Suor Angelica e Il Prigioniero: un dittico pucciniano di tremenda attualità al Teatro dell’Opera di Roma

In occasione del recente centenario della morte di Giacomo Puccini, come terza parte del progetto triennale “Trittico ricomposto”, è andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma il dittico Suor Angelica/Il Prigioniero, scelta che ha consentito di celebrare anche la ricorrenza dei cinquant’anni della scomparsa di Luigi Dalla Piccola (compositore e autore anche del libretto […] L'articolo Suor Angelica e Il Prigioniero: un dittico pucciniano di tremenda attualità al Teatro dell’Opera di Roma proviene da Il Fatto Quotidiano.

Apr 28, 2025 - 18:44
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Suor Angelica e Il Prigioniero: un dittico pucciniano di tremenda attualità al Teatro dell’Opera di Roma

In occasione del recente centenario della morte di Giacomo Puccini, come terza parte del progetto triennale “Trittico ricomposto”, è andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma il dittico Suor Angelica/Il Prigioniero, scelta che ha consentito di celebrare anche la ricorrenza dei cinquant’anni della scomparsa di Luigi Dalla Piccola (compositore e autore anche del libretto della seconda opera in cartellone). Ancora una volta un’opera del Trittico pucciniano viene accostata a una di autore diverso ma comune tema: in precedenza, il sempre apprezzato direttore d’orchestra Michele Mariotti aveva accostato Il Tabarro con Il Castello del Principe Barbablù di Béla Bartók (con regia di Johannes Erath) per l’incomunicabilità di coppia, e Gianni Schicchi con L’heure spagnole di Maurice Ravel (con la regia di Ersan Mondtag) per il dramma familiare.

Diciamo subito che si tratta di opere non di facile fruizione: Suor Angelica è un’opera che vide la luce nel 1918 (la preferita di Puccini fra quelle del Trittico), ispirata a diversi aspetti della biografia dell’autore: non solo la vicinanza d’una sorella suora, ma soprattutto la triste vicenda della domestica Doria Manfredi, suicida in seguito alla scandalosa calunnia di essere sua amante.

Devo ringraziare Valentina Scheldhofen Ciardelli per avermi fatto riscoprire l’opera nel suo spettacolo Fortissime! dedicato agli archetipi femminili pucciniani: all’inizio di Suor Angelica sembra che il consueto, travolgente impeto pucciniano sia strozzato, quasi a voler rendere il senso di costrizione della condizione monacale (forzata) della protagonista. Verso la fine, nella paradossale redenzione del suicidio della protagonista (costretta a monacarsi per aver dato alla luce “il figlio della colpa”), tutta la sublimità melodica si libera nel contrasto tragico fra l’agonia singhiozzante e la solennità delle litanie lauretane.

Il Prigioniero di Dallapiccola è ispirato a un racconto “crudele” di Villiers de L’Isle-Adam, la cui penna spietata, in grado di rivaleggiare con Sade per efferatezza psicologica, fu amata da Jorge Luis Borges e Carmelo Bene. Un racconto intitolato programmaticamente: La torture par l’espérance. L’opera (1949) non solo risente del clima orwelliano del Dopoguerra, ma è pienamente immersa nelle innovazioni sperimentali dell’epoca, soprattutto di cristallina derivazione schönbergiana (non a caso Dallapiccola proprio nel ‘49 fu tra i fautori del “Primo congresso internazionale di musica dodecafonica”).

Parliamo dell’atteso debutto romano del regista spagnolo Calixto Beito: sono stato in passato spesso severo con le regie forzatamente “moderne”, nelle recenti rappresentazioni al Costanzi ho apprezzato la capacità di innovare con gusto: in questo caso la mia reazione è mista. Più che criticare la messa in scena in sé, credo che il punto sia l’approccio “filosofico”. Ad esempio, chi ne ha visto il debutto l’estate scorsa al Comunale Nouveau di Bologna ha potuto ammirare la scelta registica intelligente di Pier Francesco Maestrini di immergere le opere del Trittico pucciniano nell’atmosfera allegorica delle tre cantiche dantesche (Puccini aveva accarezzato l’idea di trasporre in scena La Divina Commedia in tre opere): l’Inferno per Il Tabarro, il Purgatorio per Suora Angelica, il Paradiso per Gianni Schicchi. Appare chiaro, in questo caso, che a Beito poco importa dell’aspetto strettamente spirituale; la regia è ben più attenta a quella che potremmo definire la parentela “kafkiana” delle opere: due figure recluse, una vittima della clausura monastica, l’altro del potere politico (nella fattispecie un detenuto nelle carceri spagnole ai tempi di Filippo II).

Al netto di alcune scelte molto distanti dal mio gusto (in un caso, la madre badessa che molesta sessualmente la protagonista, nell’altro due cardinali che si baciano oppure la madre del prigioniero con il look à la Donatella Rettore), è chiaro l’intento di sottolineare il tema politico.

Dal punto di vista canoro: applausi, in particolare nel primo atto unico per Corinna Winters e Marie-Nicole Lemieux (Suor Angelica e La zia Principessa); successivamente, per Mattia Olivieri e John Daszak, il primo nei panni de il Prigioniero, mentre il secondo si è sdoppiato tra Carceriere e Grande Inquisitore (forse non casualmente simile in scena all’immorale manipolatore Aleister Crowley).

L’individuo inerme contro la macchina devastante del Potere: un tema che credevamo ormai novecentesco, purtroppo tornato tragicamente attuale.

Photo credits: Fabrizio Sansoni, Teatro dell’Opera di Roma

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