Rete invisibile di spaccio. Traffico da 300 chili

Nessun blitz con carichi in auto o magazzini nascosti ma la marijuana c’è stata. Per questo la Cassazione ha confermato la condanna per un uomo coinvolto. .

Mag 17, 2025 - 08:12
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Rete invisibile di spaccio. Traffico da 300 chili

di Luca Amodio

è stata crocevia di un traffico di marijuana: un traffico di marijuana invisibile. Da 300 chili. Nessuna droga sequestrata. Nessun blitz con carichi in auto o magazzini nascosti. Eppure la rotta dello spaccio passava anche da qui. Lo afferma la Cassazione che ha confermato la condanna definitiva per un uomo accusato di aver collaborato alla logistica di una rete criminale legata all’importazione di droga dall’Albania. Circa 300 chili di sostanza, mai fisicamente trovata, ma ricostruita attraverso telefonate, messaggi criptici e tracciamenti Gps. È la tesi della cosiddetta "droga parlata": termine che ormai sta entrando nel lessico giuridico e che indica quei processi in cui, in assenza di sequestri materiali, la condanna si basa su una rete di indizi gravi, precisi e concordanti: flussi di comunicazione compatibili con attività illecite, utenze intestate a prestanome, spostamenti coerenti con una catena di consegne. E è al centro della storia perché è stata la città ad avere giurisdizione sul processo. I tribunale nostrano è stato competente in virtù della cosiddetta "vis attractiva": quando in un procedimento è coinvolto un reato associativo grave, il processo può essere celebrato nel distretto dove quel reato è stato incardinato. In questo caso, un altro imputato era accusato di far parte di un’organizzazione criminale attiva tra Albania, e Brindisi: ciò ha attratto anche il procedimento collegato, portandolo proprio nel foro toscano.

L’imputato, nel merito, non è mai stato trovato in possesso diretto della sostanza. Tuttavia, la sentenza ricostruisce un suo ruolo operativo nel gestire comunicazioni, movimenti e consegne. Secondo i giudici, utilizzava telefoni usa-e-getta, riceveva ordini cifrati, e si muoveva in modo coordinato con altri soggetti già sotto osservazione. Le date-chiave sono due: l’8 aprile 2018, quando si parla di due consegne di marijuana (una da 100 e una da 60 chili), e il 12 aprile, quando si fa riferimento a un deposito temporaneo con "gli ultimi tre viaggi", per un totale complessivo di 300 chili. Il nodo giuridico è cruciale e segna il passo con i tempi: può bastare ciò che viene detto – intercettato – per fondare una condanna? La Suprema Corte dice sì, ma solo a certe condizioni. Quando la messaggistica è coerente, dettagliata e supportata da elementi oggettivi – come celle telefoniche, spostamenti Gps, incroci tra utenze – allora la condanna può essere legittima anche se la droga non viene mai fisicamente trovata. E così è stato in questo caso.

La difesa aveva cercato di smontare l’impianto accusatorio, sollevando questioni sulla competenza territoriale, e mettendo in discussione la validità delle intercettazioni. Ma la Cassazione ha detto no: è stato un nodo cruciale in una rete invisibile. Una rete dove nulla è stato sequestrato, ma tutto è stato ascoltato.