Startup, exit, nuova startup: la storia di tre filosofi italiani imprenditori seriali in Silicon Valley

Ciro Greco, Jacopo Tagliabue e Mattia Pavoni si sono conosciuti all'Università Vita-Salute San Raffaele, e hanno appena lanciato la seconda startup dopo aver venduto la prima. Sempre in ambito AI L'articolo Startup, exit, nuova startup: la storia di tre filosofi italiani imprenditori seriali in Silicon Valley proviene da Economyup.

Apr 22, 2025 - 16:01
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Startup, exit, nuova startup: la storia di tre filosofi italiani imprenditori seriali in Silicon Valley

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Startup, exit, nuova startup: la storia di tre filosofi italiani imprenditori seriali in Silicon Valley



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Ciro Greco, Jacopo Tagliabue e Mattia Pavoni si sono conosciuti all’Università Vita-Salute San Raffaele, e hanno appena lanciato la seconda startup dopo aver venduto la prima. Sempre in ambito AI

Pubblicato il 22 apr 2025



Bauplan

Spoiler: Serial entrepreneurship, exit, Italia, Silicon Valley: la storia di questa settimana mette insieme tutte queste parole.

Premessa: Ho conosciuto Ciro GrecoJacopo Tagliabue e Mattia Pavoni nel 2017. Il canale di scouting è stato alquanto inusuale. Una dottoressa (ed amica) che insegnava al San Raffaele (la Prof. Anna Ogliari)  mi disse: “Conosco questi tre ragazzi, sono bravi, sono in Silicon Valley e vogliono fare una startup. Gli ho detto di provare a parlare con voi…”.

Da lì è nata la nostra avventura da early backers, con l’investimento in Tooso prima ed in Bauplan poi.

Fast forward: Tooso è stata acquisita da Coveo nel 2019. Settimana scorsa Bauplan ha annunciato il suo Seed Round: 7.5 milioni di dollari da investitori con un certo pedigree – Innovation Endeavors fondato da Eric Schmidt, l’ex CEO di Google, e South Park Commons guidato dall’ex CTO di Dropbox.

Exit e seed round da quasi dieci milioni… Cose dell’altro mondo (la Silicon Valley appunto), ancora molto poco frequenti nel Vecchio Continente. Di questo ed altro parlo con Ciro Greco.

È arrivato il seed round di Bauplan ma è progetto su cui stavate lavorando da un paio di anni. Cosa significa fare una startup in “stealth mode”? Perché?
In realtà noi non siamo stati super segreti. Siamo semplicemente stati quieti nella prima fase in cui dovevamo costruire un MVP. Fare una startup di infrastruttura cloud è molto diverso dal fare una startup di servizi. Ci sono requisiti di performance, stabilità e sicurezza che un SaaS ha molto meno. Sono “leggi della fisica”: è la natura di cosa stai costruendo…

Quindi la barra per arrivare anche ad un MVP è molto più alta e, di conseguenza, partire costa molto di più. Un buon esempio sono le aziende che fanno database come Snowflake e Cockroach Labs.

Noi avevamo bisogno di costruire almeno una prima versione della tecnologia, farla provare agli utenti giusti, iterare in pace. È stato un periodo molto produttivo che ci ha permesso di arrivare al lancio con qualcosa di concreto, non solo una promessa. Oggi Bauplan gira quarantamila jobs a settimana e serve grandi aziende come Mediaset.

Cosa fa Bauplan?
Bauplan è una piattaforma per costruire applicazioni AI e dati direttamente su “object storage”. È un prodotto per sviluppatori.  

Oggi una sostanziale parte del lavoro è gestire infrastruttura cloud per dati. Ciò per le aziende significa che usare i dati per costruire applicazioni che vanno in produzione ha costi molto alti perché c’è bisogno di un intero team che, di mestiere, gestisce l’infrastruttura cloud.

Bauplan nasce per consentire agli sviluppatori di costruire applicazioni senza preoccuparsi dell’infrastruttura: l’unica cosa di cui i nostri clienti si devono preoccupare è scrivere la logica sottostante alle trasformazioni dei loro dati, Bauplan fa tutto il resto.
Abbiamo costruito il prodotto per avere delle ergonomie molto semplici: ogni software developer può usarlo e costruire applicazioni robuste. Non servono profili iper-specializzati. 

Tutto è “versionato” — funzioni, dati, ambienti —così puoi lavorare con i dati nello stesso modo in cui lavori con il codice: apri un branch, fai una modifica, lo testi, e poi lo unisci a produzione. Nessun cambiamento è mai definitivo, nessun errore è mai fatale: puoi sempre “tornare indietro” a uno stadio precedente, e ricominciare, in tutta sicurezza. Ad oggi, crediamo sia il modo più semplice e più potente di gestire flussi di dati, modelli e agenti AI.

Il team iniziale di Bauplan proviene da Amazon, Docker, RelationalAI e ricercatori dalle migliori università del mondo. Dietro al round di finanziamento ci sono due fondi importanti come Innovation Endeavors (tra gli early investors di Uber) e SPC, molti angel provenienti dalla nostra prima azienda (tra cui tu e Marco) oltre a nuovi sostenitori dal mondo dell’AI e dei dati – tra questi, Chris Re (professore a Stanford e co-founder di TogetherAI), Spencer Kimball (co-founder di CockroachDB), Wes McKinney (inventore di Pandas e Arrow).

