Consulenti e cambio di casacca: tra libertà e opportunismo
Da sempre i cambiamenti, o cosiddetti “cambi di casacca“, accendono dibattiti e polemiche anche nel mondo dei consulenti finanziari, dove questa pratica viene messa in atto molto spesso e le new entry comunicate con orgoglio ed entusiasmo sulle varie piattaforme digitali. Luigi Alaia, private banker di IW Private Investments – divisione Fideuram, ha postato su... Leggi tutto

Da sempre i cambiamenti, o cosiddetti “cambi di casacca“, accendono dibattiti e polemiche anche nel mondo dei consulenti finanziari, dove questa pratica viene messa in atto molto spesso e le new entry comunicate con orgoglio ed entusiasmo sulle varie piattaforme digitali.
Luigi Alaia, private banker di IW Private Investments – divisione Fideuram, ha postato su LinkedIn una propria riflessione sull’argomento, rispondendo a sua volta ad un post social a cura di Adolfo Speranza, regional manager di Fideuram Ispb. Vi proponiamo di seguito entrambi gli scritti.
- “Leggo considerazioni di stimati colleghi della concorrenza, che stigmatizzano i cambi di società nel settore della consulenza finanziaria/private banking. Signori, ognuno ha la sua storia, le sue motivazioni, la sua ambizione. Ognuno ha la sua propensione oppure la sua avversione al cambiamento. Ognuno vive la sua professione come vuole, nel rispetto dei clienti e della mandante. Sul fatto poi che qualcuno valuti la sua società come la migliore, a prescindere, senza averne conosciute altre, ma solo per sentito dire, mi viene da sorridere. Detto ciò, rispetto sia chi non ha mai cambiato, sia chi ha scelto nuove strade nel suo percorso professionale. Buon lavoro!”
- “Riprendo le riflessioni del collega Adolfo Speranza su un tema che accende da sempre intensi dibattiti: il cosiddetto “cambio di casacca”. Terreno scivoloso, dove spesso si giudica a seconda del proprio punto di vista: quando se ne beneficia, è una scelta saggia; quando lo si subisce, diventa improvvisamente un tradimento. Personalmente, rispetto ogni scelta professionale. Tuttavia, faccio fatica a comprendere quei cambi “a orologeria”, ciclici, prevedibili, che sembrano dettati più da logiche di “cassa” che da reali prospettive di crescita. Credo che un vero professionista cambi non per trovare “la rete migliore”, ma il contesto migliore. Un ambiente dove poter crescere, contribuire e ricevere il giusto riconoscimento. Questo, e solo questo, dovrebbe essere il motore del cambiamento. Per arginare la deriva opportunistica? Basterebbe, forse, vietare le lettere di ingaggio — ma sì, lo so, questa è fantascienza. Più realisticamente, le aziende potrebbero pensare a sistemi di incentivazione legati non solo alla produttività, ma anche alla permanenza. Perché costruire relazioni stabili crea valore per tutti. Il cambiamento non va demonizzato. Va capito. Ma anche responsabilizzato”.