Le Valorose | Marisa Bellisario, prima manager italiana, icona della parità di genere

Marisa Bellisario diceva che una donna può farcela, a patto che lo voglia e creda in se stessa: oggi quelle parole sembrano un lascito ingenuo, alla luce delle tante disparità di genere ancora tutte da sanare, ma è certo che la sua avventura di pioniera ha dato fiducia a milioni di giovani donne  

Apr 17, 2025 - 05:51
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Le Valorose | Marisa Bellisario, prima manager italiana, icona della parità di genere

Marisa Bellisario amava stare dove tutte le altre ancora non lo facevano, per esempio nelle fabbriche che lavoravano sul futuro. Nel 1959 entrò all’Olivetti, nella divisione elettronica come programmatrice su Elea 9003 (sta per Elaboratore Elettronico Aritmetico), il primo computer a transistor progettato e prodotto in Italia, uno dei primi al mondo, figlio di un’azienda che era un colosso nella tecnologia meccanica, ma puntava a bucare il futuro e diventare protagonista dell’elettronica di frontiera, ovvero dei primi veri e propri personal computer. La giovanissima Marisa, nata nel 1935 a Ceva, in provincia di Cuneo, si era innamorata della programmazione dopo aver seguito un corso, ma aveva studiato come ragioniera, poi si era laureata in Economia e commercio a Torino e, perciò, passò presto al campo commerciale. Da qui scalò, fino alle guglie, quel regno di soli maschi che era la dirigenza aziendale nel business informatico. 

La prima esperienza alla Olivetti

Nel 1979, a vent’anni spaccati dal suo primo giorno nella fabbrica di Ivrea, Marisa Bellisario era in sella a una carriera internazionale: mandata negli Stati Uniti come Presidente della consociata Usa, la Olivetti Corporation of America, per risanarne il bilancio, lo fece in tempi record. L’America ne riconobbe subito le doti manageriali: pensava in grande, la Bellisario, anticipava i tempi, sapeva motivare le persone. Celebre quel “Marisa and gentlemen” con cui si aprivano tutti i tavoli internazionali, dove lei, unica donna in un pianeta di maschi, teneva alta l’idea di una leadership femminile diversa e personale che non voleva concedere nulla al modello di comando plasmato sino ad allora dagli uomini. 

Alla guida di Italtel

Marisa Bellisario rientra in Italia nel 1981, per prendere il timone di un’altra avventura manageriale audace e tortuosa, Italtel, di cui viene nominata – neanche è immaginabile, allora, declinare formalmente il titolo al femminile – Amministratore delegato. Italtel è un grande gruppo parastatale con 30.000 dipendenti, è in sofferenza, va alleggerita, i bilanci piangono. «Sono sola e parto da zero: è la mia vocazione», dirà, e in pochi anni rilancerà il polo attraverso quella miscela di fermezza e sensibilità che saranno la sua cifra manageriale. Quello che firma è un processo industriale di risanamento che non ha precedenti. «È dura, ma corretta», scrive di lei la stampa internazionale. E quando i giornalisti economici lanciano un sondaggio incoronandola Il manager più duro dItalia, ringrazia e specifica di non essere dura, ma determinata: «Non si può fare il mio lavoro senza essere determinate, solo che se una donna è determinata, è dura; se un uomo è determinato, va bene». 

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Foto da Fondazione Marisa Bellisario

Manager dell’anno

Nel 1986 la rivista Class la elegge Manager dellanno e lei diventa figura iconica di un’Italia in tumultuosa trasformazione e un modello aspirazionale per tante ragazze che, specchiandosi in quella donna così potente e garbata, cominciano a immaginare per sé futuri più grandi. Del resto, lei non finisce mai di incoraggiarle. Nel 1984, entra nella Commissione Nazionale per la Parità tra uomo e donna, nella sezione Nuove Tecnologie, da dove invita le ragazze a studiare le materie economiche, ad appassionarsi alla tecnologia, a innovare: «La tecnologia è il migliore alleato che una donna abbia mai avuto», dice, puntellando un impegno molto fattivo a favore della parità di genere e dell’imprenditoria femminile che porterà fino in fondo, fino alla sua prematura scomparsa, a 53 anni per una malattia senza cura. 

Ha dato fiducia a tante giovani donne

Oggi quel suo dire che una donna può farcela, a patto che lo voglia e creda in se stessa pare un lascito ingenuo, alla luce delle tante disparità di genere ancora tutte da sanare, ma è certo che la sua avventura di pioniera ha dato fiducia a milioni di giovani donne.  

Ma, forse, in fondo in fondo era consapevole anche lei che una donna doveva fare il doppio per avere la metà, e lo ammetteva: «Per una donna esiste il problema della credibilità, bisogna dimostrare che si è brave. Alla donna manca il diritto alla mediocrità, si arriva ad occupare posti importanti solo se si è bravissime. Quando ci saranno anche le mediocri, come avviene per gli uomini, vorrà dire che esiste la parità». Oggi la Fondazione che porta il suo nome punta a valorizzare i talenti delle donne, anche attraverso i premi annuali riconosciuti a donne di eccellenza nella professione e ad aziende che si impegnano per la parità di genere. 

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Foto: Wikipedia

Sicura di sé e della sua femminilità

Di Marisa Bellisario piaceva alla gente il carisma naturale, la limpidezza, anche quel vestire femminile, aggraziato, vanitoso e i capelli dal taglio impertinente, niente che somigliasse a ciò che ci si attendeva da una donna che abitava il mondo degli uomini, un mondo che chiamava le donne di successo come lei donne con i baffi. Era sicura di sé e della sua femminilità: per lei l’abito da indossare sul lavoro rappresentava ciò che si era autenticamente, non ciò che si doveva essere o che gli altri si aspettavano. «Non si può pensare di costruirsi un’immagine diversa da ciò che si è», diceva, come a sostenere che è inutile trasformarsi, fuori e dentro, in nome del potere e, forse, che il potere gratifica per davvero solo se, incarnandolo, permette di essere fino in fondo se stesse.