Anche il Lazio ha la sua Ilva: ancora contaminate le falde acquifere sotto lo stabilimento Leonardo di Pomezia

Anche il Lazio ha la sua Ilva. Esattamente come l’acciaieria che a Taranto da anni avvelena l’aria della città, mietendo vittime e contrapponendo la salute dei cittadini al lavoro, a Pomezia esiste un’enorme fabbrica che continua a inquinare il territorio e le falde acquifere, nonostante i tentativi di bonifica. La vicenda ambientale che riguarda lo...

Apr 18, 2025 - 12:20
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Anche il Lazio ha la sua Ilva: ancora contaminate le falde acquifere sotto lo stabilimento Leonardo di Pomezia

Anche il Lazio ha la sua Ilva. Esattamente come l’acciaieria che a Taranto da anni avvelena l’aria della città, mietendo vittime e contrapponendo la salute dei cittadini al lavoro, a Pomezia esiste un’enorme fabbrica che continua a inquinare il territorio e le falde acquifere, nonostante i tentativi di bonifica. La vicenda ambientale che riguarda lo stabilimento Leonardo, gigante dell’aviospazio e della difesa, è uno specchio di quella che si è verificata in altre aree industriali del Paese, dove la produttività e il profitto sembrano avere la meglio sulla sicurezza e sul benessere delle persone e dell’ambiente circostante.

Storia di una bonifica che non ha mai bonificato

Da oltre un decennio, l’impianto situato in via dell’Industria 4 a Pomezia è al centro di un processo di bonifica avviato dopo che l’azienda si è autodenunciata alla Regione Lazio per l’inquinamento delle falde acquifere causato dai suoi impianti produttivi. Era il 2013 quando Leonardo, in ottemperanza a un obbligo di legge, avviò le procedure di bonifica del sito, cercando di contenere l’inquinamento e fermare il flusso di sostanze pericolose, come il cromo VI, nelle acque sotterranee. Ma nonostante gli anni passati e i numerosi interventi, i risultati sono tutt’altro che positivi. A distanza di dodici anni, i livelli di contaminazione nelle falde rimangono al di sopra dei limiti di legge, sollevando preoccupazioni che vanno ben oltre il semplice aspetto tecnico della bonifica.

Già nel 2016, Arpa Lazio, insieme ad altri enti locali e regionali, aveva avviato una valutazione approfondita dello stato di salute dell’acque e dell’aria del territorio di Pomezia e Ardea, riscontrando un grave inquinamento  da tetracloroetilene e tricloroetilene, solventi utilizzati in passato in molteplici attività industriali, proprio a ridosso degli impianti industruali, stabilimento di Leonardo incluso. Questi composti, altamente pericolosi per la salute umana, sono stati rinvenuti in concentrazioni pericolose, sollevando ulteriori preoccupazioni riguardo all’efficacia della bonifica in corso. Secondo la relazione di Arpa Lazio del 2016, la contaminazione avrebbe avuto origine tra i 10 e i 20 anni precedenti  con un impatto ambientale e sanitario che si è aggravato nel tempo. Le indagini già allora avevano mostrato come, sebbene i livelli di contaminazione fossero stati ridotti in alcune aree, l’inquinamento era ancora persistente nelle acque sotterranee.

@Arpa

I solventi clorurati, infatti, non solo sono persistenti nell’ambiente, ma sono anche difficili da rimuovere, poiché tendono a migrare sempre più in profondità nelle acque sotterranee, con potenziali rischi per la salute dei cittadini che utilizzano l’acqua proveniente dalle falde contaminate per il consumo umano e per l’irrigazione.

In questi anni Arpa Lazio ha continuato a monitorare la situazione, ma la persistenza di questi inquinanti ha messo in evidenza l’insufficienza delle tecniche finora impiegate per la bonifica. Il fallimento definitivo è stato sancito proprio in questi giorni dalla Conferenza dei Servizi che si è svolta nel marzo 2025, quando l’analisi dei rischi presentata da Leonardo è stata bocciata e sono stati sollevati forti dubbi sulla qualità degli interventi adottati fino a questo momento. In sostanza, ciò che emerge anche dai documenti del Comune di Pomezia è che l’azienda, nonostante i numerosi interventi di depurazione e monitoraggio, non è riuscita a fermare il flusso di contaminazione e ha addirittura continuato, consapevolmente o meno, a inquinare l’ambiente circostante. Il trattamento delle acque reflue industriali, eseguito con il sistema “pump and treat”, che prevede il pompaggio e il trattamento delle acque inquinate, non ha avuto gli effetti desiderati. La contaminazione, infatti, persiste a livello preoccupante, compromettendo gravemente le risorse idriche della zona.

I dubbi sulle responsabilità della bonifica

La domanda che resta senza risposta è: chi ha supervisionato il processo di bonifica? Chi ha gestito gli interventi e perché questi non hanno prodotto i risultati promessi? Le istituzioni locali e regionali sono state sufficientemente vigili e competenti nel monitorare le attività di risanamento, o sono state accontentate dalle parole e dai piani presentati da Leonardo?

Leonardo è una delle aziende più importanti in Italia, con uno dei suoi stabilimenti più produttivi e redditizi a Pomezia, che genera miliardi di euro grazie alla produzione di dispositivi elettronici destinati all’industria della difesa. Tuttavia, il bilancio ecologico e umano dell’azienda è molto meno brillante. La contaminazione delle falde acquifere non riguarda solo l’ambiente, ma ha ripercussioni dirette sulla salute della popolazione locale, composta da lavoratori dell’impianto e residenti delle aree circostanti. Le acque sotterranee sono una risorsa fondamentale per l’intera comunità e continuare a lasciarle contaminate senza trovare una soluzione definitiva è una responsabilità grave, che solleva interrogativi pesanti sulla gestione dell’emergenza ambientale da parte di Leonardo e delle autorità competenti.

Urge trasparenza

La Regione Lazio ora è chiamata a fare chiarezza, a rispondere alle legittime preoccupazioni dei cittadini e a prendere in mano la situazione, perché questo tipo di disastro ambientale non può più essere ignorato. È fondamentale che le istituzioni intervengano con decisione, poiché la trasparenza su questi temi è essenziale per evitare che si ripeta una situazione simile a quella che ha caratterizzato altri siti industriali in Italia, a partire proprio dall’Ilva di Taranto.

Così esattamente come nella città pugliese la polvere d’acciaio (e la diossina) sta avvelenando lentamente i suoi abitanti, a Pomezia è l’acqua, quella che dovrebbe nutrire e sostenere la vita, a essere avvelenata. In entrambi i casi, la promessa di bonifica si è trasformata in un lungo cammino di fallimenti e ritardi, il risanamento un miraggio lontano. E a farne le spese, oltre che l’ambiente, sono i cittadini,  la cui unica colpa è quella di respirare l’aria tossica e bere l’acqua contaminata.

Ancora una volta, esattamente come a Taranto, stiamo assistendo all’ingiusta contrapposizione tra interessi economici e sicurezza, tra lavoro e salute, tra produttività e ambiente. Dicotomie che non devono più crearsi perché sia la salute che il lavoro sono diritti fondamentale. E le istituzioni sono tenute a garantirli.

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