Ristrutturazione dei debiti: il discrimen tra “colpa lieve” e “colpa grave” ai fini della meritevolezza, gli effetti della mancata valutazione del merito creditizio e la fattibilità del piano ultra-quinquennale.

Nota a App. Bari, Sez. I, 30 aprile 2025, n. 626.

Mag 14, 2025 - 16:52
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Ristrutturazione dei debiti: il discrimen tra “colpa lieve” e “colpa grave” ai fini della meritevolezza, gli effetti della mancata valutazione del merito creditizio e la fattibilità del piano ultra-quinquennale.

Nota a App. Bari, Sez. I, 30 aprile 2025, n. 626.

di Veronica Valeria Loi

Avvocato

Con la recentissima sentenza in oggetto, la Corte d’appello di Bari pone l’attenzione su alcuni temi dirimenti nell’ambito di una procedura di sovraindebitamento, in generale, e di un procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore, in particolare.

Il Collegio pugliese si sofferma, infatti, sugli effetti della mancata valutazione del merito creditizio ex parte creditoris e sui criteri valutativi rispetto al requisito soggettivo della meritevolezza del debitore, chiarendo il discrimen tra “colpa lieve” e “colpa grave”, oltre a precisare i criteri legati alla verifica della convenienza economica del piano proposto rispetto all’alternativa liquidatoria e alla sua possibile durata ultra quinquennale.

 

Il caso.

La vicenda sottoposta all’esame della Corte territoriale trae origine da un ricorso per ristrutturazione debiti del consumatore, presentato, ai sensi degli artt. 66, 67 e 68 del d.lgs. n. 14/2019, innanzi al Tribunale di Trani, da due coniugi sovraindebitati, i quali, descritta la loro situazione patrimoniale, a fronte di un’esposizione debitoria complessiva di € 124.094,34, proponevano di estinguere i loro debiti corrispondendo ai creditori “la complessiva somma di € 55.000,0, versando € 10.000,00 con finanza esterna e n. 120 rate mensili di € 375,00 ciascuna, per una durata totale di anni 10, con “una falcidia del credito ipotecario pari al 43%” ,

Tra i creditori presenti nella procedura, mentre l’ADE si limitava a precisare il suo Credito, l’Istituto di credito mutuante contestava la meritevolezza degli istanti e la convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Il Tribunale di Trani, con sentenza del 16.12.2024, tuttavia, omologava il piano del consumatore, rilevando che “l’opposizione della banca sulla convenienza era preclusa” stante “l’omessa corretta valutazione del merito creditizio”, non avendo l’Istituto di credito mutuante “accertato in modo specifico e puntuale la capacità dei coniugi e di restituire la somma mutuata”.

Avverso tale sentenza, la Banca ha proposto reclamo contestando:

1) la mancanza del requisito di meritevolezza del debitore;

2) l’errata valutazione della convenienza economica del piano proposto rispetto all’alternativa liquidatoria.

Costituitisi in giudizio, i sovraindebitati eccepivano l’inammissibilità del reclamo per mancata valutazione del merito creditizio e nel merito comunque il rigetto.

 

La decisione.

La Corte d’Appello di Bari ha rigettato il reclamo.

Gli effetti della mancata valutazione del merito creditizio ex parte creditoris

Innanzitutto, la Corte territoriale, nel condividere la statuizione del Tribunale in merito alla mancata valutazione del merito creditizio da parte della Banca creditrice, ricorda, che “quando viene richiesto un prestito, l’Istituto di credito effettua i dovuti controlli per comprendere in ordine alla capacità di restituzione da parte del richiedente alla scadenza, valutando, a tal fine, lo storico dei finanziamenti concessi, il reddito disponibile, il possedimento di mobili/immobili, la situazione economica al tempo della richiesta, la situazione lavorativa e tutte le altre informazioni utili per comprendere il potenziale ritorno dell’investimento.

Ma, soprattutto, il Collegio evidenzia che taleverifica è un controllo imposto dalla legge”. L’art. 124 bis del Testo Unico Bancario, infatti, impone al finanziatore «prima della conclusione del contratto di credito» di valutare «il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente»[1].

