Il ritorno di Frassica in tv: "Le gag nelle cabine rotte. Iniziai copiando Villaggio"
Da martedì su Raidue con “Festivallo“: i miei miti? L’Equipe 84 e i Ribelli "Presi come modello il Krantz del grande Paolo. Mi piaceva anche Andreasi".

Scanzonato, Nino Frassica lo è sempre stato. Ma stavolta più di altre. La sua prossima trasmissione, ‘Festivallo’, in onda su Raidue da martedì prossimo in seconda serata, è infatti dedicata alle più belle canzoni uscite dai 75 Festival di Sanremo. Come le è venuto in mente di realizzare un ‘Festivallo’ di cui è direttore artistico? "Mi ero sempre chiesto: se la Rai mi affidasse il Festival di Sanremo, come lo farei?", risponde Frassica al telefono da Roma. "Non me l’hanno mai chiesto, e allora l’ho fatto alla mia maniera, con la musica e una gara vera tra alcune delle 75 canzoni che hanno vinto, con personaggi dello spettacolo prestati al canto e una band dal vivo".
Qual è il suo rapporto col Festival?
"Mi è sempre piaciuta la musica, l’ho sempre seguito anche quando la tv in casa non l’avevamo. Andavo da mio zio, oppure in una bottega di alimentari che aveva l’apparecchio. Era una visione collettiva in mezzo ad amici, parenti, conoscenti, in cui si discuteva, si dibatteva, si litigava e anche si facevano molti scherzi".
Per esempio?
"Mettere degli spilli nella giacca appesa, così quando il poveretto la indossava".
Le sue canzoni preferite?
"Solo rock, niente lenti. I gruppi. Gli artisti dovevano avere i capelli lungi, sennò non andavano bene. L’Equipe 84, Celentano, i Ribelli. Eravamo molto selettivi. Poi con l’età i gusti cambiano, adesso ascolto anche i melodici".
Tra quelli da cui andava a seguire il Festival c’erano anche i suoi amati padrini?
"No, quelli erano i compari. Non avevano figli, e andavo spesso da loro. Alla domenica facevo due pasti: prima pranzavo a casa e poi da loro".
Cos’ha comprato con i primi guadagni?
"La casa, quella dove abito ancora oggi. L’avevo scelta vicino alla Rai di via Teulada, in modo da andarci a piedi. Però mi hanno fatto il dispetto: tutti i programmi che ho fatto erano alla Dear, a Cinecittà. Forse dovrei comprare un’altra casa là vicino".
I soldi fanno la felicità?
"No, però per avere la felicità ci vogliono i soldi. Non è necessario averne tantissimi: si può essere felici anche con meno".
Agli inizi ha fatto di tutto: anche presentatore di sfilate...
"Ero bravo a riempire gli spazi. Allora non è come adesso, che le modelle sfilano una dietro l’altra. Allora le modelle erano poche e, mentre si cambiavano, c’erano dei vuoti. Non era la situazione adatta per esibirmi come comico: diciamo che facevo il prolisso".
Come ha iniziato col cabaret?
"In Sicilia non usava. A Messina c’era una discoteca dove ogni tanto si esibivano i cantanti, ma comici mai. Ero andato a chiedere se poteva interessare uno spettacolo di cabaret, e mi avevano risposto no. Allora ho mandato lì sei o sette amici, uno dopo l’altro, a chiedere: ‘Fate cabaret?’. La risposta era, ovviamente, no. Dopo qualche giorno mi sono ri-presentato offrendo il mio spettacolo e mi hanno preso: ‘Ce l’hanno chiesto in tanti’".
Com’erano allora i suoi numeri?
"Copiavo da Villaggio quando faceva Krantz, scopiazzavo anche Felice Andreasi".
Tra i tanti parenti aveva anche la zia bidella della sua scuola...
"A volte non avevo molta voglia di andare a scuola, ma lì c’era la zia che mi controllava, se non andavo lo diceva a mia madre. E così ero costretto".
Lo scherzo più cattivo che ha combinato?
"Eravamo andati al bagni pubblici di Villa Mazzini io con due miei amici. Mentre loro erano lontani sono andato dal custode e li ho indicati: ‘Li vede quei due là? Li ho visti che facevano delle cose tra loro’. Il custode, che non era un genio, si è scaraventato contro di loro urlando. E loro, naturalmente, non capivano cosa volesse. Per me lo scherzo è come teatro, è una piccola piece senza pubblico o, meglio, un solo spettatore: l’autore stesso dello scherzo. È una candid camera autentica. Il Grande Fratello avrebbe potuto essere un capolavoro, un modo per scrutare, non visti, la generazione di giovani, ma i concorrenti sanno che c’è la telecamera, non sono spontanei, è tutto finto".
Un altro scherzo che ha fatto?
"Nel mio quartiere le cabine erano tutte rotte, non si trovava un telefono pubblico. Allora io entravo nella cabina, staccavo la cornetta, mi mettevo a parlare, ‘come stai... ci vediamo domani...’ e andavo avanti per dieci, quindici minuti. Le persone che mi vedevano parlare si fermavano, si mettevano in coda. In dieci minuti si formava già una bella fila, e io parlavo, parlavo, cominciavano a chiedermi per quanto ne avessi ancora. Dopo un po’ riattaccavo la cornetta e scappavo via di corsa mentre il primo della coda entrava nella cabina convinto di poter telefonare".
Ha detto che, quando va a teatro, nei primi dieci minuti vorrebbe andarsene.
"All’inizio devo entrare in un linguaggio che non è autentico, è falso. Poi mi abituo e vado avanti. È come con i film americani, siamo abituati a vederli doppiati, da attori che hanno la pronuncia perfetta, dicono frasi che non si ascoltano mai nella realtà. Chi ha mai sentito un cameriere dire: ‘Cosa desidera, signore?’ Solo nel neorealismo c’era recitazione vera, perché gli attori erano presi dalla strada. Il massimo è stato con Pasolini. Ma la recitazione era orribile, proprio perché erano dilettanti".
Ha anche dichiarato che le donne comiche non la fanno ridere.
"A me, e sottolineo a me, le donne mi fanno meno ridere degli uomini, non so perché, non è maschilismo, è un mio gusto. Ma non vale per tutte: alcune mi piacciono. È come se dovessero fare uno sforzo in più".
La vecchiaia le fa paura?
"Una paura terribile. Cerco di non pensarci. Voglio falsificare la carta di identità, voglio mentire a me stesso. Se mi chiedono quanti anni hai, rispondo cinquanta. Invecchiare è un’arte, bisogna rassegnarsi, apprezzare quello che si può ancora fare".