Le dinastie che stanno (dis)facendo l’Italia

Dagli scontri fra gli eredi dell’Avvocato a quelli nell’impero di Leonardo Del Vecchio. Dalle faide della famiglia De Benedetti agli interessi dei Benetton che vengono prima di tutto, anche della tragedia del Ponte Morandi. Mario Giordano ha ricostruito nel suo nuovo libro le vicende - e le miserie - di quattro «dinastie» italiane.Pensate alla torbida faida di casa Agnelli: madri contro figli, figli contro madri, mamma Margherita che accusa il figlio Jaki di evasione, il figlio Jaki che accusa mamma Margherita di maltrattamenti, una danza cinica e spietata attorno all’eredità, quadri spariti, tesori nei paradisi fiscali, gioielli preziosi che sfuggono all’erario, compresi un paio di orecchini che da soli valgono 78 milioni di euro (si capisce: se uno eredita un paio di orecchini da 78 milioni di euro, qual è la prima cosa che pensa? Come non pagare le tasse...). E tutto questo sfoggio di avidità mentre le fabbriche italiane della ex Fiat si spengono lasciando gli operai in mezzo alla strada.Oppure pensate ai Del Vecchio: da tre anni non riescono a mettersi d’accordo sull’eredità del vecchio Leonardo. E si detestano a tal punto che, secondo le inchieste, uno di loro avrebbe fatto ricorso agli spioni illegali per controllare i fratelli (con corredo di polpette avvelenate e membri della famiglia accusati ingiustamente di frequentare criminali sessuali). Oppure pensate ai De Benedetti con padre e figli che si scontrano fra di loro all’arma bianca in una specie di guerra dei Roses della carta stampata, che nel frattempo è diventata carta straccia. Oppure pensate ai Benetton, alla famiglia che insegnava al mondo etica e solidarietà, ed è precipitata nell’infamia, con quelle feste a Cortina celebrate senza ritegno dopo la tragedia del ponte Morandi, mangiando e bevendo su 43 cadaveri ancora caldi. Pensate a loro che, come dicono i manager nelle telefonate che stanno agli atti dell’inchiesta: «Non capiscono un cazzo, sono indegni, vogliono solo i soldi. E pensano ai cazzi loro».Pensate a tutto questo e siete entrati dentro Dynasty: il libro che racconta il crollo delle nostre élite economiche. Un viaggio tra ori e orrori, fra parenti e serpenti, il dietro le quinte dei poteri marci (copyright Dagospia). La prima inchiesta sul disfacimento delle grandi famiglie del capitalismo italiano. Negli anni Ottanta, quando ho iniziato questo mestiere, quelle famiglie erano al massimo del loro splendore: si celebrava allora l’epopea dell’Avvocato, dell’Ingegnere, delCavaliere e del Contadino, con copertine patinate e interi filoni editoriali a loro dedicati, a cominciare dal libro simbolo di quella stagione Dinastie di Enzo Biagi. Li chiamavano i condottieri. Ma dove ci hanno condotto questi condottieri? Fateci caso: oggi quelle dinastie si stanno sgretolando davanti ai nostri occhi. Nel momento del passaggio generazionale, se si esclude il caso del Cavaliere (ed è un paradosso: in vita è stato il più attaccato sul piano morale e personale ma è stato l’unico in grado di gestire senza scandalo l’eredità), tutte le altre casate delle nobiltà economica italiana sono precipitate in un abisso di liti e vizi, ripicche e colpi bassi, pubbliche vergogne e private avidità, che hanno devastato la loro storia e il nostro Paese.Tramonto al caviale Sono ancora tutti ricchissimi. Ma non è più una ricchezza che rende prospero il Paese, che lo aiuta a crescere, a diventare grande. Al contrario: è una ricchezza che si accumula sulle macerie dell’Italia, sulle fabbriche in crisi, sui negozi in dismissione, sugli operai in cassa integrazione. La produzione di auto dell’ex Fiat è scesa ai livelli del 1956. Le rivendite Benetton muoiono una dopo l’altra. Dell’impero De Benedetti sono rimaste solo le cliniche e poco altro. Le famiglie che dovevano far volare il Paese hanno fatto volare solo le loro liti e le loro vergogne. I loro guadagni e gli yacht alle Cayman. L’unico gruppo che continua a crescere è quello targato Del Vecchio. Ma solo perché è gestito dai manager mentregli eredi da tre anni spendono tutte le energie a farsi la guerra tra di loro senza aver ancora accettato l’eredità.L’Italia è sul viale del tramonto, loro sul caviale del tramonto. Non sono mai stati così pieni di soldi e così poveri di dignità. Ed è terribile che questo degrado morale venga messo tutto in piazza. La piccineria esibita, spiattellata in pubblico, nei tribunali, sui giornali. Padri e nonni dei rampolli d’oro avevano vizi, ma per lo meno non li esibivano così. L’avvocato Agnelli riusciva a tenere gli scandali sotto silenzio, invece dei festini coca&trans di Lapo si sa ogni dettaglio così come delle liti fra Margherita e Jaki. Quando Leonardo Del Vecchio è diventato il primo contribuente italiano nessuno sapeva chi fosse: era così sconosciuto che alla Rai sbagliarono il nome. Suo figlio Leonardo Maria, invece, non ha ancora combinato nulla ma è tutti i giorni sui giornali con il suo shopping compulsivo che l’ha portato negli ultim

