Il rischio di credito è altalenante
Sempre più aziende hanno migliorato il proprio rating, facendo scendere così il rischio di credito al dato più basso da dicembre 2020. La probabilità di default (PD) ha toccato, infatti, il 5,3% a marzo 2025. Ma le imprese non finanziarie italiane non sono ancora fuori dal tunnel. Rapporti commerciali in bilico e domanda debole contribuiranno […] L'articolo Il rischio di credito è altalenante proviene da Iusletter.

Sempre più aziende hanno migliorato il proprio rating, facendo scendere così il rischio di credito al dato più basso da dicembre 2020. La probabilità di default (PD) ha toccato, infatti, il 5,3% a marzo 2025. Ma le imprese non finanziarie italiane non sono ancora fuori dal tunnel. Rapporti commerciali in bilico e domanda debole contribuiranno ad aumentare il rischio di credito percepito, soprattutto per le imprese che esportano negli Usa. E l’accelerazione data dai Fondi Pnrr potrebbe non essere sufficiente a evitare un peggioramento.
A mettere nero su bianco queste previsioni è Cerved Rating Agency, l’agenzia di rating italiana specializzata nel merito creditizio delle imprese e nella misurazione delle performance Esg.
Il contesto. La situazione internazionale è di fondamentale importanza per lo sviluppo del rischio di credito. Le politiche protezionistiche statunitensi stanno minando la fiducia di imprese e famiglie. Sul fronte geopolitico, non accennano a diminuire le tensioni in Ucraina e Medio Oriente. L’inflazione dell’area euro si sta stabilizzando, favorendo il taglio dei tassi di interesse da parte della Bce. Allo stesso tempo, il piano di investimenti per la difesa promosso dalla Commissione europea (ReArm EU), il fondo speciale tedesco per gli investimenti infrastrutturali e l’accelerazione del Pnrr possono fungere da traino per gli investimenti fissi. In questo contesto, nel corso del 2024 è aumentata la quota di aziende che hanno ottimizzato la loro posizione: il 17% delle rating actions (aggiornamenti creditizi) è stato classificato come upgrades (era all’8% l’anno precedente), ossia in miglioramento. Segno positivo anche per le conferme di rating di credito (78% contro 69%), anche grazie al minor costo del denaro e una maggior salute dei bilanci delle imprese.
Ma è prematuro per parlare di rilancio o ripresa: nei prossimi 12 mesi, ci si attende un peggioramento che potrà portare la PD media al 5,5% nello scenario ritenuto più verosimile. Parliamo, cioè, di un contesto in cui si stima che le politiche protezionistiche e le tensioni internazionali non peggioreranno e crescerà la spesa riconducibile al Piano nazionale di ripresa e resilienza.
«A marzo 2025 la probabilità di default delle imprese italiane ha raggiunto il livello più basso dal 2020», commenta Fabrizio Negri, Ceo di Cerved Rating Agency. «Le aziende italiane sono riuscite a fronteggiare con successo l’incertezza derivante da stress macroeconomici consecutivi, come le tensioni geopolitiche, il restringimento delle condizioni di finanziamento e l’andamento inflattivo. Tuttavia, nei prossimi mesi la probabilità di default potrebbe aumentare, a seguito di tensioni commerciali e una domanda debole, elementi che potrebbero colpire in particolare le imprese che esportano negli Usa».
I tre scenari. Cerved Rating Agency ha considerato diverse ipotesi, analizzando le dinamiche commerciali, le tensioni geopolitiche, l’inflazione, le politiche monetarie e fiscali. Si profilano, così, uno scenario base (ritenuto più probabile), uno scenario peggiorativo e uno ottimistico, che rappresentano evoluzioni più estreme, meno probabili ma comunque possibili
Nello scenario base, l’eventualità che le imprese chiudano i battenti sale fino a circa il 5,5% ma, pur secondo velocità diverse tra i settori produttivi, non raggiunge i livelli di dicembre 2023 (6,2%), il dato più alto degli ultimi 10 anni. In questa ipotesi, si ipotizza che i dazi statunitensi nei confronti dell’Ue si mantengano vicini al 10% per i prossimi 12 mesi. Ciò spinge molti Paesi a ripensare le proprie strategie commerciali attraverso dazi reciproci. Le imprese reindirizzano la propria produzione verso nuovi mercati con effetti destabilizzanti sul commercio mondiale e sulla fiducia di famiglie e imprese.
Tuttavia, l’impatto sull’Italia nel complesso è mitigato da una dipendenza inferiore di alcuni settori dall’export. Per esempio, il settore terziario, che rappresenta oltre il 73% dell’economia italiana subirà nel breve periodo effetti indiretti e minori.
