Stiamo distruggendo anche le specie vegetali (in Europa assenti 4 piante su 5), lo studio shock
Distruggiamo tutto, anche le specie vegetali: uno studio shock guidato dall’Università di Tartu (Estonia) indica che le attività umane possono influenzare negativamente la biodiversità della flora selvatica fino a centinaia di chilometri di distanza e sono in grado di annientare quattro specie su cinque. La conclusione conferma altre ricerche precedenti: a titolo di esempio, un...

Distruggiamo tutto, anche le specie vegetali: uno studio shock guidato dall’Università di Tartu (Estonia) indica che le attività umane possono influenzare negativamente la biodiversità della flora selvatica fino a centinaia di chilometri di distanza e sono in grado di annientare quattro specie su cinque.
La conclusione conferma altre ricerche precedenti: a titolo di esempio, un lavoro di review dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN) di fine 2024 aveva dimostrato che il 38 per cento degli alberi nel mondo rischia l’estinzione, infatti al momento la della Red List include anche 166.061 specie vegetali, di cui 46.337 classificate come “minacciate”.
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©Meelis Pärtel/Università di Tartu
Come è stato condotto lo studio
La ricerca ora pubblicata, in particolare, ha valutato lo stato di salute degli ecosistemi in tutto il mondo, considerando sia il numero di specie vegetali presenti sia la diversità oscura, quella che include le specie ecologicamente idonee mancanti.
Oltre 200 ricercatori hanno studiato le piante in quasi 5.500 siti in 119 regioni del mondo, in tutti i continenti, e in ogni sito hanno registrato tutte le specie vegetali su 100 m² identificando la diversità oscura, che include le specie autoctone che potrebbero vivere lì ma assenti.
La regione fino a circa 300 km² intorno a ciascun sito è stata considerata potenzialmente in grado di influenzare il sito target: questo ha permesso ai ricercatori di comprendere appieno il potenziale della diversità vegetale in ciascun di loro e di misurare quanta di tale potenziale diversità fosse effettivamente presente.

©DarkDivNet/Università di Tartu
Il livello di “disturbo umano” in ciascuna regione è stato misurato utilizzando l’indice di impronta umana, che include fattori come la densità della popolazione umana, i cambiamenti nell’uso del suolo (ad esempio, lo sviluppo urbano e la conversione di terreni naturali in terreni coltivabili) e le infrastrutture (strade e ferrovie).
Infatti le misurazioni tradizionali della biodiversità, come il semplice conteggio del numero di specie registrate, non hanno rilevato questo impatto perché la variazione naturale della biodiversità tra regioni ed ecosistemi nascondeva la reale portata dell’impatto umano.
I risultati shock
Lo studio ha rivelato che nelle regioni con scarso impatto umano, come le vaste foreste del Nord America o la tundra della Groenlandia, gli ecosistemi contengono in genere oltre un terzo delle specie potenzialmente idonee, mentre altre specie rimangono assenti principalmente per ragioni naturali, come habitat troppo distanti tra loro o la mancanza di sistemi di dispersione dei semi.
Al contrario, nelle foreste dell’Europa occidentale e meridionale e in altre regioni fortemente colpite dalle attività umane, i siti studiati contenevano solo una specie idonea su cinque.
E non solo: la diversità vegetale in un sito è influenzata negativamente dall’impatto umano fino a centinaia di chilometri di distanza.

©Nature
I risultati indicano che la biodiversità può essere ridotta anche in ecosistemi che non sono stati direttamente modificati dall’uomo – spiega Meelis Pärtel, autore principale dello studio – ma si trovano in aree in cui le attività umane hanno causato la frammentazione dell’habitat o hanno avuto un impatto diffuso sulle aree naturali, ad esempio attraverso l’inquinamento
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Questo risultato è allarmante perché dimostra che i disturbi antropici hanno un impatto molto più ampio di quanto si pensasse in precedenza, raggiungendo persino le riserve naturali. Inquinamento, disboscamento, abbandono di rifiuti, calpestio e incendi causati dall’uomo possono innescare estinzioni locali e impedire la ricolonizzazione
Non abbiamo altro da aggiungere.
Lo studio è stato pubblicato su Nature.
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Fonti: Università di Tartu / Nature
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