolve nuovamente Stasi.
L’annullamento della sentenza di secondo grado
Il 17 aprile 2013 avviene un colpo di scena: la Corte di cassazione annulla la sentenza di secondo grado e chiede che sia celebrato di nuovo il processo. La ragione è che occorre una rilettura “complessiva e unitaria degli elementi acquisiti”. Il 9 aprile 2014 Alberto torna quindi di fronte ai giudici d’appello. Stavolta viene sequestrata la bicicletta nera della famiglia Stasi. Viene disposta un’ulteriore perizia per analizzare le tracce sulle unghie e le mani di Chiara, ma non emerge nessun elemento rilevante perché i reperti sono degradati dal tempo.
Infine, l’analisi dei due gradini svela che la probabilità di non sporcarsi le scarpe di sangue era quasi del tutto inesistente. Inoltre, contro Stasi ci sono le sue impronte rinvenute sul dispenser portasapone del bagno dei Poggi e il fatto che il suo numero di scarpe (42) coincide con quello dell’assassino. Il 20 dicembre 2014 Stasi viene condannato a 16 anni di carcere. A dicembre 2015 la Cassazione conferma una prima volta la condanna. Stasi si consegna alle forze dell’ordine nel carcere di Bollate. Il 28 giugno 2017, poi, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza.
Errori e omissioni nelle indagini
Il caso di Garlasco ha dato luogo anche a un altro processo. A settembre 2016 il maresciallo Francesco Marchetto, che si è occupato delle indagini all’indomani del delitto e nel frattempo è andato in pensione, è stato condannato a due anni e mezzo di carcere per falsa testimonianza. Marchetto avrebbe mentito durante il processo di primo grado sulla questione della bicicletta nera da donna in possesso della famiglia Stasi. Il carabiniere non sequestrò né fotografò la bici nera, nonostante fosse un elemento potenzialmente importante. Forse per giustificare l’errore, disse di avere assistito personalmente alla deposizione della testimone che l’aveva vista davanti alla villa del delitto e di essere pertanto sicuro che non corrispondeva a quella custodita nell’officina del papà di Alberto, dalla quale differiva per alcuni particolari.
Ci sono anche altri errori nelle indagini che hanno probabilmente reso più difficile raggiungere la verità. Le tracce di Dna sul corpo di Chiara, per esempio, sono state esaminate in ritardo. I carabinieri inoltre non fotografarono dei presunti graffi all’interno dell’avambraccio sinistro di Alberto Stasi. Infine, sul pigiama di Chiara, all’altezza della spalla, si notarono le impronte di quattro dita insanguinate che si ritiene siano dell’assassino. Delle impronte però rimase solo la fotografia perché furono cancellate quando il cadavere venne incautamente rivoltato sul pavimento cosparso di sangue.
Le accuse ad Andrea Sempio
Andrea Sempio, oggi tornato al centro della vicenda, era già stato iscritto nel registro degli indagati in seguito a un esposto presentato dalla madre di Alberto Stasi. Sempio era già stato sentito due volte dagli inquirenti e il suo alibi era ritenuto solido. Per la difesa di Stasi il suo numero di scarpe era compatibile con quello dell’assassino e le tracce del Dna trovato sotto le unghie di Chiara coinciderebbe con il suo – elemento difficile da dimostrare dato il deterioramento dei frammenti. La vicenda, però, era stata chiusa con l’archiviazione e con l’allora procuratore aggiunto Mario Venditti che aveva sottolineato, come ricorda il Corriere della Sera, la “pretestuosità delle indagini difensive su Sempio, l’assoluta infondatezza del suo coinvolgimento nel caso e la correttezza delle indagini svolte sul delitto”.