Al Jolani fallisce il test fondamentale dello Stato: ora la Siria ha bisogno di un quadro politico serio
La Siria, mai lontana dal fronte delle turbolenze regionali, ritorna ancora una volta al centro dell’attenzione attraverso la porta del conflitto settario. Solo due mesi fa, la costa siriana è stata teatro di massacri raccapriccianti contro la comunità alawita. Oggi la violenza si ripresenta, questa volta colpendo la minoranza drusa, alimentando ulteriormente il timore di […] L'articolo Al Jolani fallisce il test fondamentale dello Stato: ora la Siria ha bisogno di un quadro politico serio proviene da Il Fatto Quotidiano.

La Siria, mai lontana dal fronte delle turbolenze regionali, ritorna ancora una volta al centro dell’attenzione attraverso la porta del conflitto settario. Solo due mesi fa, la costa siriana è stata teatro di massacri raccapriccianti contro la comunità alawita. Oggi la violenza si ripresenta, questa volta colpendo la minoranza drusa, alimentando ulteriormente il timore di una guerra civile e rafforzando la percezione che l’attuale assetto dello Stato siriano non sia più sostenibile.
Nonostante diversi Paesi arabi abbiano agito rapidamente per contenere la crisi siriana e sostenere gradualmente la stabilizzazione del regime — cogliendo quella che appare come un’opportunità storica per colmare il vuoto di potere — è necessario riconoscere che la leadership ad interim guidata da Ahmad al-Shara’ (“al-Jolani”) ha fallito il test fondamentale dello Stato in meno di due mesi. I proclami altisonanti non si sono tradotti in una governance reale. I cinque mesi trascorsi si possono riassumere come una fase di dichiarazioni prive di attuazione concreta.
Il cambiamento che ha investito la Siria è in gran parte il risultato di dinamiche regionali, in particolare del conflitto scoppiato il 7 ottobre, e non di una rivoluzione nazionale radicata. Ciò significa che la sfida principale per la Siria resta interna: offrire una soluzione credibile alla crisi, costruire un consenso nazionale e delineare un sistema politico accettabile da tutte le componenti dopo anni di frammentazione geografica, politica e sociale.
Quando una singola fazione si arroga il diritto di rappresentare l’intero popolo siriano, o tenta di imporre la propria autorità su tutto il territorio, sta di fatto eludendo la realtà. Un simile approccio conduce inevitabilmente a episodi che aggravano il conflitto interno e rendono sempre più impraticabile l’idea di una coesistenza pacifica e sostenibile.
Se è vero che le difficoltà interne sono centrali, non si può negare che le dinamiche regionali svolgano un ruolo decisivo nella ridefinizione degli equilibri siriani. Fin dalla caduta del governo centrale, Israele ha agito con decisione per rimodellare la geografia militare e di sicurezza siriana. Ha sistematicamente smantellato le infrastrutture militari del Paese e si è impegnato a impedirne la riabilitazione. Inoltre, ha mantenuto una presenza militare in aree strategiche della Siria, considerate essenziali per la propria dottrina di sicurezza futura. Questa nuova realtà de facto, imposta con la forza, ha modificato la mappa geografica della Siria—ma è destinata anche a influenzarne quella politica e sociale.
Le misure israeliane hanno aggiunto un ulteriore livello di complessità all’equazione siriana, riaprendo spazi per riallineamenti interni e regionali. Nel caso siriano, il ruolo di Israele è forse il più incisivo tra gli attori esterni. Dall’attacco del 7 ottobre, Israele ha intensificato le operazioni militari su qualunque fronte percepito come minaccia. Questa strategia aggressiva in Siria, unita al fallimento della leadership ad interim nel proporre una soluzione nazionale sostenibile, ha spinto molte comunità siriane a cercare alleanze esterne in nome della protezione e della sopravvivenza. Il cosiddetto regime ad interim ha abusato del meccanismo delle commissioni investigative — strumenti che perdono rapidamente rilevanza a ogni nuova ondata di violenza. Inoltre, il continuo riferimento a “elementi fuori controllo” non fa che minare ulteriormente la credibilità del regime, senza sollevarlo dalle sue responsabilità.
Da una prospettiva pragmatica, qualsiasi soluzione autentica alla crisi siriana deve proporre idee sostanziali e innovative. Allo stesso tempo, tale soluzione deve affermare il principio del pluralismo e garantire alle varie comunità siriane un certo grado di autonomia. Prima che la frammentazione interna diventi irreversibile, la Siria ha bisogno di un quadro politico serio, il più vicino possibile a un modello decentralizzato — capace di preservare l’unità nazionale nel suo insieme, ma che permetta ai diversi gruppi di gestire i propri affari quotidiani e tutelare la propria identità culturale.
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