Intelligenza artificiale, quali lavori spariranno nei prossimi 10 anni

Dai matematici ai contabili passando per i periti e i liquidatori, le professioni che per il Censis spariranno nell'arco dei prossimi 10 anni con l'intelligenza artificiale

Mar 22, 2025 - 20:30
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Intelligenza artificiale, quali lavori spariranno nei prossimi 10 anni

Se è vero che l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenta un’evoluzione tale da semplificare di molto la vita delle persone, lo è altrettanto il rischio che alcuni lavori che oggi conosciamo possano sparire. Le previsioni confermano quest’ultimo aspetto, con il Focus Censis Confcooperative che ha sottolineato come, entro i prossimi 10 anni ben 15 milioni di lavoratori solo in Italia saranno esposti all’impatto dell’AI. Di questi ben 6 milioni saranno a serio rischio sostituzione, mentre la restante parte dovrà integrare l’intelligenza artificiale all’interno delle proprie mansioni.

I lavori a rischio sostituzione che spariranno

Lo studio del Focus Censis Confcooperative dal titolo Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi? evidenzia, come detto, che l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro potrà mettere a rischio un gran numero di lavoratori.

Se in alcuni casi verrà richiesto ai lavoratori “soltanto” l’aumento delle proprie competenze digitali, così da favorire la complementarietà con l’AI, in altri è prevista una vera e propria sostituzione.

I più esposti a tale rischio nel prossimo decennio sono principalmente i lavoratori che svolgono oggi delle mansioni intellettuali automatizzabili. Si tratta, più nello specifico di:

  • matematici;
  • contabili;
  • tecnici della gestione finanziaria;
  • tecnici statistici;
  • esperti in calligrafia;
  • economi e tesorieri;
  • periti, valutatori di rischio e liquidatori;
  • tecnici del lavoro bancario;
  • specialisti della gestione e del controllo delle imprese private e pubbliche.

Chi dovrà implementare le proprie competenze

Dei 15 milioni di lavoratori a rischio in Italia entro il 2035, tolti i 6 milioni a rischio sostituzione con l’AI ce ne sono altri 9 che dovranno accrescere le proprie competenze digitali così da riuscire a dominare l’intelligenza artificiale e creare una complementarietà tra persone e macchine.

Anche in questo caso il Censis evidenzia delle figure professionali:

  • direttori e dirigenti della finanza e amministrazione;
  • direttori e dirigenti dell’organizzazione, gestione delle risorse umane e delle relazioni industriali;
  • notai;
  • avvocati, esperti legali in enti pubblici;
  • magistrati;
  • specialisti in sistemi economici;
  • psicologi clinici e psicoterapeuti;
  • archeologi
  • specialisti in discipline religiose.

I pericoli maggiori per donne e laureati

Dai dati elaborati dal Censis emerge un ulteriore aspetto critico, ovvero che i lavoratori più esposti al rischio di sostituzione o complementarità sono coloro che hanno un maggiore livello di istruzione.

Entrando più nel dettaglio, i lavoratori considerati oggi a basso rischio (il 64% del totale) non raggiungono il grado superiore di istruzione e solo il 3% di loro possiede una laurea.

Di contro, le professioni con alto livello di sostituzione o complementarità (il 54%) hanno un’istruzione superiore, con ben il 33% che è laureato.

E ancora, i lavoratori che dovranno fare i conti con l’avvento complementare dell’intelligenza artificiale nei propri processi produttivi hanno nel 59% dei casi la laurea, mente solo nel 29% un diploma di scuola superiore.

Lo scenario descritto andrà ad aumentare il gender gap in Italia. Il rapporto evidenzia che il 57% dei lavoratori a rischio è donna.

L’AI come opportunità di cambiamento

A fronte dei dati descritti, va precisato che il Censis evidenzia anche come l’utilizzo dell’AI all’interno dei processi produttivi non debba essere visto soltanto come un fenomeno di sostituzione dei lavoratori, ma come l’opportunità per far evolvere gli stessi verso nuove competenze e mansioni.

Un cambio di paradigma, dunque, che secondo le stime porterà benefici economici non trascurabili: in 10 anni la produttività nazionale potrà far salire il Pil di 38 miliardi, ovvero dell’1,8%.