L’ombra del nucleare tra India e Pakistan: non si rischia una guerra locale, ma una catastrofe globale
di Simone Millimaggi “La guerra è sempre una sconfitta dell’umanità”, scriveva Giovanni Paolo II. Eppure, oggi, quelle parole risuonano come un monito inascoltato mentre India e Pakistan, due potenze nucleari, si scambiano colpi sempre più duri lungo la Linea di Controllo nel Kashmir, una regione contesa da settant’anni e oggi più che mai polveriera del […] L'articolo L’ombra del nucleare tra India e Pakistan: non si rischia una guerra locale, ma una catastrofe globale proviene da Il Fatto Quotidiano.

di Simone Millimaggi
“La guerra è sempre una sconfitta dell’umanità”, scriveva Giovanni Paolo II. Eppure, oggi, quelle parole risuonano come un monito inascoltato mentre India e Pakistan, due potenze nucleari, si scambiano colpi sempre più duri lungo la Linea di Controllo nel Kashmir, una regione contesa da settant’anni e oggi più che mai polveriera del mondo.
Le cifre sono crude: almeno 38 morti tra i civili, decine di feriti, interi villaggi sconvolti dal fuoco incrociato. Delhi afferma di aver colpito nove basi terroristiche in territorio pakistano, mentre Islamabad replica di aver abbattuto 25 droni Harop di fabbricazione israeliana, alcuni dei quali precipitati vicino a installazioni militari sensibili. “I detriti vengono recuperati in diverse zone”, dichiara l’esercito pakistano, in un comunicato che suona come un’accusa senza appello.
Dall’altra parte, l’India denuncia tredici vittime e 59 feriti nel Jammu e Kashmir, dove l’artiglieria pakistana avrebbe violato il cessate il fuoco. Lahore e Karachi, le grandi metropoli pakistane, tremano sotto il rombo dei droni abbattuti e delle esplosioni, mentre il governo sospende i voli negli aeroporti principali, segno di un paese in stato d’allerta. Perché si arriva a questo punto?
La storia del Kashmir è una ferita mai rimarginata. Dal 1947, la spartizione tra India e Pakistan ha lasciato questa terra divisa da un confine invisibile e insanguinato. Il Kashmir, infatti, non è un problema meramente territoriale, ma una questione di identità dalle sfaccettature molto complesse, come osservava anche lo storico britannico Alastair Lamb. E oggi, quella identità è ancora più contesa. Da un lato, l’India che accusa il Pakistan di sostenere gruppi jihadisti; dall’altro, Islamabad che denuncia la repressione di Delhi nella valle del Kashmir, dove da anni infuria una guerriglia separatista.
Ma c’è di più. L’ascesa dei nazionalismi in entrambi i paesi ha reso ogni concessione un tabù politico. Il premier indiano Narendra Modi, con la sua retorica hindutva, e il Pakistan, sempre più stretto tra l’esercito e le frange estremiste, non possono permettersi di apparire deboli. E così, la spirale della violenza si autoalimenta. In mezzo a questo inferno, la voce di Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace, risuona come un grido di speranza. Scrive su X: “L’odio e la violenza sono i nostri nemici comuni, non gli uni contro gli altri”. Bisogna avere il coraggio di fermarsi. Perché il vero pericolo, oggi, non sono i droni o l’artiglieria, ma l’arsenale nucleare che entrambi i paesi possiedono.
Le atomiche, d’altronde, non sono armi, ma suicidi collettivi. Eppure, nel 2025, il mondo sembra averlo dimenticato.
Se Delhi e Islamabad continueranno a brandire la minaccia nucleare come ultima ratio, il rischio non è una guerra locale, ma una catastrofe globale. La pace non è un’utopia, è una necessità. La diplomazia internazionale è oggi chiamata a un compito urgente. Come nel 1999, quando Bill Clinton costrinse i due rivali a ritirarsi dalla crisi di Kargil, oggi l’Onu e le potenze mondiali devono imporre una mediazione immediata. Perché, come ammoniva Gandhi, “occhio per occhio finirà per rendere cieco il mondo intero.” E il mondo, oggi più che mai, non può permettersi di chiudere gli occhi.
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