Mar 12, 2025 - 19:00
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Le dinastie che stanno (dis)facendo l’Italia


Dagli scontri fra gli eredi dell’Avvocato a quelli nell’impero di Leonardo Del Vecchio. Dalle faide della famiglia De Benedetti agli interessi dei Benetton che vengono prima di tutto, anche della tragedia del Ponte Morandi. Mario Giordano ha ricostruito nel suo nuovo libro le vicende - e le miserie - di quattro «dinastie» italiane.

Pensate alla torbida faida di casa Agnelli: madri contro figli, figli contro madri, mamma Margherita che accusa il figlio Jaki di evasione, il figlio Jaki che accusa mamma Margherita di maltrattamenti, una danza cinica e spietata attorno all’eredità, quadri spariti, tesori nei paradisi fiscali, gioielli preziosi che sfuggono all’erario, compresi un paio di orecchini che da soli valgono 78 milioni di euro (si capisce: se uno eredita un paio di orecchini da 78 milioni di euro, qual è la prima cosa che pensa? Come non pagare le tasse...). E tutto questo sfoggio di avidità mentre le fabbriche italiane della ex Fiat si spengono lasciando gli operai in mezzo alla strada.

Oppure pensate ai Del Vecchio: da tre anni non riescono a mettersi d’accordo sull’eredità del vecchio Leonardo. E si detestano a tal punto che, secondo le inchieste, uno di loro avrebbe fatto ricorso agli spioni illegali per controllare i fratelli (con corredo di polpette avvelenate e membri della famiglia accusati ingiustamente di frequentare criminali sessuali). Oppure pensate ai De Benedetti con padre e figli che si scontrano fra di loro all’arma bianca in una specie di guerra dei Roses della carta stampata, che nel frattempo è diventata carta straccia. Oppure pensate ai Benetton, alla famiglia che insegnava al mondo etica e solidarietà, ed è precipitata nell’infamia, con quelle feste a Cortina celebrate senza ritegno dopo la tragedia del ponte Morandi, mangiando e bevendo su 43 cadaveri ancora caldi. Pensate a loro che, come dicono i manager nelle telefonate che stanno agli atti dell’inchiesta: «Non capiscono un cazzo, sono indegni, vogliono solo i soldi. E pensano ai cazzi loro».

Pensate a tutto questo e siete entrati dentro Dynasty: il libro che racconta il crollo delle nostre élite economiche. Un viaggio tra ori e orrori, fra parenti e serpenti, il dietro le quinte dei poteri marci (copyright Dagospia). La prima inchiesta sul disfacimento delle grandi famiglie del capitalismo italiano.


