Referendum, i tormenti del Pd. Tutti alle urne. Ma divisi nelle scelte
I seguaci di Schlein appoggiano la Cgil, la minoranza dirà sì solo su sicurezza nelle imprese e cittadinanza .

"Non scherziamo: macché boicottaggio, andremo a votare". Perché neanche alla minoranza dem conviene la débâcle che rischiano i referendum sul lavoro e la cittadinanza a causa del boicottaggio da parte della maggioranza di governo e delle divaricazione interne al Pd e all’opposizione di centrosinistra. Un Nazareno e una Cgil minimizzati non convengono a nessuno all’opposizione. Non per questo però i riformisti dem, ma anche quelli renziani e calendiani, intendono assecondare i propositi abrogativi del Jobs Act sostenuti dal sindacato di Corso Italia insieme alla maggioranza schleiniana del Pd, 5 Stelle e Avs. Tutti alle urne, dunque: ma divisi nelle scelte.
Dalla riunione di lunedì sera di Energia popolare, la minoranza Pd, è infatti uscita l’indicazione in favore del Sì agli ultimi due quesiti, lasciando libertà di scelta sui primi tre in linea di massima non condivisi sul Jobs Act. Posizione che si sentono autorizzati ad assumere in virtù della libera scelta autorizzata dalla segretaria nell’ultima Direzione di molte settimane fa, il cui voto ha approvato la relazione senza prendere posizione sui quesiti.
Per onor di cronaca e a uso di chi legge occorre anzitutto una legenda. I referendum sono: 1) scheda verde: reintegro licenziati senza giusta causa nelle imprese sopra 15 dipendenti; 2) scheda arancione: aumento indennizzo licenziati senza giusta causa piccole imprese; 3) scheda grigia: aumento tutele per contratti a termine (sotto 12 mesi) e le proroghe; 4) scheda rossa: estensione della responsabilità sulla sicurezza alle imprese appaltatrici; 5) scheda gialla: dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi per la cittadinanza.
La maggioranza dem (con 5 Stelle e Avs) sostiene convintamente i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil. La bocciature del quesito contro l’Autonomia differenziata riduce tuttavia l’attenzione politica intorno alla consultazione, tanto che i partiti di governo invitano al boicottaggio, complicando il raggiungimento del quorum di circa 25 milioni di voti, più del 48,3% che hanno votato alle Europee. La minoranza riformista del Pd che – come gli alleati centristi, a cominciare dall’ideatore Matteo Renzi – non condivide le modifiche al Jobs Act non può dunque associarsi al boicottaggio. Difatti il messaggio diramato, anche dagli altri alleati moderati, è di recarsi comunque alle urne.
Per il coordinatore di Ep Alessandro Alfieri "un tagliando serve" alla riforma renziana del mercato del lavoro che dopo 10 anni non è priva di malfunzionamenti. Ma la sede per rivederla secondo Alfieri è il Parlamento. Polemicamente l’ex premier Renzi rimprovera ai riformisti di essersi venduti per 10 seggi alle prossime elezioni e dichiara che voterà contro le modifiche al Jobs Act. Autocritico sulla riforma del lavoro invece l’ex ministro Andreo Orlando che, rilevando l’estrema flessibilità del mercato del lavoro, rileva come intervenire per mitigarla non può andare a danno delle imprese e corrisponde alle esigenze attuali in cui la necessità è quella di trovare manodopera e non incrementare la flessibilità.