“Pensiamo di lasciare Firenze”: baby gang, le parole dei genitori di un ragazzo aggredito
Le ferite che non si rimarginano: il racconto di cosa accadde a un giovane che fu rapinato con il coltello in una via centrale della città nell’ottobre 2024. “Da quel giorno è cambiato, questi episodi mettono a dura prova le famiglie”

Firenze, 19 aprile 2025 – Lorenzo (nome fittizio), 18 anni, stava rincasando in una mezzanotte ottobrina. Mentre girava la chiave nella toppa, ha sentito qualcosa di gelido alla gola. “Dammi il telefono, sboccalo, metti la password”.
Non gli ci è voluto molto a realizzare: era la rapina di una baby gang. Un ragazzo dall’accento straniero gli teneva un coltello alla gola, un altro gli sfilava il portafogli di tasca e altri tre piantonavano la strada.
Via Baracca, non un vicoletto buio. Non ha opposto resistenza, memore di un collega del padre, che proprio lì reagì a un’aggressione simile e si è trovò accoltellato cinque volte all’addome.
E così, Lorenzo si è salvato. “È corso subito al nostro locale e abbiamo chiamato il 112” raccontano i genitori, la cui vita è stata travolta dopo quella notte maledetta. Oggi hanno scelto di parlare per raccontare le ferite, quelle dell’anima, che episodi del genere possono lasciare.
“Due mesi dopo i carabinieri vanno a perquisire il centro d’accoglienza e loro stessi sono stati aggrediti. Per fortuna sono riusciti ad arrestarli, ora sono in carcere. Hanno trovato una serie di telefoni rubati, non quello di mio figlio, ma c’erano i documenti. Poi è emerso che, neanche maggiorenni, avevano un già un fascicolo alto così”.
Come sta vostro figlio a sei mesi da quella notte?
“È guardingo: prima usciva tranquillamente, ora guarda sempre da un lato all’altro della strada. E non esce più da solo, vuole sempre almeno un amico accanto”.
E voi, come genitori?
“Quando va a giro la sera non siamo tranquilli – il padre –. E stai continuamente a parlare e riflette sulle persone che vede per strada. Saranno pericolosi? Anche perché poi gli hanno forzato quattro volte l’auto…”.
“Quando ha ripreso a uscire lo chiamavo di continuo: dove sei? Che fai? Torna presto, non ti fermare – prosegue la madre –. Era diventato uno stress al punto che lui mi disse ‘mamma ora basta perché così non mi fai più vivere’. Quindi ho dovuto gestire anche me stessa: non volevo trasferirgli l’ansia”.
Avete dovuto ’rivedere’ il vostro ruolo quindi?
“Non sono più la mamma serena di prima: sono sempre a guardare dov’è sull’app del telefono, se non mi torna qualcosa lo chiamo. In più mi sto guardando anch’io molto più intorno. E l’essere più attenta mi fa vedere cose brutte”.
Che messaggio dareste a un altro genitore che si trovi a vivere quest’esperienza?
“Bisogna parlare con il ragazzo per cercare di tranquillizzarlo, facendogli capire che purtroppo in questo mondo bisogna stare attenti: non si può guardare il telefono mentre si cammina per la strada, bisogna guardare chi ci sta intorno. Si era accorto che c’erano questi cinque, ma è andato verso di loro senza temere. Se fosse stato guardingo, avrebbe fatto retromarcia e sarebbe tornato verso il nostro locale”
Che sentimenti provate?
“Siamo sempre stati una famiglia inclusiva, lavoriamo da una vita con tante persone di nazionalità diversa, siamo contro ogni discriminazione. Però è pesante questa storia e il rischio è che sviluppi una sorta di avversione interiore”.
In che senso?
“Mi ha fatto vedere un video sull’organizzazione che a Milano si facendo giustizia da sola contro i ‘maranza’ – risponde la mamma –. ‘Fanno proprio bene’, mi ha detto. Mio figlio cresce già con una repulsione verso l’altro e a me questa cosa dispiace. Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Ci stiamo lavorando sopra, però è ovvio, lui nel suo piccolo è quello che ha vissuto”.
C’è una via d’uscita?
“Io sono del Nord, ma Firenze l’amo tantissimo, ci abito da trent’anni – continua è la mamma – Però se rimane così non è più vivibile: le istituzioni non stanno facendo quello che devono. Stiamo meditando di andare via”.