Negli anni Ottanta, quando ho iniziato questo mestiere, quelle famiglie erano al massimo del loro splendore: si celebrava allora l’epopea dell’Avvocato, dell’Ingegnere, delCavaliere e del Contadino, con copertine patinate e interi filoni editoriali a loro dedicati, a cominciare dal libro simbolo di quella stagione Dinastie di Enzo Biagi. Li chiamavano i condottieri. Ma dove ci hanno condotto questi condottieri? Fateci caso: oggi quelle dinastie si stanno sgretolando davanti ai nostri occhi.

Nel momento del passaggio generazionale, se si esclude il caso del Cavaliere (ed è un paradosso: in vita è stato il più attaccato sul piano morale e personale ma è stato l’unico in grado di gestire senza scandalo l’eredità), tutte le altre casate delle nobiltà economica italiana sono precipitate in un abisso di liti e vizi, ripicche e colpi bassi, pubbliche vergogne e private avidità, che hanno devastato la loro storia e il nostro Paese.

Tramonto al caviale

Sono ancora tutti ricchissimi. Ma non è più una ricchezza che rende prospero il Paese, che lo aiuta a crescere, a diventare grande. Al contrario: è una ricchezza che si accumula sulle macerie dell’Italia, sulle fabbriche in crisi, sui negozi in dismissione, sugli operai in cassa integrazione. La produzione di auto dell’ex Fiat è scesa ai livelli del 1956. Le rivendite Benetton muoiono una dopo l’altra. Dell’impero De Benedetti sono rimaste solo le cliniche e poco altro. Le famiglie che dovevano far volare il Paese hanno fatto volare solo le loro liti e le loro vergogne. I loro guadagni e gli yacht alle Cayman. L’unico gruppo che continua a crescere è quello targato Del Vecchio. Ma solo perché è gestito dai manager mentregli eredi da tre anni spendono tutte le energie a farsi la guerra tra di loro senza aver ancora accettato l’eredità.

L’Italia è sul viale del tramonto, loro sul caviale del tramonto. Non sono mai stati così pieni di soldi e così poveri di dignità. Ed è terribile che questo degrado morale venga messo tutto in piazza. La piccineria esibita, spiattellata in pubblico, nei tribunali, sui giornali. Padri e nonni dei rampolli d’oro avevano vizi, ma per lo meno non li esibivano così. L’avvocato Agnelli riusciva a tenere gli scandali sotto silenzio, invece dei festini coca&trans di Lapo si sa ogni dettaglio così come delle liti fra Margherita e Jaki.

Quando Leonardo Del Vecchio è diventato il primo contribuente italiano nessuno sapeva chi fosse: era così sconosciuto che alla Rai sbagliarono il nome. Suo figlio Leonardo Maria, invece, non ha ancora combinato nulla ma è tutti i giorni sui giornali con il suo shopping compulsivo che l’ha portato negli ultimi mesi a comprare di tutto, dal Twiga e Billionaire di Briatore ai ristoranti del centro di Milano, dai Bagni Franco in Versilia alla Terme di Fiuggi, dalle quote della società della famiglia di Gianluca Vacchi a quelle della società dei figli di Sergio Leone, per non dire della bibita di Fedez. E forte dei suoi cinque miliardi di patrimonio personale non disdegna red carpet, showbiz e le foto sui social con le modelle più affascinanti, salvo poi finire indagato perché avrebbe fatto spiare pure loro...

