Permessi 104, licenziamento ingiusto con attività diverse dall’assistenza
Un caso emblematico ridefinisce il confine tra uso corretto e abuso dei permessi per assistere familiari con disabilità. Scopriamo che cosa ha stabilito la Corte

La legge 104 è centrale nella tutela dei diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari. Per i lavoratori subordinati sono previste varie agevolazioni, tra cui i notissimi permessi finalizzati all’assistenza di chi, per problemi di salute, non è in grado di provvedere a se stesso e ai propri bisogni quotidiani.
Tuttavia i benefici non sono un “diritto assoluto” ma dipendono da un utilizzo corretto e legittimo, dunque dal rispetto delle regole in materia. Chi li usa impropriamente o commettendo un abuso del diritto rischia concretamente il posto di lavoro, se non anche conseguenze penali.
Un recente caso di cronaca ci ricorda, però, che non sempre la massima sanzione disciplinare è giustificata e, talvolta, il dipendente può ribaltare la decisione aziendale in tribunale. Scopriamo allora la vicenda che ha coinvolto Cotral, società di trasporto pubblico locale nel Lazio, e perché il dipendente licenziato ha vinto la causa.
L’abuso, il licenziamento per giusta causa e il percorso processuale
Tramite una serie di controlli mirati ad arginare un diffuso assenteismo, vari dipendenti dell’azienda sono finiti nel bersaglio di provvedimenti disciplinari. Nel caso che qui specificamente interessa, gli investigatori privati, incaricati da Cotral alla raccolta di materiale fotografico, avevano ripreso uno dei lavoratori intento a fare shopping nella località di residenza. Secondo la programmazione mensile dei permessi 104 in precedenza concordata con la società, avrebbe dovuto assistere un familiare gravemente malato.
Pareva un classico abuso nell’utilizzo del beneficio, come indicava il verbale dell’azienda contestante all’autista la ridottissima assistenza, in termini orari, al suocero, e la netta prevalenza data ad altre attività configurate come “personali”. In particolare, grazie alle verifiche dei detective, Cotral aveva potuto contabilizzare un monte ore di diretta assistenza al disabile pari a poco più del 40% del tempo totale, una percentuale più bassa di quanto l’azienda si aspettava per il rispetto delle regole sui permessi 104.
Ciò che è davvero interessante della disputa legale, conseguita dall’impugnazione del licenziamento, è che i giudici hanno ribaltato più volte la situazione. Se dopo il ricorso di primo grado, il dipendente aveva ottenuto la reintegra in ufficio, la Corte d’Appello aveva dato invece ragione alla società di trasporti locali, confermando la bontà del licenziamento disciplinare. Ma, pochi mesi fa, la Cassazione ha ritenuto giuste le difese dell’uomo, emettendo una sentenza di annullamento della pronuncia di secondo grado.
I criteri quantitativo e qualitativo per valutare l’utilizzo dei permessi
Secondo i giudici di piazza Cavour, per valutare il rispetto della legge 104 conta anche il criterio qualitativo e non solo quello quantitativo. In sostanza la Corte d’Appello aveva sbagliato a confermare il licenziamento per il mero dato che l’autista Cotral non aveva dedicato almeno il 50% del suo orario di lavoro al suocero, per il quale aveva fatto richiesta della 104.
Di diversa idea la Cassazione, per cui conta non soltanto il numero di ore rivolte all’assistenza al familiare disabile, ma anche la qualità dell’assistenza stessa. In pratica questo vuol dire che un lavoratore rispetta le regole dei permessi 104, e quindi non può essere validamente licenziato, se:
- svolge attività e ore di assistenza diretta e domestica al malato;
- svolge attività diverse ma pur complementari, accessorie e necessarie alla miglior assistenza diretta.
Insomma, il lavoratore che nelle ore di permesso in cui altrimenti avrebbe dovuto essere al lavoro esce e si reca presso lo studio medico, compra medicinali, prodotti per l’igiene e cibi e bevande per la persona con disabilità, non vìola gli obblighi di condotta di cui alla legge 104. Anzi, agisce nel pieno interesse del familiare e, quindi, in piena aderenza al dettato del legislatore. Di conseguenza nessuna contestazione può essere validamente mossa dal datore di lavoro.
La vittoria finale in appello e il risarcimento al lavoratore
La vicenda non si è conclusa dopo la sentenza della Cassazione, data la mancanza dell’ulteriore sentenza finale della Corte di Appello. In conformità alle indicazioni della Suprema Corte, il dipendente ha ottenuto una nuova pronuncia favorevole.
Ormai pensionato, l’uomo si è giovato della condanna definitiva di Cotral al pagamento del totale delle spese processuali da lui sostenute, pari a più di 30mila euro, a cui si sono sommate anche le differenze retributive e contributive. Una soddisfazione risarcitoria per chi l’ha spuntata in tribunale dopo una lunga battaglia.
Che cosa cambia per i permessi 104 e gli abusi
Questa vicenda ci insegna che l’uso improprio dei permessi 104 sono repressi dalle aziende, grazie ai controlli con agenzia investigativa – pur nel rispetto della sfera della privacy individuale. Ma nessun licenziamento è legittimo se le ore fuori ufficio sono sfruttate non soltanto per l’accudimento diretto del familiare con disabilità, ma anche per attività collaterali, accessorie e comunque utili e rispondenti all’interesse del disabile stesso.
Ecco perché la Cassazione ha distinto criterio qualitativo e criterio quantitativo nel valutare il tempo dedicato all’assistenza.
Nel caso in cui il licenziamento sia invece fondato, può aprirsi il distinto filone penale per accertare il reato di truffa ai danni dello Stato. Sono le situazioni in cui il lavoratore, per violazione delle regole sui permessi 104, percepisce indebitamente l’indennità a copertura delle ore “agevolate”.
Andare in vacanza, svolgere attività meramente personali durante il giorno di permesso, come hobby all’aperto, sport, incontri con gli amici, o usare i permessi per svolgere un secondo lavoro o attività in nero sono tutte attività che violano le norme di legge, come confermato più volte dalla Cassazione.
Si pensi, tra le molte pronunce, alla sentenza 8784/2015 con cui la Corte ha ribadito che chi usa i permessi per farsi gli affari propri – in specifica vicenda per partecipare a serate di ballo – commette un’infrazione alla regola che apre le porte al licenziamento in tronco.