Non si può licenziare un lavoratore disabile senza una valida ragione

lentepubblica.it Per licenziare un lavoratore disabile il datore di lavoro deve porre a fondamento della sua decisione una documentazione precisa, coerente e verificabile: lo sostiene la Cassazione. Nel mondo del lavoro, la tutela contro la discriminazione rappresenta un principio cardine, che non può mai essere messo in secondo piano. A ricordarlo è la Corte di Cassazione, […] The post Non si può licenziare un lavoratore disabile senza una valida ragione appeared first on lentepubblica.it.

Mag 8, 2025 - 11:21
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Non si può licenziare un lavoratore disabile senza una valida ragione

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Per licenziare un lavoratore disabile il datore di lavoro deve porre a fondamento della sua decisione una documentazione precisa, coerente e verificabile: lo sostiene la Cassazione.


Nel mondo del lavoro, la tutela contro la discriminazione rappresenta un principio cardine, che non può mai essere messo in secondo piano. A ricordarlo è la Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza n. 460/2025, ha stabilito un importante precedente: il licenziamento di un lavoratore disabile non può essere giustificato unicamente da esigenze organizzative.

Il caso che ha sollevato la questione

La controversia è nata dopo il licenziamento di una dirigente, l’unica dipendente disabile di un’azienda, la quale decideva di impugnare il provvedimento. In particolare, la donna sosteneva che la vera causa del licenziamento era da ricercarsi nella sua condizione di disabilità, sopravvenuta durante il rapporto di lavoro e non nella decisione di riorganizzare il comparto aziendale, come dichiarato dal datore di lavoro.

La prima decisione dei giudici di merito

Tribunale e Corte d’Appello avevano inizialmente respinto il ricorso, ritenendo che l’eliminazione della posizione lavorativa dall’organico e la mancata sostituzione della dirigente costituissero prove sufficienti per escludere intenti discriminatori. In sostanza, per i giudici territoriali, la riorganizzazione interna era una motivazione legittima e prevalente.

Il ribaltamento della Cassazione

Diversa però la lettura della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso della lavoratrice. I giudici hanno chiarito che la presenza di una disabilità – così come definita dalla normativa europea – impone al datore di lavoro un obbligo di maggiore cautela e verifica. In base al d.lgs. 216/2003, infatti, qualsiasi recesso deve essere valutato caso per caso al fine di accertare l’assenza di discriminazione, anche quando le motivazioni sembrano economiche.

Secondo la Suprema Corte, anche se un’azienda invoca una riorganizzazione interna, ciò non basta a escludere una violazione dei diritti se emergono elementi che suggeriscono una discriminazione indiretta. Le tutele previste per i lavoratori disabili prevalgono su altri interessi aziendali, poiché tutelano principi fondamentali come dignità, inclusione e parità di trattamento.

I riferimenti giuridici a tutela del lavoratore disabile

Nella sua decisione, la Cassazione ha richiamato norme fondamentali per la protezione contro i licenziamenti discriminatori e in particolare:

  • l’art. 4 l. 604/1966 [1], che impone limiti alle cause di licenziamento;
  • l’art. 15 Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970) [2], che sancisce il divieto di discriminazioni;
  • l’art. 3 l. 108/1990 [3] in materia di nullità dei licenziamenti discriminatori;
  • la direttiva 76/207/CEE, che sancisce il principio della parità di trattamento tra uomini e donne, estesa dalla giurisprudenza anche alle disabilità.

Tutte queste disposizioni sanciscono che un licenziamento illegittimo per motivi discriminatori resta nullo, anche in presenza di altri motivi apparentemente leciti.

Cosa cambia per le aziende

Il messaggio è chiaro: quando si tratta di lavoratori con disabilità, non basta indicare una motivazione strutturale o organizzativa. Il datore di lavoro deve porre a fondamento della sua decisione una documentazione precisa, coerente e verificabile, capace di dimostrare che il licenziamento è stato deciso per ragioni concrete e non come pretesto per eludere i divieti previsti dalla legge.

È l’azienda, infatti, a dover provare l’assenza di intenti discriminatori. Questo significa non solo fornire un valido motivo, ma anche dimostrare che tale motivo non nasconde alcuna forma di pregiudizio. La trasparenza dell’intero processo decisionale è essenziale per evitare contenziosi e sanzioni.

Note

[1] Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza a un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o conseguente all’esercizio di un diritto ovvero alla segnalazione, alla denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica effettuate ai sensi del decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, è nullo.

[2] È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:

  1. a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
  2. b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età, di nazionalità o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

[3] Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell’articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge. Tali disposizioni si applicano anche ai dirigenti.

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