«Porte girevoli» nei vari settori

Anche i De Benedetti hanno buttato tutto in piazza. Il padre che accusa i figli di non essere capaci a fare gli editori («Azienda sconquassata e mal gestita, un bel disastro»), i figli che rispondono al padre con sdegno. E tutto a mezzo stampa. Prima l’Ingegnere lascia i suoi amati giornali agli eredi, poi cerca di riprenderseli. Perché non sa farne a meno. Perché come tutti gli squali del capitalismo familiare è troppo egocentrico per pensare a un futuro senza di sé. E così scoppiala guerra ereditaria, con fiumi di inchiostri e veleni, con i rapporti che si gelano mentre l’impero si squaglia perdendo un pezzo dopo l’altro. Che cosa rimane oggi della potenza del condottiero che negli anni Ottanta scuoteva la Borsa e l’Europa? Dentro la Cir, come si chiama la società che da sempre controlla i patrimoni di famiglia, sono rimaste solo due attività: le strutture sanitarie della Kos e la componentistica per auto della Sogefi, o quel che resta dopo le ultime cessioni. Nient’altro, a parte la cassa piena. L’Ingegnere è entrato e uscito da ogni settore industriale senza mai costruire nulla di importante. Auto, informatica, telefonia mobile, energia, alimentare. Non c’è settore in cui non si sia cimentato. E non c’è settore da cui non se ne sia andato. A volte con le ossa rotte. A volte con le tasche piene. In ogni caso lasciando ben poco all’Italia, a parte l’esibizione della sua ricchezza. Che, ovviamente, si è goduto da cittadino svizzero.

Giuseppe Turani, uno dei giornalisti che fu a lui più vicino, lo ha definito: «Il capitalista inutile». Nel 1978 a Cupertino l’Ingegnere incontrò Steve Jobs che gli propose di partecipare all’avventura di Apple ma lui rifiutò. «Che cosa vuole questo cappellone?», pensò. Preferì entrare nel Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Il suo primogenito Rodolfo, invece, ha puntato sull’energia: «Sorgenia, un caso di successo», andava in giro dicendo. Peccato che Sorgenia sotto la sua gestione abbia accumulato 1,8 miliardi di euro di debiti. Se la sono portata via le banche. «Tutta colpa di Rodolfo», si è lamentato l’Ingegnere, attaccandolo direttamente.

Con l’altro figlio, Marco, il più simile al padre, per aspetto e carattere, con la stessa passione per gli yacht, gli scontri sono stati ancora più frequenti. Da sempre. L’unico figlio con cui l’Ingegnere ha mantenuto sempre buoni rapporti è il terzo, Edoardo. Ma solo perché fa il medico in Svizzera e gli cura gli acciacchi.

«Non fatelo presidente»

E Alessandro Benetton? È il nuovo capo assoluto dell’impero di Treviso, dove ormai la fabbrica delle maglie accumula solo perdite su perdite. Un miliardo e 300 milioni bruciati in dieci anni. «Se anziché chiamarsi Benetton si chiamasse Pincopalla quell’azienda sarebbe chiusa da un pezzo», mi raccontano. Non è un segreto. Lo sanno tutti. La famiglia ha cavalcato le privatizzazioni, ha succhiato soldi dalle autostrade, e ora continua a guadagnare altre attività, le più disparate. Ma dov’è finito il genio dei maglioni? E la produzione? E l’innovazione?

Dopo la morte di Gilberto e la sgangherata uscita di scena di Luciano, comanda Alessandro: si presenta come imprenditore di successo, amante dell’eleganza e dello sport, sessantenne giovanile, padre attento, uomo da copertine chic. Ma basta sollevare un po’ la coltre patinata per scoprire un’immagine assai diversa. Agli atti dell’inchiesta della Procura di Genova ci sono le telefonate dei manager del gruppo che lo descrivono come uno «che fa solo casino», «vittima della sete di pubblicità», uno «vuole i soldi» e che non va d’accordo con il resto della famiglia. «Non fate Alessandro presidente» avrebbe detto prima di morire lo zio Gilberto ai suoi manager: così emerge da un’intercettazione inedita che viene pubblicata in Dynasty. Come inedita è l’altra intercettazione in cui i manager del gruppo si lamentano degli eredi Benetton perché, nel pieno della bufera Morandi, con 43 morti appena sepolti, hanno una grande preoccupazione: non essere costretti a cambiare palestra. Più del dolore potè lo spinning.

