Lavoro povero raddoppiato negli ultimi 10 anni, più penalizzati giovani e donne
L’ultimo dossier Acli conferma l’aumento drammatico del lavoro sottopagato, in nero o precario, che spinge milioni di occupati sotto la soglia della povertà

Roma, 30 aprile 2025 – "Un lavoro non basta". Il titolo dell’ultima ricerca Acli, Caf-Acli e Iref, alla vigilia del Primo Maggio, segna nettamente la realtà indicata dai numeri: l’aumento drammatico del cosiddetto lavoro povero, di quel lavoro sottopagato, in nero o precario che spinge milioni di lavoratori sotto la soglia della povertà.
Lavoro a basso reddito: +55% in 10 anni
Il fenomeno del lavoro a bassa retribuzione rappresenta un tema centrale nell'analisi delle disuguaglianze economiche. Secondo i ricercatori dell’Istat, circa il 7,6% dei lavoratori italiani si trova in una condizione di "povertà lavorativa", un dato in crescita rispetto al 4,9% del 2014. Questo aumento, pari al 55% in poco più di dieci anni, mette in evidenza un trend preoccupante che vede un numero crescente di persone in difficoltà economiche nonostante siano occupate. In termini relativi, circa 8,5 milioni di persone si trovano al di sotto della soglia di povertà relativa, fissata dall’Istat al 14,5% della popolazione.
Il fenomeno della povertà lavorativa, secondo le convenzioni statistiche europee calcolato su base familiare, ha un correlato intuitivo nel lavoro “a basso reddito” stimato, invece, su base individuale.
Stando ai dati Istat tra 2014 e 2023 il rischio di lavoro a basso reddito ha interessato circa un occupato su cinque, con un picco del 24,6% raggiunto nel primo anno della pandemia. Sempre secondo i dati della statistica ufficiale, c’è una correlazione evidente tra occupazioni poco retribuite e disuguaglianza dei redditi da lavoro; in altre parole, i salari bassi sono legati all’aumento delle retribuzioni dei lavoratori posti più in alto nelle posizioni aziendali.
Acli e distribuzione per fasce di reddito
La nota statistica si basa sulle informazioni relative ai redditi da lavoro maturati nell’anno fiscale 2023 e dichiarati attraverso il modello 730/2024 presso i centri di assistenza fiscali delle Acli. Questa fonte presenta caratteristiche particolari in termini di composizione interna e distribuzione dei redditi. Difatti, i cittadini che si rivolgono al Caf Acli sono per lo più lavoratori dipendenti con una forte continuità occupazionale.
Questa peculiarità influisce anche sulla distribuzione per fasce di reddito: nei dati Caf Acli si ha una sovrarappresentazione, rispetto ai dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dei redditi medi, compresi tra 20mila e 40mila euro all’anno, e una sottorappresentazione dei redditi bassi (inferiori ai 20mila euro). Nell’ottica di un’analisi sul lavoro a basso reddito, queste particolarità impongono di precisare che i dati presentati di seguito potrebbero essere sottostimati rispetto alla consistenza reale del lavoro poco pagato tra gli occupati italiani, ovvero le percentuali potrebbero essere molto più alte, anche considerati i dati Istat presentati poco prima.
Secondo i calcoli, la soglia di riferimento per individuare un lavoro a basso reddito è stata fissata al di sotto 726 euro al mese, corrispondenti a circa 8.718 euro annui, una linea di demarcazione che individua un reddito da lavoro insufficiente al sostentamento di un individuo che vive da solo.
Entrando nel merito dei dati, su un campione di 785.466 contribuenti con reddito da lavoro, il 91,6% si trova al di sopra della soglia di bassa retribuzione, mentre l'8,4% al di sotto: la bassa retribuzione è, dunque, un fenomeno che colpisce una parte ridotta ma comunque significativa del campione di lavoratrici e lavoratori che si rivolgono al Caf Acli per la dichiarazione dei redditi. Al di là di questo dato generale, come è noto, il mercato del lavoro italiano è attraversato da segmentazioni lungo le dimensioni di genere ed età. Non sorprende quindi che andando a verificare la percentuale tra uomini e donne si riscontri un rapporto superiore a 1 a 2 tra dichiaranti di genere maschile e femminile: nello specifico ha un reddito da lavoro inferiore ai 726 euro al mese l’11,6% delle dichiaranti donne a fronte del 5,3% dei dichiaranti uomini.
Giovani e donne più penalizzati
In termini anagrafici, i giovani sono i più colpiti: l'incidenza della povertà lavorativa tra i lavoratori di ventenni è quasi quattro volte maggiore rispetto ai cinquantenni. I dati evidenziano una penalizzazione netta degli under 30: i lavoratori poveri tornano ad essere una percentuale in linea con il dato generale solo tra i trenta e i quaranta anni.
Un altro dato significativo riguarda i single: la percentuale di occupati a basso reddito è dell’11,3%, quasi doppia rispetto ai coniugati (6,5%). Su questo gruppo pesa l’impossibilità di compensare la condizione individuale con le forme di solidarietà economica tra partner. Ovviamente la condizione dei single è connotata in termini generazionali.
Regioni del Sud in sofferenza
Il lavoro a bassa retribuzione è soprattutto una questione meridionale. Sono soprattutto le regioni del Sud a mostrare una quota di lavoratori che percepiscono retribuzioni sotto la soglia dei 726 euro al mese: tra la Basilicata e la Lombardia vi è una differenza di 3 a 1 in termini di probabilità di firmare un contratto a bassa retribuzione. Ci sono circa 4.000 euro di differenza tra i redditi medi da lavoro nell’Italia dei “poli”, ossia nei comuni che hanno una dotazione di servizi essenziali tale da attrarre i flussi di popolazione dalle altre aree, e i comuni interni, l’Italia dei paesi dalla quale occorre spostarsi per avere accesso a salute, educazione e mobilità. Occupazione remunerative e buoni servizi vanno, dunque, di pari passo.
L’interazione tra territorio e penalizzazioni retributive delle donne origina una differenza di 14.000 euro di reddito medio tra una lavoratrice che risiede nell’Italia “interna” e un lavoratore che vive nell’Italia “dei poli”. Per una lavoratrice donna spostarsi da un paese in città produce un guadagno di salario medio di circa 3.500 euro, pur non annullando il differenziale con i lavoratori di sesso maschile.