La seconda vita di un founder. «Oxford e poi il Venture Capital. Consiglio ai Ceo di andare piano»

Andrea Guzzoni è Sector Director di Founders Factory. Nei suoi vent'anni ha girato il mondo, dall'Africa all'Australia grazie a Rocket Internet. Nella rubrica del lunedì alla scoperto dei profili del VC abbiamo parlato anche di dazi. «Resto ottimista: manufacturing e hardware saranno centrali»

Apr 28, 2025 - 02:59
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La seconda vita di un founder. «Oxford e poi il Venture Capital. Consiglio ai Ceo di andare piano»

Tanto studio e poche certezze. Anche quando si fa impresa o Venture Capital. L’avventura nell’ecosistema tech di Andrea Guzzoni, classe 1990 di Milano, è iniziata a vent’anni, quando ha lasciato l’Italia per studiare e lavorare all’estero: «Sono 14 anni che sono attivo tra startup e Venture Capital». Dopo aver messo piede in Paesi diversi, dall’Africa agli Stati Uniti fino all’Australia e al Regno Unito, oggi Guzzoni può permettersi di guardarsi alle spalle con maggiore lucidità. Non per forza per dare consigli, ma per raccontare il suo percorso a partire dagli sbagli commessi.

«Ho fatto errori anche per mania di grandezza. C’era una continua pressione sulle metriche di crescita e sulla scalabilità. Ora so che bisogna andare più piano, senza rincorrere necessariamente il prossimo round di investimento». Una consapevolezza che nasce dal vissuto diretto, dagli alti e bassi del fare startup, con tutti i contraccolpi personali che comporta. Ce ne ha parlato nella nuova puntata del lunedì dedicata ai protagonisti dell’ecosistema Venture Capital.

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Una palestra per founder

Guzzoni ha vissuto una parentesi lavorativa in Italia ad Agordo, in provincia di Belluno, luogo che ha legato la propria storia alla società Luxottica. «L’unica azienda per cui sarei rientrato in Italia», ci ha detto da Londra dove vive con la famiglia. Ma l’approccio corporate non era per lui, che ha sempre preferito «lanciare qualcosa da zero». Ai tempi di Rocket Internet ha aprto gli uffici di Jumia in Kenya, prendendo parte all’evoluzione del primo unicorno africano, poi quotatosi a New York. «Ho poi supportato il lancio di Shopfully in Australia ed era la seconda volta che lanciavo una startup non da founder».

Con una certa esperienza nel settore ha così deciso di fondare la sua azienda, Rentuu, inizialmente pensata per il noleggio di attrezzature per eventi e conferenze. «Ho fatto tutto quello che serve per imparare cosa non fare. In sette anni ho cambiato business model tre volte e raccolto 6 milioni in tre round».

Come per molte altre storie di startup la pandemia ha significato una cesura importante: per alcune ha garantito il decollo degli affari; per chi come lui operava su eventi dal vivo è stata l’inizio di un ripensamento generale. «A inizio 2020 eravamo circa trenta persone, a marzo siamo rimasti in quattro. Ho provato a reinventare il business chiamando ogni possibile azienda di noleggio nel settore delle costruzioni in UK. Abbiamo raccolto ulteriori finanziamenti, anche easyGroup è entrato, vedendo un’opportunità».

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Errori da cui imparare

L’esperienza, seppur difficile, è diventata formativa. Tra gli errori più significativi, uno in particolare: «Mai sottovalutare il tempo necessario per far funzionare davvero le cose. Avevo aspettative non realistiche». Anche la raccolta fondi con family&friends è a suo avviso un argomento da soppesare al meglio: «Sono stati gli investimenti più difficili da digerire quando le cose non andavano bene».

Fare l’imprenditore non è da tutti, ma sarebbe superficiale (oltre che dannoso) trasmettere l’idea che soltanto i forti possono attraversare quella valle di lacrime. «Sono finito in terapia. Ne parlo apertamente perché non sono l’unico. Questo ecosistema spesso sottovaluta il carico mentale che grava sui founder. Io stesso ho lasciato Rentuu perché avevo perso il mio fuoco interiore, avendo sottovalutato quanto sia importante pagarsi adeguatamente, fare esercizio, trovare del tempo libero. Dopo 7 anni sono andato in burn-out». 

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Tornare sui banchi

Una volta fuori, Andrea ha anzitutto promesso alla famiglia più equilibrio, decidendo di imparare di nuovo: «Pensavo di sapere tutto. In realtà non sapevo niente. Se tornassi indietro, mi prenderei qualche anno in più in una corporate prima di lanciare una startup». La nuova strada scelta è quella della formazione: un Executive MBA. «A Rocket Internet ridevamo degli MBA perché pensavamo che fare impresa fosse l’unico modo per imparare davvero. Invece, quell’MBA è stata una svolta personale che mi ha permesso di entrare all’università di Oxford».

Oggi Andrea Guzzoni è Sector Director presso Founders Factory, dove gestisce due partnership focalizzate sull’Italia da Londra, con investimenti globali in ambiti che spaziano dal fintech al deeptech in ambito Venture Capital. «Siamo un fondo pre-seed, ci piace portare il first institutional ticket. Londra resta il centro del venture europeo, nonostante Brexit abbia tolto un po’ di appeal. Oggi però vedo forte volontà di collaborazione con il resto d’Europa e anche con gli Stati Uniti».

Guardando al futuro e al delicato tema dei dazi e del reshoring produttivo, Guzzoni è ottimista: «Come angel investor noto che settori come addictive manufacturing e hardware, prima considerati poco scalabili, torneranno a essere interessanti grazie alla decentralizzazione e all’efficienza produttiva. L’Intelligenza artificiale spingerà molto questo cambiamento».