Il suddetto obbligo di verifica assolve “la doppia funzione di tutela del creditore erogante e del privato finanziato” e si inseriscenel più generico rispetto dei principi codicistici di buona fede, diligenza e correttezza del creditore.

Per cui, laddove, come nel caso sub judice, l’OCC verifichi che il merito creditizio non sia stato adeguatamente valutato scattano alcune sanzioni processuali a carico del finanziatore negligente. In particolare, “la mancata valutazione del merito creditizio ha come conseguenza l’impossibilità per il creditore di far valere le sue doglianze nell’ambito della procedura di sovraindebitamento”.

L’articolo 69 del CCII, infatti, dispone che: «Il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’articolo 124 bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta».

Circostanza che, per l’appunto, si è  verificata nel caso di specie dove, come evidenziato dal Gestore della crisi nella sua relazione,“(…) onde valutare il merito creditizio degli istanti” doveva tenersi conto che il marito “unico percettore di redditi nel nucleo familiare, nell’anno 2006 aveva percepito un reddito complessivo, derivante dal suo lavoro, pari ad € 6.206,00, come risulta dal modello 730/2007 (…), ossia pari ad una disponibilità mensile di € 517,17, disponibilità mensile di per sé sicuramente insufficiente a garantire la sostenibilità del finanziamento, tenuto conto altresì della necessità di garantire il sostentamento del proprio nucleo familiare. In realtà tale reddito “non avrebbe consentito di per sé la sostenibilità di alcun finanziamento, men che meno del mutuo erogato dalla come si evince dal prospetto di seguito riportato”.

È vero che “nel questionario di raccolta informazioni preliminare alla stipula del contratto di mutuo del 2007 i coniugi riferivano di avere un reddito annuo pari ad € 18.910,31, considerando anche introiti percepiti “al nero” (…) o comunque aliunde rispetto a quelli rinvenienti dall’attività lavorativa principale”. A tal riguardo, tuttavia lo stesso Tribunale aveva “evidenziato la mancanza di sottoscrizione in calce ai documenti prodotti” dalla Banca “e l’incertezza sulla capacità di restituzione della somma mutuata da parte dei richiedenti”, ma secondo la Corte territoriale “tali obiezioni risultano superate dall’oggettivo assolvimento di ogni onere” da parte dei debitori “che hanno provveduto puntualmente al pagamento delle rate del mutuo per oltre dieci anni”.

In ogni caso, sempre secondo il Collegio, “il questionario di raccolta informazioni preliminare alla stipula del contratto, di prassi fornito al contraente, è infatti, utilizzato dall’Istituto per assicurarsi che il soggetto che richiede il finanziamento sia capiente e in grado di soddisfare gli oneri finanziari derivanti dall’apertura di una nuova linea di credito, anche richiedendo informazioni non reperibili in Banche dati. D’altra parte, come affermato dallo stesso Tribunale, la possibilità di adempiere era stata definitivamente messa in crisi dal periodo di disoccupazione derivante dalla pandemia e dai documentati problemi di salute sopravvenuti. Senza dire, che nel contratto di mutuo vi erano anche due garanti”.

 

Il requisito della meritevolezza ex partes debitoris.

La Corte d’Appello condivide la sentenza reclamata anche rispetto alla rilevata sussistenza del requisito della meritevolezza ex partes debitoris, escludendo, nel caso di specie, la configurazione di un “comportamento gravemente colposo” dei debitori, come, invece, prospettato dalla Banca reclamante.

L’art. 69 CCI, primo comma, invero, dispone che: «Il consumatore non può accedere alla procedura disciplinata in questa sezione se è già stato esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda o ha già beneficiato dell’esdebitazione per due volte, ovvero ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode». Ne consegue che “il consumatore non può essere considerato immeritevole quando abbia ritenuto di poter ragionevolmente pagare ogni debito alla scadenza, confidando sull’entità disponibile di reddito e patrimonio, cosicché la successiva sproporzione tra risorse e passività non possa ritenersi causata da una condotta gravemente imprudente.

Per il Collegio pugliese, infatti, “non può (…) non considerarsi che nella specie sono intervenuti specifici e documentati fattori esterni non imputabili al debitore, quali la perdita del posto di lavoro, dovuto alla pandemia e la malattia invalidante da cui è stato colpitoil debitore.

