Paternal leave: il film che rivela il cuore fragile di padri e figli
Un’adolescente e un padre assente si incontrano sulla Riviera Romagnola: la storia di un legame ritrovato, tra silenzi e verità scomode

Ogni giovane, quando passa la soglia dell’infanzia e diventa adolescente, inizia a guardare la vita con occhi diversi. I genitori non sono più figure onnipotenti, gli eroi su cui basare la propria esistenza, ma si trasformano in esseri umani. Fallibili. Contraddittori. Spaventati. I giovani, così, si affacciano al mondo e vogliono essere guardati per quello che sono veramente. Il coming of age, nel cinema e nella letteratura, affronta proprio questo percorso di crescita, ponendo l’accento soprattutto su personaggi che vivono o hanno vissuto dei traumi. Non è più quel diventare grandi che ci insegnano sui banchi di scuola, ma l’affrontare percorsi non lineari, non gloriosi, non semplici.
"Paternal Leave", diretto da Alissa Jung, è un film che si muove esattamente su questo crinale: l’incontro tra un’adolescente e il padre che non ha mai conosciuto. Non per sua scelta. Un racconto di formazione che coinvolge entrambi, ambientato sulla Riviera Romagnola, fuori stagione, fatta di spiagge deserte e silenzi invernali, come fossero il riflesso dei vuoti interiori dei protagonisti.
Abbiamo incontrato la regista tedesca e i due interpreti principali, Luca Marinelli e Juli Grabenhenrich. L’intervista si è presto trasformata in una chiacchierata intima, come se il film avesse scavato non solo nei personaggi, ma anche dentro di loro.
“Sì, mi affascinava raccontare un rapporto tra due solitudini che si appartengono senza conoscersi,” dice Alissa, “una figlia che si aspetta di trovare uno stronzo e invece trova un essere umano, con tutte le sue stranezze. E scopre di assomigliargli.”
Un padre che non c'è stato, una figlia che ha bisogno di sapere il perché. Il personaggio di Paolo (Luca Marinelli) porta con sé il peso di una fuga mai del tutto spiegata, e per Marinelli la sfida più grande è stata proprio girare le scene iniziali, cariche di gelo emotivo, dopo settimane di prove in cui aveva costruito un legame forte con Juli Grabenhenrich. “La difficoltà era partire con una distanza fredda, dopo aver creato una fiducia reciproca. Era come rinnegare ciò che avevamo costruito per poterlo ritrovare in scena,” racconta.
Ma Paternal Leave non è solo la storia di un padre e una figlia: è anche il ritratto di una generazione che cerca risposte in un mondo emotivamente disordinato. Leo, interpretata con forza e fragilità da Juli Grabenhenrich, attraversa un percorso che la porta a confrontarsi con il dolore, il rifiuto e una forma embrionale d’amore. “Il momento più intenso? Il primo incontro, dove serve coraggio per dire anche solo ‘ciao’, e una delle ultime scene, in cui Leo capisce che non tutto si aggiusta solo perché ci si è detto la verità,” spiega l’attrice.
Il film è costruito sull’idea che non si possa cambiare il passato, ma forse - imperfettamente, faticosamente - si può ancora costruire qualcosa nel presente. Quando chiediamo se c’è stato un momento della loro vita in cui hanno dovuto lasciare andare qualcosa per andare avanti, la risposta è unanime. “Dimenticare no. Ogni scelta che facciamo ci porta dove siamo oggi. Non si dimentica: si sceglie.”
E forse è proprio questo il cuore pulsante del film. Non la redenzione, ma la possibilità - fragile, umanissima - di scegliere, magari di restare o andare, forse provarci.
Nel marasma di storie adolescenziali dal retrogusto zuccheroso o drammaticamente stereotipato, Paternal Leave sceglie un altro registro: quello del rispetto emotivo. Non offre risposte, ma pone domande che restano addosso come sabbia umida. E nella voce di chi l’ha pensato e vissuto, si percepisce qualcosa di raro nel cinema contemporaneo: il coraggio di restare umani.