Riarmo europeo, ecco come la Turchia sfrutterà affari e appalti per ammorbidire l’Ue sui diritti umani
L’Unione europea ha deciso di puntare tutto sulla Difesa e per farlo è pronta a stringere accordi anche con Paesi che non rientrano tra i suoi membri. Ma c’è un problema. Partenariati più profondi negli appalti della difesa rischiano di minare la capacità europea di far valere i principi democratici e i diritti umani al […] L'articolo Riarmo europeo, ecco come la Turchia sfrutterà affari e appalti per ammorbidire l’Ue sui diritti umani proviene da Il Fatto Quotidiano.

L’Unione europea ha deciso di puntare tutto sulla Difesa e per farlo è pronta a stringere accordi anche con Paesi che non rientrano tra i suoi membri. Ma c’è un problema. Partenariati più profondi negli appalti della difesa rischiano di minare la capacità europea di far valere i principi democratici e i diritti umani al di fuori dei propri confini. Soprattutto nei confronti di Paesi dimostratisi già particolarmente problematici, primi fra tutti la Turchia. Il governo guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan sta assumendo tratti sempre più autoritari, ma proprio gli appalti comuni in difesa gli garantiranno una posizione meno dura nei suoi confronti da parte dell’Ue.
Lo strumento che la Turchia potrebbe usare per ridurre lo spazio di manovra dell’Unione è Safe, parte del più grande piano ReArm Europe /Readiness 2030. Safe prevede che uno Stato membro possa ricevere un sostegno finanziario da 150 miliardi di euro se acquista prodotti per la difesa insieme ad almeno un altro Paese già parte dell’Unione, ad uno appartenente allo Spazio economico (Islanda, Liechtenstein e Norvegia), oppure all’Ucraina. Ma una parte di questi acquisti possono derivare anche da accordi bilaterali o multilaterali con “Paesi affini” – in particolare quelli candidati e potenziali candidati – o da Paesi terzi con cui l’Unione ha stipulato un partenariato per la sicurezza e la difesa.
Nel novero dei paesi candidati rientra anche la Turchia, già presente nel mercato della difesa europeo. “Gli Stati svolgono un ruolo chiave nella difesa dell’Europa devono partecipare al dibattito in corso, anche se non sono membri dell’Unione”, spiega Giuseppe Spatafora, analista dell’Istituto dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza (Euiss) specializzato nelle relazioni Ue-Nato. Dopo gli Stati Uniti, la Turchia ha il più grande esercito dell’Alleanza Atlantica e il secondo in Europa dopo l’Ucraina. “Nonostante le sfide politiche in corso, è un soggetto che non può essere ignorato“, aggiunge Spatafora.
L’industria della difesa turca è notevolmente migliorata nel giro di pochi anni, diventando più flessibile in termini di capacità produttiva e più innovativa dal punto di vista tecnologico. Inoltre, la produzione delle aziende turche è in linea con gli standard Nato. Grazie a questi avanzamenti, la Turchia ha intessuto profondi legami bilaterali con i Paesi dell’Unione nell’ambito della difesa. Ankara esporta navi militari al Portogallo, veicoli blindati alla Romania, i nuovi jet addestratori Hürjet alla Spagna, ha firmato contratti per la vendita e produzione congiunta di droni con vari governi dell’Europa orientale, mentre la Germania ha dato il via libera alla creazione di un sito di produzione congiunto per le munizioni turche per artiglieria sul proprio territorio. Ma l’esempio perfetto di come può funzionare Safe è la joint venture tra l’italiana Leonardo e la turca Baykar per la co-progettazione, lo sviluppo e la produzione di droni in Italia. L’accordo è pensato per rafforzare le capacità di difesa italiane ma non solo, dato che l’azienda turca punta a usare la neonata azienda come porta d’ingresso per il mercato europeo. La Turchia, poi, è anche un partner di Sky Shield, il progetto per lo scudo missilistico europeo che prevede l’acquisto congiunto di sistemi per la difesa aerea. Ankara si è più volte detta pronta ad offrire i sistemi antimissilistici sviluppati dalle aziende turche Roketsan e Aselsan.
La Turchia, dunque, parte già da una posizione privilegiata nei suoi rapporti con l’Ue in ambito di difesa e ha tutto l’interesse a rafforzare questi legami. Allo stesso tempo, l’Unione sembra disposta a ignorare il crescente autoritarismo del presidente turco in cambio di un sostegno nel rafforzamento della propria difesa. Il tutto, nonostante l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, e di migliaia di cittadini scesi in piazza nell’ultimo mese. Come spiega Riccardo Gasco, coordinatore del programma di politica estera presso il think tank turco IstanPol, non appena Safe entrerà in vigore, gli Stati membri dell’Ue firmeranno degli accordi di difesa con la Turchia in un formato molto più discreto, senza coinvolgere figure politiche di spicco e anzi cancellando le visite ufficiali ad Ankara in segno di protesta.
Questi accordi di acquisto e produzione congiunta, però, creano anche una dipendenza dal mercato turco che mina la posizione dell’Ue nei confronti dell’autoritarismo turco. “La difesa si trasforma così in una vera e propria arma che la Turchia può usare a suo vantaggio, come già successo con la questione migratoria“, spiega Gasco. “L’Ue sta agendo in modo emergenziale, ma deve trovare un equilibrio tra i suoi valori e le sue esigenze di sicurezza”.
Alla fine, si tratta di una mera questione di Realpolitik, come ha dichiarato al Parlamento europeo Nacho Sánchez Amor, relatore europeo per la Turchia. Bruxelles interagisce da anni con regimi come l’Egitto, la Tunisia, l’Azerbaigian e la stessa Turchia. Sánchez Amor però ci tiene a sottolineare che l’interesse verso il settore della difesa turca non sta spianando la strada all’adesione del paese all’Ue. “La propaganda del regime sta diffondendo questa voce, ma è falso”. Come spiega il relatore, l’adesione “riguarda la democrazia, senza scorciatoie” e “più la Turchia viene trattata come un partner, meno viene vista come un potenziale membro”. Parlando nello specifico di Safe, l’eurodeputato spagnolo assicura che l’Ue si accerterà che qualsiasi coinvolgimento di paesi terzi non contravvenga agli interessi di sicurezza e difesa dell’Ue, “o ai principi che guidano la nostra azione esterna, come sancito dal nostro Trattato”. Ma resta ancora da capire in che modo un’Ue sempre più dipendente dal regime di Erdogan potrà garantire il giusto bilanciamento tra i suoi valori e le percepite esigenze di difesa.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito delle reti tematiche di PULSE, un’iniziativa europea che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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