Così come “va valutata positivamente la circostanza che i finanziamenti contratti, anche ove implicanti uno sforzo economico astrattamente superiore alle proprie disponibilità, siano stati in gran parte onorati, attraverso il regolare pagamento rateale per un periodo di oltre 10 anni”.

In altre parole, “sulla base della documentazione depositata, può ragionevolmente escludersi negligenza o colpevole stato di sovraindebitamento.

 

a) Il discrimen tra “colpa lieve” e “colpa grave”.

Inoltre, come ricorda l’organo giudicante, “a mente della giurisprudenza di legittimità[2] e di merito[3], formatasi sul punto, diversamente dall’art. 12 bis l. 3/2012 nella sua originaria formulazione, l’art. 69 CCII prevede espressamente che il consumatore non possa accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti se ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave”.

Risulta, quindi, “espunto il requisito della valutazione della colpa genericamente intesa, avendo il legislatore escluso la dimostrazione di requisiti soggettivi troppo stringenti, in considerazione anche della qualità dei soggetti destinatari del beneficio, che spesso sono privi di un livello culturale idoneo a rendersi conto del loro progressivo indebitamento”.

Ne consegue che “l’indagine del giudicante non dovrà più vertere, come accadeva prima della riforma, sulla sussistenza di responsabilità colposa da parte del debitore per il sovraindebitamento, ma potrà negare l’omologa del piano solo quando l’indebitamento sia derivato da colpa grave del debitore, dalla sua malafede, o da un suo comportamento fraudolento.

Con particolare riferimento all’accordo di ristrutturazione, poi, diversamente da quanto previsto dalla legge n. 3 del 2012, stante il disposto dell’art. 67 del CCI è necessaria una valutazione complessiva, discrezionale, che guardi all’insorgenza del sovraindebitamento nel suo complesso e non più in relazione al comportamento tenuto dal consumatore in occasione della singola contrazione dell’obbligazione, posto che il discrimen tra colpa lieve” e “colpa grave deve essere individuato nella intensità della consapevolezza, da parte del debitore, circa la sostenibilità delle obbligazioni assunte”.

Va, pertanto, “ravvisata la colpa grave in capo al debitore che ometta totalmente di ponderare la propria situazione, reddituale e patrimoniale, allorquando questa sia tale da rendere certa o prossima alla certezza l’impossibilità di adempiere regolarmente ovvero da far apparire del tutto irrazionale il regolare adempimento; di contro, va ravvisata la colpa lieve in capo al consumatore che valuti erroneamente la propria capacità reddituale, patrimoniale o di risparmio e si determini ad assumere impegni sulla base di considerazioni non connotate da totale irragionevolezza.

 

b) La valutazione complessiva del Giudice.

In tema di meritevolezza del debitore, quindi “la valutazione del giudiceva incentrata nella percezione della sostenibilità del debito che, al momento della sua contrazione, il debitore possa aver avuto o nel diligente apprezzamento dell’esistenza di un verosimile margine positivo di un’eccedenza tra impegni di spesa, già assunti e assumendi, e reddito disponibile, e nella ragionevole considerazione della idoneità di questo reddito a consentire il soddisfacimento dei bisogni primari del debitore e dei suoi familiari. È con riferimento a questa ipotesi che può essere ascritta rilevanza all’eventuale responsabilità del creditore nella concessione avventata del finanziamento, quale circostanza idonea ad incidere sul processo valutativo del debitore, inducendolo in errore o semplicemente sviando la sua attenzione da un corretto vaglio di sostenibilità”.

 

La valutazione della convenienza economica del piano.

