MillenniuM al Salone del Libro di Torino 2025: “In Italia paghiamo lo scotto di una scarsissima cultura nel settore ‘esteri’. Viviamo in una sorta di bolla”. Il dibattito

“Quando sento i TG italiani parlare della Libia mi si accappona la pelle”. Lo spiega Nancy Porsia, giornalista indipendente, nell’incontro sulla “narrazione della guerra” organizzato dal mensile MillenniuM al Salone del Libro di Torino 2025. “In un’epoca in cui foto e notizie di guerra circolano in tempo reale, qual è il ruolo del fotogiornalismo indipendente?” […] L'articolo MillenniuM al Salone del Libro di Torino 2025: “In Italia paghiamo lo scotto di una scarsissima cultura nel settore ‘esteri’. Viviamo in una sorta di bolla”. Il dibattito proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 17, 2025 - 16:18
 0
MillenniuM al Salone del Libro di Torino 2025: “In Italia paghiamo lo scotto di una scarsissima cultura nel settore ‘esteri’. Viviamo in una sorta di bolla”. Il dibattito

“Quando sento i TG italiani parlare della Libia mi si accappona la pelle”. Lo spiega Nancy Porsia, giornalista indipendente, nell’incontro sulla “narrazione della guerra” organizzato dal mensile MillenniuM al Salone del Libro di Torino 2025. “In un’epoca in cui foto e notizie di guerra circolano in tempo reale, qual è il ruolo del fotogiornalismo indipendente?” è l’interrogativo che struttura l’incontro. Ed è Mario Portanova, caporedattore e responsabile del mensile del FattoQuotidiano a rivolgersi senza troppi preamboli ai suoi ospiti; Porsia e il fotografo di guerra Alfredo Bosco. “Voi andate lì, vedete quello che succede, lo riportate, tornate in Italia e vedete la guerra raccontata nei talk. Vi riconoscete in quei racconti?”, si chiede Portanova.

“Rispetto alle situazioni che conosco e seguo sul campo, tra Africa e Medio Oriente, quando vedo i TG e leggo i giornali mainstream mi si accappona la pelle”, esordisce l’autrice di Mal di Libia (Bompiani). “In Italia paghiamo lo scotto di una scarsissima cultura nel settore “esteri”. Viviamo in una sorta di bolla: quello che succede in Italia fa notizia, quello che succede fuori no. Non solo la dimensione della guerra non appartiene agli under 40 se non per la guerra in Ucraina, divenuta una visione voyeuristica perché alle porte di casa. Ma è il giornalismo mainstream a vivere di autocensura e omologazione. Ci sono gli stessi identici colleghi a coprire in contemporanea, che so, Ucraina, Gaza e la qualunque”.

Un atteggiamento professionale e culturale che porta a problemi percettivi di lettori e spettatori molto singolari: “Guardate al poco coraggio con cui si utilizzano giusti termini – continua – Quanto tempo ci abbiamo messo per sdoganare concetti come pulizia etnica e genocidio a Gaza? Oggi quasi ce l’abbiamo fatta, anche perché tecnicamente lo dicono le Nazioni Unite. Se sei freelance il giornalista sul campo fa la differenza: hai un altro approccio, spendi più tempo lì. Ad esempio io ho vissuto quattro anni in Libia e ho perduto un po’ di quella cultura eurocentrica che mi appartiene, stando in solitaria, come a corpo libero per tutto quel tempo, ho modificato il mio approccio nel raccontare le cose”.

“Come reporter sono scioccato tra quello che vedo quando torno a casa e quello che vedo sul campo”, ricorda il fotoreporter Bosco presente in Donbass fin dal 2014 quando nessuno sapeva e vedeva quello che succedeva tra milizie ucraine e popolazione russofona. “Quando sei sul campo incontri persone a cui non interessa nulla di geopolitica. Per loro sono più importanti questioni pragmatiche come se il ponte distrutto verrà ricostruito, s ci siano vie per accedere dai propri cari, l’acqua potabile, il lutto, la sofferenza. In Italia dei temi esteri se ne parla un po’ come nei dibattiti post partita di calcio. Del resto negli ultimi mesi non vediamo più immagini dalla prima linea in Ucraina dove ancora si combatte”. Bosco sottolinea anche che la prima linea ucraina e nel Donbass somigliano un po’ a “Mad Max: Fury road”: “è come se Ferrero o Agnelli fossero proprietari di battaglioni dell’esercito italiano. Molti industriali in ucraina fanno così, non è uno stato democratico. Perfino l’ex presidente Poroshenko finanzia un suo battaglione per la guerra. E per potere seguire ogni singolo battaglione devi accreditarti al singolo ufficio stampa”. Si affaccia così all’orizzonte la questione del “citizen journalism”, qualcosa che a Gaza negli ultimi mesi in mezzo alla macerie della distruzione compiuta da bombe e tank israeliani si è materializzata per forza, anche perché Israele non fa accedere fotoreporter ufficiali alla Striscia: “In Libia mi dicevano: non ne possiamo più di voi, non capite nulla del nostro paese, scrivete una cosa per un’altra – sottolinea Porsia – L’unica strada che possiamo percorrere quindi oggi nei reportage di guerra è solo lo slow journalism”.

Infine, fondamentale su storia e senso dell’immagine fotografica l’excursus di scatti iconici per raccontare la guerra, illustrato da Lorenzo Sansonetti, photoeditor di MillenniuM: dalla celebre foto di Robert Capa sul fronte della guerra civile spagnola negli anni trenta, passando sempre per Capa con lo sbarco in Normandia fino agli scatti “critici” dei fotoreporter Usa in Vietnam, e alle immagini della guerra fornite direttamente dai militari statunitensi per la guerra in Iraq nel 1991. “Oggi però viviamo un’epoca di bombardamento delle immagini senza precedenti. Un’inondazione che però non ci permette facilmente di analizzare il fenomeno che esaminiamo – chiosa Sansonetti – è una sorta di paradosso: siamo così pieni di immagini ma non riusciamo a vedere e comprendere,a cogliere bene la guerra”.

L'articolo MillenniuM al Salone del Libro di Torino 2025: “In Italia paghiamo lo scotto di una scarsissima cultura nel settore ‘esteri’. Viviamo in una sorta di bolla”. Il dibattito proviene da Il Fatto Quotidiano.