Facciamo un paio di passi indietro. Cosa avete studiato?
Ci siamo conosciuti all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove abbiamo studiato filosofia. Dopo la laurea, abbiamo intrapreso percorsi diversi: io mi sono specializzato in linguistica computazionale e intelligenza artificiale; Apo (Jacopo) ha fatto AI nell’industria andando a New York, mentre Mattia ha lavorato in consulenza ed e-commerce a Milano e poi a Monaco.​

Nel 2017, abbiamo deciso di unire le nostre competenze per fondare Tooso, una startup che applicava l’intelligenza artificiale al settore dell’e-commerce, migliorando l’esperienza di ricerca e personalizzazione per gli utenti. Abbiamo partecipato ad Alchemist Accelerator e ci siamo trasferiti a San Francisco per sviluppare il progetto.

Come siete arrivati in California?
La nostra storia è un po’ estrema. Abbiamo fatto la nostra prima startup, Tooso, in California, perché abbiamo trovato lì i primi angel investor lì e perché volevamo andare negli USA. Ci siamo tutti trasferiti a San Francisco senza conoscere nessuno, con pochi soldi in banca e con un visto temporaneo. All’inizio è stato veramente duro, costruire il nostro network è stato difficilissimo. Mind the Bridge ci ha aiutato tanto in quel momento, come ben sai. Marco Marinucci è stata una delle prime persone con cui ho parlato che ha davvero capito quello che volevamo fare. Ci avete creduto, avete investito ed è partito tutto.

Siamo rimasti in Silicon Valley ovviamente perché l’industria, il talento e il capitale sono qui. Nessuno avrebbe finanziato una cosa così specifica e tecnica come Bauplan in un altro posto.

Come è andata a finire la storia di Tooso?
Nel 2019, Tooso è stata acquisita da Coveo, un’azienda canadese leader nel settore della ricerca intelligente, permettendoci di portare le nostre soluzioni a un pubblico più ampio. Noi avevamo costruito un motore AI per e-commerce e Coveo voleva rafforzare le sue capacità di ricerca intelligente in un nuovo verticale. Dopo l’acquisizione, sono entrato come “VP of AI” e ho lavorato su tutta la piattaforma, scalando i modelli e i sistemi ML. È stato un bel percorso, che mi ha dato prospettiva su cosa serve davvero per fare AI dentro una azienda più grande, e ci ha dato visibilità come team in grado di eseguire a scale diverse, dal garage all’IPO.

D’altra parte, una grossa parte del nostro lavoro a Coveo è stato aiutare l’azienda a modernizzare la piattaforma dati, sforzo che ha poi influenzato la nostra decisione di costruire Bauplan. La maggior parte del lavoro per portare AI in produzione è sistemare i dati e mettere gli sviluppatori in condizione di poter lavorare senza dover spendere tutto il loro tempo a fare infrastruttura cloud.

Soprattutto oggi con gli LLM pre-trained, ci si può muovere a una velocità di sviluppo impressionante. Anzi direi che ci si deve muovere così per non restare indietro. Se un’azienda spende metà del suo headcount per i dati a orchestrare e ottimizzare clusters invece che a costruire applicazioni che danno valore al business, non va bene.

Quali errori e lessons learned dell’esperienza di Tooso avete applicato a Bauplan?

Tooso era per certi versi un’azienda un po’ unica nel suo genere. Da un lato arrivava  “tardi” sulla wave dell’e-commerce ma “super early” su quella dell’intelligenza applicata: alcune cose fatte a Tooso sono ancora oggi “state of the art” nel B2B search market! 

Bauplan nasce in un mercato significativamente più grande al centro di investimenti giganteschi: se seguire l’ “hype” non è necessariamente una buona cosa, abbiamo imparato che cercare di fare qualcosa contro lo “Zeitgeist” della Silicon Valley rende tutto ancora più complesso.

Un’altra grande lezione è stata l’importanza della comunicazione, soprattutto nelle prime fasi aziendali. Per natura, noi siamo persone che pensano e sviluppano prodotti high-tech e tendiamo a dare meno importanza ad altre attività.

L’esperienza di Tooso e soprattutto a Coveo ci ha insegnato a sviluppare questo “muscolo”: raccontare il prodotto è importante quanto costruirlo.

Quanto vi ha aiutato avere fatto una exit?
Tanto. Ti apre porte, perché ti dà credibilità. Ma soprattutto ti aiuta a capire cosa vuoi fare diversamente. Dopo una exit, puoi scegliere se rilassarti o rimetterti in gioco. Noi abbiamo scelto la seconda.

Perché gli USA sono avanti (se sono ancora avanti)?
Perché c’è una cultura del rischio che è ancora molto più forte. È normale provare, fallire, riprovare. E poi c’è un ecosistema tecnico—università, aziende, investitori— che accelera tutto. Forse la distanza si sta accorciando, ma la velocità con cui si può costruire qualcosa qui è ancora diversa.

Cosa manca all’Europa e all’Italia ancora?
La nostra esperienza di imprenditori in Italia è onestamente limitata, perché alla fine noi un’azienda in Italia non l’abbiamo mai fatta.

Crediamo nel modello di Israele: ossia una Startup Nation dove esistono capitali per iniziare (quelli difficili da raccogliere in USA senza un network preesistente) e legami con la Silicon Valley per scalare. Ogni exit crea una nuova generazione di angels che reinveste in altre startup.

L’Europa dovrebbe seguire questo schema, riconoscendo la propria dimensione “periferica” e rafforzando i legami con gli hub principali. Il talento spesso non manca, ma, per quel che vediamo, la cultura di investimento è diversa.

Ci sarebbe piaciuto avere fondi italiani nel nostro round ma co-investire con top funds, invece di essere un’opportunità, è incredibilmente ancora visto con diffidenza.

Infine, un appello alle grandi aziende: se non lavorate con startup e non comprate startup, è difficile far maturare un numero sufficiente di aziende innovative per generare un ecosistema florido.

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