Secondo la Corte, non sono condivisibili neanche le obiezioni della Banca reclamante in merito all’errata valutazione della convenienza del piano da parte del Tribunale. La reclamante, invero, lamentava che “avendo i ricorrenti proposto una falcidia del credito ipotecario pari al 43% (…), l’alternativa liquidatoria sarebbe più vantaggiosa sia per i minori tempi di realizzo della soddisfazione del credito, essendo la procedura già delegata per la vendita, sia, avuto riguardo al valore di stima del bene, per le possibilità concrete in asta di ricavare dalla vendita più di quanto indicato nella proposta omologata”. Ma, diversamente da quanto prospettato dall’Istituto di credito, “come si evince dagli atti, e riportato dalla Relazione del Gestore della Crisi, in caso di ipotesi liquidatoria la banca ricaverebbe addirittura meno del 43% del proprio credito (…); ciò in quanto l’unico bene suscettibile di liquidazione sarebbe l’appartamento ove attualmente risiede l’intero nucleo familiare, oggetto della procedura esecutiva immobiliare pendente innanzi al Tribunale di Trani” e, nella quale, “stanti i tentativi di vendita già espletati, l’ultima offerta minima di vendita ammontava appunto a € 34.718,69 (…). La convenienza del piano risiede proprio in tale differenza oltre che nel fatto che tutti i creditori si avvantaggerebbero, nell’immediato, della somma di € 10.000,00 derivante da finanza esterna[4].

 

La possibile durata ultra quinquennale del piano.

Anche l’obiezione relativa ai tempi di restituzione, ritenuti non ragionevoli dalla Banca reclamante, non è stata condivisa dalla Corte territoriale, “soprattutto considerando che il mutuo erogato era trentennale ed aveva scadenza al 30.11.2037, termine superiore a quello indicato nel piano[5]. Come ricorda il Collegio, infatti, “sulla questione è espressamente intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con ord. 28 ottobre 2019, n. 27544, affermando che, è omologabile, in assenza di specifica disposizione di legge sul termine massimo per il compimento dei pagamenti, la proposta di piano del consumatore per la soluzione della crisi da sovraindebitamento che preveda una dilazione dei pagamenti di significativa durata, anche superiore ai cinque o sette anni, non potendosi escludere che gli interessi dei creditori risultino meglio tutelati da un piano siffatto rispetto all’ipotesi liquidatoria[6].

Principio questo che la stessa Corte d’App. di Bari, aveva già recepito con sentenza del 23.07.2024[7] laddove richiama la motivazione della sentenza di legittimità sopra indicata nella parte in cui afferma che «la valutazione di convenienza è pur sempre riservata ai creditori, cui deve essere assicurata la possibilità di esprimersi sulla proposta, anche alla luce del principio di origine comunitaria della cd. “second chance” in favore degli imprenditori, ispiratore della procedura” e che “non può aprioristicamente escludersi che gli interessi del creditore risultino meglio tutelati con un piano del consumatore, che pur preveda una dilazione di significativa durata (anche superiore ai 5-7 anni), piuttosto che per mezzo della vendita forzata dei beni del patrimonio del debitore”. All’uopo la Suprema Corte rammentava che “con la vendita all’incanto di beni immobili è difficile ricavare una somma maggiore o pari al valore di stima degli stessi, ma anzi, generalmente, il creditore ottiene una somma anche inferiore (spesso di molto) rispetto a tale valore sia perché gli offerenti alle aste si avvalgono sovente della facoltà, prevista dall’art. 571, comma 2 cod. proc. civ., di offrire un corrispettivo ridotto fino ad un quarto rispetto al prezzo base, sia a causa della decurtazione dei costi della procedura del ricavato».

Pertanto, stando ai Giudici di legittimità, «se la ratio dell’applicazione del limite implicito di durata massima è quella di tutelare il creditore, nei casi appena visti non si vede perché non possa derogarsi a tale limite, concedendo l’omologa al piano, anche se di durata ultraquinquennale».

Tale soluzione avrebbe, infatti, il merito di «valorizzare il principio ispiratore delle procedure in esame, vale a dire il principio, di origine comunitaria, della cd. second chance, che trova oggi enunciazione positiva nel regolamento europeo sulle procedure di insolvenza (cfr. “considerando” 10 Reg. 848/2015 UE), e mira a garantire una seconda opportunità agli imprenditori o ai consumatori che si distinguono per meritevolezza e non abbiano causato il proprio dissesto economico in mala fede o in modo fraudolento»[8].