Tesoretti e paradisi fiscali

È evidente che il passaggio generazionale sia fallito. Questi eredi non sono all’altezza dei loro padri. E così infangano non solo il presente, mapure il passato. Non distruggono solo sé stessi, ma anche coloro che li hanno preceduti. Prendete Gianni Agnelli. Quando morì, il 24 gennaio 2003, fu celebrato come un santo. «L’Avvocato della gente», titolavano i giornali «Da oggi siamo più soli». L’editoriale su La Stampa lo definiva: «L’uomo buono» che «ha dato da mangiare a tutti». Ora, invece, anche l’Avvocato è stato gettato nella polvere. Letteralmente. Nell’ultimo libro di Jennifer Clark si associa esplicitamente l’incidente del 1952 all’uso della cocaina. E dalle inchieste saltano fuori tesoretti all’estero, fondi nei paradisi fiscali e quadri nascosti nei caveau. Tanto da far venire il dubbio: la passione dell’arte era davvero solo passione per l’arte?

Lo stesso si può dire per sua moglie, donna Marella. Quando scompare a 92 anni viene celebrata come l’ultima regina d’Italia. Anche «regina degli elfi». «Principessa regale». Ma adesso, dalle beghe giudiziarie emerge il quadro di una persona un po’ diversa. Una persona che riceveva un assegno da 600 mila euro al mese («la mia pansione», con la a, la chiamava). Una persona che pur avendo ereditato case e yacht per 101,5 milioni di euro e quadri per 63,9 milioni di euro, si lamentava: «Mi hanno ridotto in mutande». Soprattutto una persona che avrebbe evaso il fisco perché, secondo la Procura, si dichiarava residente in Svizzera mentre trascorrevabuona parte del suo tempo fra Torino e Marrakesh dove nel frattempo aveva comprato un’altra villa. Perché, come è noto, tutti quelli che sono ridotti in mutande si comprano una villa a Marrakesh...

Più che rampolli, una sciagura

È così che finiscono le dinastie. E iniziano le Dinasty. Così finiscono le storie di successi. E iniziano le storie di intrighi. Così finiscono le storie dei condottieri. E iniziano le storie degli ereditieri. Ed è questa storia, tragica e a volte comica, per lo più inedita, che oggi è necessario raccontare.Chiedendosi: si può evitare tutto ciò? Uno dei manager più importanti della recente storia italiana, che ho incontrato per scrivere questo libro, mi ha confidato che negli Stati Uniti le banche, quando un imprenditore compie 70 anni, cominciano a chiedergli i piani per la successione. In Italia, invece, il tema del passaggio generazionale è rimasto lì, addormentato, abbandonato per anni, lasciato alla singola iniziativa, ognuno faccia come crede, o come può. E troppo spesso la genialità dei grandi imprenditori fa a pugni con la necessità di prevedere il futuro. Nessuno di loro riesce a pensare l’azienda senza di sé. Sono troppo egocentrici per immaginare che un giorno non ci saranno più.

Così arrivano i rampolli e combinano disastri. Però, ecco, dev’essere chiaro che questi rampolli non sono vittime. È insopportabile infatti leggere fra le righe devote dei grandi mezzi di comunicazione, ancora inginocchiati di fronte al potere del denaro, il coro della giustificazione. «Bisogna capirli, poverini: non è facile essere figlio di genitori importanti» Ma vi pare? Non è facile nascere con cinque miliardi di patrimonio personale? Non è facile vivere da re? Avere a disposizione mezzi infiniti per studiare, viaggiare, conoscere e crescere? Davvero qualcuno pensa che nascere in casa Agnelli o Benetton sia una sfiga? E che sia meglio nascere figlio di un cassintegrato di Pomigliano d’Arco? E perché? Perché il figlio del cassintegrato non può buttare tremila euro a sera per i festini coca&trans come Lapo?

No, credetemi: nelle Dynasty non ci sono vittime. A parte gli italiani, ovviamente. n

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