Crisi Alpine, indagini e dimissioni: come sta finendo in modo triste l’era Renault in Formula 1
C’era una volta una casa automobilistica pioniera e visionaria. Si chiamava Renault e portò il primo motore turbo in Formula Uno, facendo ridere più di un addetto ai lavori, tra cui Ken Tyrrell, che ribattezzò la Renault RS01 “yellow teapot”, ossia teiera gialla. Perché con un propulsore ancora da testare e sviluppare, le fumate lungo […] L'articolo Crisi Alpine, indagini e dimissioni: come sta finendo in modo triste l’era Renault in Formula 1 proviene da Il Fatto Quotidiano.

C’era una volta una casa automobilistica pioniera e visionaria. Si chiamava Renault e portò il primo motore turbo in Formula Uno, facendo ridere più di un addetto ai lavori, tra cui Ken Tyrrell, che ribattezzò la Renault RS01 “yellow teapot”, ossia teiera gialla. Perché con un propulsore ancora da testare e sviluppare, le fumate lungo il circuito erano all’ordine del giorno, proprio come una tazza piena di tè bollente. Invece furono i primi bagliori di una rivoluzione motoristica, certificata a Digione nel 1979. Quel giorno vinsero il GP di Francia un pilota francese (Jabouille), su macchina e motore francese (Renault), con gomme francesi (Michelin) e benzina francese (Elf). Una volta trovata l’affidabilità, il turbo poteva vincere le gare. E negli anni successivi lo fece ovunque: Formula 1, Le Mans, WCR.
Se negli anni ’80 fu il V6 a spingere Ayrton Senna su Lotus 97T al primo successo in carriera, nei primi ’90 Viry-Chatillon divenne un polo tecnologico di assoluta eccellenza, con il motore V10 Renault conteso da diversi team. Se lo accaparrò prima la Williams, con il V10 in esclusiva che divenne il cuore pulsante della straordinaria FW14B di Nigel Mansell, che nel ’92 sancì il primo titolo per il prodotto della Losanga. Poi dalla metà del decennio la Williams dovette condividere il V10 con la Benetton, per una sfida che si spostò sulla meccanica e sull’aerodinamica, visto che dal ’92 al ’97 sei titoli Costruttori e cinque titoli Piloti andarono a monoposto motorizzate Renault.
Dopo un primo abbandono della F1, la Renault rientrò nel 2001 prima come motorista della Benetton, quindi come costruttore ufficiale rilevando la Benetton stessa e vincendo due titoli Costruttori nel 2005 e nel 2006, affiancati dai due trionfi di Fernando Alonso tra i Piloti, rispettivamente con la R25 e la R26. Due stagioni spartiacque a livello di motori, con l’addio al V10 a fine 2005 e la rivoluzione regolamentare motoristica del 2006 con il passaggio al V8, che vide la scuderia francese chiudere un’epoca al top e aprirne un’altra nella stessa posizione. Ma non è finita: dopo il disastro derivante dallo scandalo Crashgate, Renault lasciò il suo team ma non il mondo della F1, rimanendo come fornitore e ritrovando il vecchio sodale della Williams Adrian Newey, accasatosi nel frattempo alla Red Bull. Fu l’inizio del primo ciclo vincente della scuderia dell’energy drink, quello che portò ai quattro titoli consecutivi griffati Sebastian Vettel. L’era del V8 fu chiusa nel 2013 da vincenti, poi arriva la rivoluzione dei motori turboibridi V6 e cominciò un’altra storia, con la casa francese che, nonostante il rientro come costruttrice nel 2016 dopo aver rilevato la Lotus, vide diminuire rapidamente il proprio status. La vittoria nel 2021 a Budapest di Esteban Ocon su Alpine A521 (il cambio di nome fu fatto per rilanciare il marchio) è stato l’ultimo sussulto.
A fine 2025 calerà il sipario sul motore Renault, la cui power unit oramai da anni non usa più nessuno salvo la casa ufficiale, con risultati deludenti. Lo fa però nel peggiore dei modi, con una squadra allo sbando dove saltano teste in continuazione senza che vengano ottenuti risultati significativi. Negli anni recenti hanno preso la porta d’uscita in tanti: team principal, responsabili di progetto, consulenti, dirigenti. I nomi? Cyril Abiteboul, Marcin Budkowski, Alain Prost, Pat Fry, Laurent Rossi, Otmar Szafnauer, Bruno Famin, fino alle recenti dimissioni di Oliver Oakes. Per non parlare dei piloti, da Fernando Alonso, che ha optato per l’Aston Martin, a Oscar Piastri, andato fino in tribunale per svincolarsi dalla Alpine (dove, da pilota Academy, in tre anni vinse F4 , F3 e F2) e firmare con la McLaren. La scorsa settimana è stato rimosso Jack Doohan a favore di Franco Colapinto, alle cui spalle c’è una forza economica maggiore rispetto a quella del pilota figlio del campione del motociclismo Mick.