Del resto, come rimarca il Collegio barese, “un’interpretazione eccessivamente restrittiva, da una parte può minare l’effettività dello strumento e dall’altra non è conforme al processo, in atto a livello europeo, di cambiamento della cultura giuridica a favore della logica del salvataggio e della seconda chance, soprattutto laddove si consideri che la legge n. 3 del 2012 è stata introdotta, oltre che su spinta delle istituzioni europee, anche per arginare il triste fenomeno del ricorso al mercato dell’usura da parte di imprenditori o consumatori sovraindebitati”.

Nel caso specifico, come rileva la Corte territoriale la sostenibilità del piano “sarebbe garantita anche dall’impegno dei figli” dei debitori che, attualmente, svolgono “attività lavorative che consentono loro di mantenersi in modo autonomo, contribuendo significativamente a incrementare il reddito familiare complessivo disponibile”.  E, sempre stando a quanto “evidenziato nella Relazione, peraltro, il piano, oltre ad offrire una maggiore convenienza anche con riferimento a tutti gli altri crediti esistenti, consentirebbe l’estinzione della debitoria in epoca anteriore all’originaria scadenza trentennale del mutuo (30.11.37); viepiù, l’importo di € 42.918,00”, offerto per l’estinzione del credito vantato dalla Banca mutuante, “pari alla misura del 43% circa del credito precettato, se si considerano le rate già regolarmente corrisposte dai mutuatari per dieci anni, andrebbe a coprire l’intero capitale erogato pari ad € 100.000,00, pur escluse le spese e gli interessi convenzionali e di mora”.

Sulla base di tutte queste puntuali argomentazioni, la I Sezione Civile della Corte di Appello di Bari, quindi, ha rigettato il reclamo, condannando la Banca reclamante al pagamento delle spese di lite in favore dei debitori reclamati costituiti.

 

 

 

 

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[1] Sull’argomento si vedano, ex multis, Trib. di Nola, Sez. II, sent. del 24/02/2025 n. 11 e, sempre su questa rivista, V. VECCHI: La valutazione del merito creditizio tra aspetti formali e sostanziali, nota a Cass. Civ., Sez. I, 8 ottobre 2024, n. 26248; Trib. Avellino, Sez. I, 11 aprile 2024 con nota di M. MANDICO: Ristrutturazione debiti del consumatore: affidamento ragionevole alle verifiche del merito creditizio e assenza di colpa grave; Trib. Oristano, 7 aprile 2023, con nota di A. ZURLO: Omologa piano del consumatore: meritevolezza, valutazione del merito creditizio e contegno omissivo del debitore; Trib. Lecce, Sez. III, 28 marzo 2022, con nota di B. CAPOCCIA. Ma si vedano anche: Trib. di Napoli, 11 gennaio 2023; Trib. di Torino, 14 aprile 2022, Pres. Nosengo, Est. Mussa, edita su www.ilcaso.it.

[2] Cfr.: Cass. 22 settembre 2022 n. 27843; Cass. 27 luglio 2023, n. 22890.

[3] Cfr.: Corte App. Firenze, 8 novembre 2023; Trib. Reggio Calabria 25 gennaio 2024.

[4] Sul punto si veda anche: Trib. Bologna, 25 novembre 2023, con nota di E. CESERANI e M. CARRATTIERI: La proposta e il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: come la meritevolezza e la fattibilità conducono all’omologazione.

[5] Sul punto si vedano anche, edite su questa stessa rivista: Trib. Oristano, Sez. Fall., 8 maggio 2024, n. 5 con nota di V.V. LOI: Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: quando e perché, secondo il Tribunale di Oristano, “il contegno omissivo del consumatore” e la “significativa” durata del piano non pregiudicano l’omologa; Trib. Napoli, Sez. VII, 8 marzo 2024, con nota di M. MANDICO e della stessa autrice La moratoria nel piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore dopo il “Correttivo-Ter”: ammissibilità dei piani di rientro a lungo termine alla luce della nuova normativa e della giurisprudenza.

[6] Cfr.: Cass., sez. I, ord. n. 27544 del 28 ottobre 2019.

[7] Cfr. Corte App. di Bari, sent. del 23.07.2024, emessa nel procedimento n. 711/2024 R.G., avente ad oggetto il reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 36/2024 pubblicata il 13.05.2024.

[8] Cfr. sempre Cass., sez. I, ord. n. 27544/2019, cit.

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