Ti ricordi… Sergio Spuri e lo scudetto del Verona: “Bagnoli che imprecava in dialetto milanese, un gruppo di ferro. Oggi sarebbe impossibile”
Il mister da un lato “che impreca in dialetto milanese stretto, spesso non lo capisco neppure”, i compagni dall’altro, i pensieri nella testa, che con quelli devi conviverci per una vita, più che coi mister, più che coi compagni. Già, perché se “La solitudine dei numeri primi” è l’accostamento più facile per i portieri, la […] L'articolo Ti ricordi… Sergio Spuri e lo scudetto del Verona: “Bagnoli che imprecava in dialetto milanese, un gruppo di ferro. Oggi sarebbe impossibile” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Il mister da un lato “che impreca in dialetto milanese stretto, spesso non lo capisco neppure”, i compagni dall’altro, i pensieri nella testa, che con quelli devi conviverci per una vita, più che coi mister, più che coi compagni. Già, perché se “La solitudine dei numeri primi” è l’accostamento più facile per i portieri, la solitudine dei numeri dodici è di molto superiore. E se Lele Oriali dopo anni di fatiche e botte vinceva i mondiali da mediano, Sergio Spuri la sua impresa l’ha firmata da numero dodici, la più incredibile.
Già, perché quello Scudetto di quarant’anni fa con il Verona è il più incredibile. Sergio Spuri lo sa: “Direi di sì. Siamo stati l’unica squadra di una città non capoluogo di regione a vincere lo Scudetto. Nell’85 poi, in una Serie A pazzesca”. Certo, non si può neppure parlare di una vittoria arrivata per caso: “Due anni prima eravamo arrivati quarti, l’anno prima sesti: insomma c’eravamo. La campagna acquisti aveva portato Briegel e Elkjaer, quindi sapevamo di essere competitivi. Però l’altro lato della medaglia è che non erano stati fissati i premi Scudetto a inizio campionato: competitivi sì, ma non fino a quel punto. Li stabilirono a gennaio, quei premi”.
Poi pagano dazio Napoli, Fiorentina e Juventus nelle prime dieci giornate, con i gialloblù imbattuti e in testa alla classifica: “A quel punto arrivarono due match decisivi, quello contro il Torino e quella contro la Cremonese, lì – spiega Spuri – ho capito che la mentalità era cresciuta e che effettivamente potevamo addirittura vincere lo Scudetto”. In una squadra operaia, con tanti grandi giocatori ma senza fuoriclasse, e con un mister come Bagnoli: “Un po’ naif – ride Spuri – ma meraviglioso. Un sanguigno, quando si arrabbiava, ma non solo, cominciava a parlare in dialetto milanese stretto e io (Sergio Spuri è marchigiano, ndr) molto spesso non lo capivo. Bagnoli per quella squadra era un vero padre di famiglia: l’ho apprezzato tantissimo perché era capace di far sentire tutti importanti”.
E gli altri: “Una squadra di tanti bravissimi giocatori, con un gruppo di ferro: da Galderisi a Fanna, da Tricella a Elkjaer, fino a Briegel che era molto estroverso oltre ad essere un grandissimo calciatore, ma il segreto era il gruppo. Quello Scudetto è stato l’esempio di una grandissima vittoria di squadra”. Davanti a lui, in porta, il compianto Claudio Garella: “Avevamo un ottimo rapporto, era un gran bravo ragazzo e un simpaticone e, lo dico convintamente, un ottimo portiere. Anzi, dico che in quel periodo era sicuramente il più forte di tutti, ma non è arrivato in Nazionale perché non era così bello stilisticamente. Tra i segreti di quello Scudetto c’è anche lui: dava sicurezza a chi giocava in difesa perché anche in caso di errore difficilmente avremmo subito gol”.
Un nuovo Verona oggi? Difficile secondo Spuri: “Girano soldi che rendono impossibili imprese del genere: l’Atalanta potrebbe essere un Verona bis, è vero, anche se ci sono delle differenze strutturali importanti”. E poi c’è lui, Sergio Spuri, numero dodici tra Bagnoli e i compagni, dietro Garellik e pronto quando serve: “Beh sono parte di quella storia e sono immortale: nella chat dei Campioni d’Italia dell’85 ci sentiamo quotidianamente e diciamo proprio questo, ed è una sensazione bellissima”.
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