Due ribaltoni, quelli di Oakes e Colapinto, all’apparenza frutto della logica conseguenza di un management da tempo proteso a dare priorità alle preoccupazioni finanziarie rispetto a quelle sportive, si veda in primis proprio l’abbandono di un motore che ha fatto la storia e la decisione di diventare un team cliente Mercedes. Ciò è vero solo nel caso dello switch tra piloti, mentre le dimissioni di Oakes si sono tinte di giallo. Inizialmente si parlava di Red Bull, dove Chris Horner sembra essere tornato in bilico dopo aver perso la fiducia anche di parte della proprietà tailandese del colosso energetico, quella che detiene il 51% delle quote contro il 49% degli eredi della famiglia Mateschitz, già da tempo schierata contro l’attuale caposquadra del team di Milton Keynes. Altri hanno parlato di Famin-bis, ricordando come l’ex team principal si fece da parte in quanto stufo di recitare di fronte ai microfoni una parte che non sentiva sua, dal momento che lui era tra i principali oppositori della scelta di abbandonare il programma motori Renault ufficiale. E la presenza di un consulente scomodo e ingombrante come Flavio Briatore, autentico braccio destro del CEO Luca De Meo, non era certo d’aiuto.
Oakes invece è fuggito a Dubai dopo l’arresto del fratello William, accusato di essere in possesso di una grande somma di denaro contante legato a operazioni di trasferimento di capitale di origine criminale. William Oakes è co-direttore del team Hitech Grand Prix, nel quale Oliver ha lavorato come team principal prima di andare alla Alpine. Gli Oakes erano subentrati nella scuderia dopo il ban alla Uralkali di Dmitrij Mazepin in seguito al conflitto russo-ucraino. Tuttavia è recentemente emerso come il passaggio del 75% delle quote Hitech dalla Bergton Management Ltd dei Mazepin alla Hitech Global Holdings Ltd degli Oakes non risulta essere mai stato accompagnato da alcuna transazione economica. Da qui l’indagine su un potenziale caso di proxies laundering, vale a dire l’utilizzo di prestanome per eludere le sanzioni internazionali. Hitech GP, uno dei team più strutturati delle categorie minori, aveva anche provato a entrare in F1, ma la proposta fu bocciata direttamente dalla FIA per ragioni finanziarie. Solo che il diniego avrebbe dovuto essere pronunciato da Liberty Media, e infatti Hitech ha vinto un arbitrato ottenendo un risarcimento dalla Federazione, condannata per una decisione che non le competeva. Di fatto, però, la candidatura di Hitech è rimasta al palo. Alla luce di queste vicende, la fuga di Oakes dalla Alpine assume altri contorni: la testata spagnola Motor16 ha parlato di una rete di interessi collaterali finalizzati a riportare i capitali di Mazepin in F1, anche attraverso una scalata alla Alpine. Non è infatti un mistero che, di fronte alla cifra giusta, il team di Enstone possa anche essere ceduto.
L’Alpine è un asset del gruppo Renault dal quale ci si attende un profitto, possiede un valore elevato principalmente grazie alla fruttuosa situazione generale della F1. Guidare la nave focalizzandosi solo sugli obiettivi sportivi può anche non essere la priorità e la soap opera un po’ triste a cui si sta assistendo da anni a questa parte ne è la conferma. Lo scorso anno l’Alpine ha avuto un sussulto nel finale di stagione, soprattutto grazie al doppio podio del GP del Brasile (dal 2013 due piloti Renault non finivano lì), meritato per la grande performance di Ocon e Pierre Gasly, ma anche fortunoso in quanto in quella gara successe di tutto a causa della pioggia. Però nella stagione attuale di conferme ne sono arrivate poche, con il nono posto nella classifica costruttori, davanti alla sola Kick Sauber, assolutamente non in linea con le aspettative iniziali che volevano il team di Enstone a lottare nella zona di centroclassifica. Se Gasly il suo lo sta comunque facendo, dimostrandosi un pilota con potenzialità per ambire a qualcosa in più del suo attuale status, Doohan ha pagato lo scotto del rookie. Ma Colapinto entra in corsa in una situazione opposta a quella dello scorso anno, quando subentrò in Williams a un disastroso Logan Sargeant giocandosi la chance con pochissima pressione addosso, arrivato quasi dal nulla, vale a dire da prestazioni nemmeno brillantissime in F2. Qualsiasi risultato ottenuto avrebbe rappresentato un discreto bonus. Adesso è l’esatto contrario: torna in pista dopo cinque mesi colmi di voci sulle sue mire al sedile di Doohan, con una monoposto ancora da decifrare e in una squadra fresca di dimissioni del team principal. In più, anche lui con una spada di Damocle sulla testa, visto che si è parlato di cinque Gran Premi per dimostrare il proprio valore, e poi chissà, magari potrebbe toccare all’altro pilota di riserva Paul Aron. Un altro giro di ruota in un team che provoca solo una terribile nostalgia per un passato glorioso e sempre più lontano.
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