Sul fronte degli investimenti, il Pnrr entra nella sua fase decisiva con spese pianificate per il biennio 2025-2026 pari a circa 108 miliardi di euro, con benefici in primo luogo per le imprese che operano nei settori delle infrastrutture, dei trasporti, della digitalizzazione. Mentre il piano europeo per il riarmo potrebbe attivare una spesa addizionale di oltre 800 miliardi di euro a livello europeo, tra rilassamento di vincoli fiscali da un lato, e finanziamenti agevolati per 150 miliardi dall’altro. Il che porta a effetti positivi su alcuni settori italiani quali industria pesante, logistica, digitalizzazione. A ciò si aggiunge che importanti piani di spesa pubblica in Germania (primo partner commerciale italiano) hanno effetti positivi anche sulle imprese italiane.
Per quanto riguarda i settori, l’incremento più elevato della PD tocca i comparti ciclici, di consumo e discrezionali, più esposti alla congiuntura economica e all’export verso gli Stati Uniti. Fra questi, l’automotive (la PD media passa dal 5,2% di marzo 2025 al 5,7% di marzo 2026); il tessile-abbigliamento (da 5,7% a 6,1%); i beni alimentari e bevande (da 4,6% a 4,9%) e il farmaceutico (da 4,2% a 4,5%).
Al contrario, è attesa in riduzione la PD di settori meno legati alle dinamiche del commercio internazionale, fra cui i servizi per turismo, ospitalità e ristorazione (dall’8,7% del marzo 2025 all’8% del marzo 2026); Ict (da 4,6% a 4,4%) e utilities (da 4,2% a 4%).
A livello dimensionale, le grandi imprese reggono il colpo e la probabilità di default si attesta al 3,1% a marzo 2026, mentre per le Pmi aumenta da 6,3% del 2025 a 6,6% del 2026, a causa della maggior fragilità finanziaria e competitiva.
Passando agli altri due scenari delineati dal Credit Outlook 2025, in quello peggiorativo il rischio di default medio in Italia raggiunge il 6,5%, il livello più alto mai registrato dall’Agenzia. Si tratta di un contesto in cui si prolunga la guerra commerciale globale, con dazi permanenti oltre il 20%, che causa una recessione sia negli Stati Uniti che nell’Ue. L’inasprimento del conflitto in Ucraina contribuisce inoltre a far ripartire i prezzi dell’energia, con un rialzo dell’inflazione e un irrigidimento della politica monetaria. Infine, una parziale attuazione di Pnrr e ReArm EU non supporta il recupero di fiducia di consumatori, imprese e investitori.
All’opposto, in uno scenario ottimistico la PD media invece scende al 5,1%, grazie all’abbandono della linea dura Usa sui dazi, con la firma di accordi bilaterali e dazi calmierati, e grazie alla stipula di una tregua duratura o pace tra Russia e Ucraina, con una conseguente ripresa della fiducia dei mercati e degli operatori economici, un calo dell’inflazione e dei tassi d’interesse. Oltre a un aumento della spesa Pnrr ed effetti positivi derivanti sia dal piano fiscale tedesco, sia dal ReArm EU.
L’impatto delle politiche Usa. Considerata la rilevanza dei dazi voluti da presidente statunitense Donald Trump, è stato analizzato un campione di circa 700 imprese italiane che esportano verso gli Stati Uniti, con rating emesso da Cerved Rating Agency. Si tratta di aziende che fatturano circa 90 miliardi di euro e impiegano più di 190.000 dipendenti; i settori maggiormente rappresentati sono l’industria meccanica, l’agrifood, il tessile e moda e la lavorazione dei metalli. Emerge che rispetto alle politiche protezionistiche sono particolarmente colpite le Pmi, mentre le grandi risentono meno grazie a fondamentali più solidi.
Nel complesso, questo campione, infatti, è più solido da un punto di vista finanziario rispetto alla media italiana. Questi fondamentali si traducono in una probabilità di default media (3,5%) inferiore di quasi 200 punti base rispetto al totale dell’universo Cerved Rating Agency (5,3%).
Tuttavia, secondo le stime, la PD media delle imprese esportatrici negli Usa crescerà di più della PD delle aziende italiane nel loro complesso (in termini percentuali, +6% contro +4%). L’esposizione ai dazi Usa ha effetti maggiori sulle Pmi, meno strutturate da un punto di vista patrimoniale e con margini di profitto più ridotti. Queste vedranno un aumento di rischiosità doppio (+8%, in termini percentuali) rispetto a quello registrato dalle altre Pmi (+3%). Per le imprese esportatrici di grandi dimensioni, la variazione della PD sarà invece molto vicina a quella delle restanti imprese di dimensioni simili (rispettivamente, +4%per le esportatrici e + 3% per le non esportatrici).
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