La fuga dei medici di famiglia: sono solo 37.260

Dal 2016 al 2024 ne sono spariti 7.176: un crollo del 16,15%. Ora arriva la riforma Al 1° gennaio 2024 i medici di medicina generale in Italia sono 37.260. Otto anni prima, nel 2016, erano 44.436: se ne sono persi per strada la bellezza di 7.176, pari a un calo del 16,15%. Un’enormità. È una discesa […] The post La fuga dei medici di famiglia: sono solo 37.260 appeared first on Key4biz.

Mag 13, 2025 - 13:52
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La fuga dei medici di famiglia: sono solo 37.260

Dal 2016 al 2024 ne sono spariti 7.176: un crollo del 16,15%. Ora arriva la riforma

Al 1° gennaio 2024 i medici di medicina generale in Italia sono 37.260. Otto anni prima, nel 2016, erano 44.436: se ne sono persi per strada la bellezza di 7.176, pari a un calo del 16,15%. Un’enormità. È una discesa costante e inesorabile, che ha svuotato ambulatori e mandato in tilt il principio stesso della medicina territoriale. Un modello che da sempre rappresenta uno dei pilastri del nostro servizio sanitario nazionale a vocazione universalistica.

E non parliamo di eccezioni: questo calo è sistematico e ha effetti diretti sulle persone, che si trovano a girare tra ambulatori a ore e sostituti temporanei, mentre chi resta in servizio deve gestire lunghe liste di pazienti che nella maggior parte dei casi superano i limiti previsti. Lo confermano i dati ufficiali del Ministero della Salute e della Sisac (Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati), che fotografano una situazione sempre più insostenibile per chi lavora e per chi ha bisogno di cure.

Medici di famiglia sempre meno: i numeri dalle regioni

Il problema non è solo ovviamente quanti medici di famiglia restano, ma quanti pazienti quelli che restano devono curare: la legge fissa un massimo di 1.500 pazienti per medico, ma questo limite viene superato sempre più spesso. I medici di famiglia nel linguaggio della burocrazia vengono definiti “a ciclo di scelta”, e sono quelli che i cittadini possono effettivamente indicare come proprio medico di base. Devono essere convenzionati con il Servizio sanitario, attivi a tempo pieno e non già al completo. Tutti gli altri – sostituti temporanei, ambulatoriali a ore, medici in pensione con proroga, anche detti “ad attività oraria” – non possono essere di aiuto nello smaltimento delle lunghe code in ambulatorio.

Che cosa prevede la riforma dei medici di famiglia

Il rapporto tra medici di famiglia e popolazione è ormai fuori controllo in molte regioni, con numeri che raccontano meglio di qualsiasi dichiarazione quanto la situazione stia peggiorando. In Lombardia c’è un medico ogni 1.794 abitanti, in Veneto uno ogni 1.782 e in Friuli Venezia Giulia uno ogni 1.716: ben oltre il limite teorico dei 1.500 assistiti per medico previsto per legge. Anche la media nazionale, ferma a 1.583, è già sopra soglia. In pratica, il sistema è costretto a funzionare in deroga permanente.

Un piccolo gruppo di regioni, poche, riesce ancora a stare sotto il famigerato tetto dei 1.500 pazienti per medico, quello che dovrebbe garantire un’assistenza decente — anche se, in alcuni casi, a pesare è una popolazione più bassa, che rende il rapporto numerico meno critico rispetto ad altre aree del Paese. In Molise, ogni medico segue in media 1.234 assistiti, in Basilicata siamo a 1.279, mentre in Sicilia la media è di 1.331: numeri che sembrano usciti da un’altra epoca, o da un sistema sanitario che funziona. Anche Umbria (1.346), Abruzzo (1.360) e perfino il Lazio (1.474) riescono, almeno sulla carta, a mantenere un rapporto sostenibile. Tutto bene? Più o meno: non basta avere un buon rapporto numerico se nel frattempo il ricambio generazionale è fermo e i medici disponibili sono sempre meno.

Secondo le stime della FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), tra il 2025 e il 2027 ben 7.345 medici di medicina generale raggiungeranno l’età pensionabile di 70 anni. E no, non è una previsione catastrofista: è un dato concreto, che si aggiunge a una carenza già strutturale di oltre 5.500 medici. Il risultato? Un sistema sanitario che rischia di collassare, con cittadini costretti a cercare un medico di famiglia come fosse un tesoro nascosto.

Nel frattempo, per tamponare l’emorragia, si tira la coperta dove si può. Un emendamento all’ultimo decreto sulla Pubblica Amministrazione consente alle Asl di tenere in servizio i medici di famiglia fino ai 73 anni, ma solo su base volontaria e fino al 31 dicembre 2026. In pratica: “sei stanco, hai lavorato tutta la vita, ti meriti la pensione… ma se vuoi restare, ci fai un favore”. È una specie di proroga d’emergenza per rallentare lo svuotamento degli ambulatori, nella speranza che nel frattempo qualcuno tra i giovani decida davvero di intraprendere questa carriera.

Un’altra soluzione, ma per nulla attraente

Tra le ipotesi più concrete al centro della riforma dei medici di famiglia, c’è quella di obbligare tutti i medici di famiglia a lavorare almeno 18 ore a settimana nelle Case di comunità. Le nuove strutture sanitarie previste dal PNRR per rafforzare l’assistenza territoriale. L’idea, sulla carta, ha senso: integrare servizi, facilitare il lavoro in equipe e rendere più accessibile la medicina di base. Ma nella pratica rischia di trasformarsi in un altro peso sulle spalle di professionisti già in affanno, spesso soli negli ambulatori, sommersi dalla burocrazia e con agende piene ben oltre il massimale.

E non è solo una questione di sostenibilità per chi già lavora. Una riforma dei medici di famiglia così, imposta senza garanzie e senza cambiare davvero le condizioni (a cominciare anche dagli stipendi), non è attrattiva per i giovani, anzi, è respingente. Chi si affaccia alla professione lo sa: entrare in questo sistema oggi vuol dire prendersi un carico che in pochi sono disposti ad accettare.

E non dimentichiamoci dei pediatri

E mentre si parla sempre (giustamente) dei medici di famiglia, pochi si accorgono che anche i pediatri di libera scelta stanno scomparendo dai territori. Forse a ingannare è il preoccupante calo demografico dell’Italia, ma anche questa colonna del nostro sistema sanitario comincia a traballare. Al 1° gennaio 2024 in Italia ce ne sono 6.484, contro i 7.719 del 2016: una perdita secca di 1.235 pediatri, pari a un calo del 15,99% in otto anni.

Considerando che ogni pediatra può seguire al massimo 800 bambini (se lavora a tempo pieno), è facile capire come questa carenza finisca per scaricarsi direttamente sulle famiglie. E quando non si trova un pediatra convenzionato disponibile, la soluzione diventa spesso il ricorso al privato, con visite a pagamento che non tutti possono permettersi e che snaturano l’idea stessa di assistenza sanitaria pubblica.

I dati si riferiscono al 2023
Fonte: Ministero della Salute, Sisac

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