Nuova offensiva di Israele a Gaza. Hamas riprende i negoziati a Doha
Gli attacchi hanno causato almeno 115 morti. Tajani: "Non vorremmo più vedere i palestinesi soffrire". Si lavora a un cessate il fuoco di due mesi e all’ingresso di aiuti umanitari per la popolazione.

Bombardamenti incessanti dal cielo e da terra "su decine di obiettivi terroristici" e rinforzi militari dislocati in postazioni elevate da dove è più favorevole il controllo della striscia di Gaza. Questi, secondo l’Idf, gli ultimi preparativi in vista della "potente Operazione Carri di Gedeone" destinata a scattare se da Doha (Qatar) – dove sono in corso negoziati serrati – non arrivasse in extremis la notizia di un accordo di tregua con Hamas. Assieme alle fiammate di fuoco – che secondo fonti locali hanno causato almeno 115 morti – Israele ha fatto piovere dal cielo anche volantini di guerra psicologica. Mostrano il mar Rosso mentre si dischiude di fronte al popolo ebraico guidato da Mosè e annunciano: "Gente di Gaza, l’esercito israeliano arriva". Secondo il ministro della difesa Israel Katz queste pressioni combinate stanno avendo effetto: "La delegazione di Hamas a Doha è tornata al tavolo dei negoziati, in contrasto con le sue posizioni passate. E ciò senza la ripresa di aiuti umanitari e senza un cessate il fuoco sul terreno".
Parole contraddette in parte dalla stessa radio militare secondo cui Israele ha invece introdotto, ma in maniera discreta, quantità di diesel e cibo ad alcuni ospedali di Gaza gestiti da staff stranieri. La sensazione che l’Idf stia per intraprendere una nuova massiccia operazione nella già disastrata Gaza desta preoccupazione e sgomento internazionale. A nome dell’Italia il ministro degli esteri Antonio Tajani ha invocato un immediato cessate il fuoco. "Non vorremmo più vedere la popolazione palestinese soffrire – ha affermato – Liberiamo gli ostaggi ma lasciamo stare il popolo che è stato vittima di Hamas. Al governo israeliano dobbiamo dire: basta, la reazione c’è stata. Garantiamo la vostra indipendenza e la vostra sicurezza, ma arriviamo alla pace". La fine immediata della guerra è stata invocata, da Tel Aviv, anche dai familiari dei 58 ostaggi, che ormai confidano solo in Trump. "Netanyahu – ha denunciato la loro portavoce, Einav Zengauker – ci trascina in una guerra superflua, dovuta a considerazioni di politica interna. Mette a repentaglio così le vite degli ostaggi, fra cui mio figlio, e dei soldati".
Mentre sul terreno resta incerta la sorte di Muhammad Sinwar (l’uomo forte dell’ala militare di Hamas, rimasto forse sepolto giorni fa in una struttura sotterranea durante un bombardamento israeliano), a Doha la delegazione di Hamas mostra cenni di flessibilità e si dice pronta a tornare a negoziare: non più necessariamente la fine definitiva del conflitto, ma anche una tregua provvisoria, come insiste Israele. Si tratta di una riedizione di una proposta sottoposta mesi fa dal consigliere di Trump, Steve Witkoff, che il presidente Usa – secondo la tv pubblica israeliana – sta ora sostenendo con "forti pressioni". Essa prevede un cessate il fuoco di due mesi, la liberazione immediata di un primo scaglione di 10 ostaggi vivi in cambio di 200-250 prigionieri palestinesi.
Prevede inoltre negoziati sulla fine delle ostilità, accompagnati dalla graduale liberazione di altri ostaggi. Un elemento di priorità sarebbe ovviamente riservato all’ingresso di massicci aiuti umanitari alla popolazione. Infine Hamas richiede assicurazioni internazionali relative al ritiro totale e definitivo da Gaza delle forze israeliane. In questo dialogo è tornato ad inserirsi anche il presidente palestinese Abu Mazen. Da Baghdad, dove partecipa al vertice arabo, ha ribadito che "Hamas deve rinunciare al controllo di Gaza e tutte le fazioni della Striscia devono consegnare le armi all’Autorità nazionale palestinese" per procedere così verso la realizzazione della formula dei Due Stati.