Il manifesto di Ventotene è la base della democrazia Ue. Rinnegarlo è ignobile.
Il discorso di Giorgia Meloni alla Camera, in cui ha rinnegato il manifesto di Ventotene dichiarando che “Non è la mia Europa”, è un momento inedito e preoccupante per la nostra storia repubblicana. Al di là dei tentativi di riscrittura e strumentalizzazione della Storia da parte della premier, infatti, infangare il manifesto che ha dato il via a un processo di democrazia in Europa e, di conseguenza, in Italia, è ignobile. L'articolo Il manifesto di Ventotene è la base della democrazia Ue. Rinnegarlo è ignobile. proviene da THE VISION.

Ieri pomeriggio ho avuto un momento di forte ansia: mani sudate, affanno, e la sensazione di uno svenimento imminente. Non è una situazione inedita per me, ma non mi era mai capitato a causa di un evento politico. Ora riesco a capire meglio il concetto di eco-ansia, i disagi provati da chi è in apprensione per i cambiamenti climatici e per il destino del nostro pianeta – e non solo. Nel mio caso, però, se fossimo negli Stati Uniti, o in qualche prestigiosa università, potremmo parlare di “political anxiety”, una condizione che temo essere non più breve e transitoria, ma ormai cronica, che io ho deciso di chiamare “fasciofobia”. Dopo aver ascoltato il discorso di Giorgia Meloni alla Camera, qualche meccanismo di difesa nella mia mente innescato dalla consapevolezza di trovarmi di fronte a un momento inedito per la nostra storia repubblicana mi ha fatto salire l’ansia. Sembrava una scena di M – Il figlio del secolo, la serie tv tratta dal romanzo di Antonio Scurati. Se Meloni si fosse girata guardando la telecamera, quindi noi spettatori, sussurrando “Make Italy great again” alla maniera del Duce-Marinelli, non mi sarei nemmeno stupito più di tanto.
Tutto è cominciato quando, rivolgendosi ai deputati, Meloni ha detto: “In quest’aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene. Io spero che tutte queste persone in realtà non abbiano mai letto il Manifesto di Ventotene, perché l’alternativa sarebbe francamente spaventosa”. Ha quindi letto alcuni passaggi sparsi e decontestualizzati, legati soprattutto al concetto di socialismo, proprietà privata e rivoluzione europea, chiudendo con la frase che segna una frattura insanabile all’interno dell’arco democratico del nostro Paese: “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”. Considerando che Meloni ha sempre elogiato Giorgio Almirante come suo mentore politico, visti anche i trascorsi giovanili nell’MSI, è probabile che la sua Europa sia quella missina. Ognuno ha il proprio manifesto che si merita. L’Europa ha quello di Spinelli, Rossi e Colorni; Meloni evidentemente ha quello del suo maestro Almirante, segretario di redazione della rivista La difesa della razza, dove scriveva frasi come “Il razzismo ha da essere cibo di tutti”. A noi il Manifesto di Ventotene, a lei il Manifesto della Razza.
Meloni non ha mai inneggiato a quel testo vergognoso, chiaramente, ma ha osannato chi ha contribuito a promulgarlo e ha oltraggiato i padri fondatori dell’Europa libera. Per una presidente del Consiglio è inammissibile, e per capirlo occorre ricostruire le tappe che hanno portato alla genesi e alla diffusione del manifesto. Spinelli, Rossi e Colorni si trovavano a Ventotene non in vacanza: erano al confino sull’isola insieme ad altri ottocento oppositori politici del regime fascista. Spinelli si era già fatto dieci anni di carcere dal 1928. Tra l’altro Meloni ha anche sbagliato bersaglio, considerando che Spinelli nel 1937, quattro anni prima della scrittura del manifesto, era stato espulso dal Partito Comunista d’Italia, accusato di voler minare l’ideologia bolscevica. Fu infatti tra i primi comunisti a rinnegare le politiche di Stalin e il comunismo di stampo sovietico. Durante il periodo a Ventotene veniva considerato quasi un estraneo in mezzo agli altri nemici del regime. Celeste Negarville, giornalista che sarebbe diventato il primo direttore de L’Unità del dopoguerra, nel suo diario scrisse: “La posizione di Altiero è pericolosissima: sostiene che la condizione per la rivoluzione in Europa sia l’abbattimento della dittatura staliniana”. Il Manifesto del 1941, infatti, non è un testo comunista. Socialista in senso esteso sì, e infatti i passaggi citati frettolosamente da Meloni si riallacciano a un periodo storico in cui si era in lotta contro il regime fascista, con i nazisti come alleati. Proiettare quelle logiche, come quella sulla proprietà privata, alle dinamiche del 2025 è un atto di ignoranza storica e politica.
Già a partire dal titolo originale – Progetto di manifesto per un’Europa libera e unita – si possono capire i reali intenti degli autori. Il socialismo viene abbracciato non in associazione al regime sovietico, considerato al contrario un nemico per la rivoluzione europea, ma in relazione al superamento dei nazionalismi che avevano causato due guerre mondiali nel giro di non troppi anni. Il manifesto propone quindi di unire i singoli Stati per crearne uno federale, pur mantenendo ognuno di loro la propria autonomia. Un concetto simile agli Stati Uniti d’Europa che vengono richiesti da più voci in questo periodo. Non a caso, una volta liberati, Spinelli e i suoi colleghi danno vita al Movimento Federalista Europeo. Non un partito, non una realtà italiana, bensì una visione proiettata al futuro per tutto il continente. L’iniziativa ebbe subito un grande seguito, già a partire dalla Conferenza internazionale dei federalisti europei, organizzata a Parigi nel marzo del 1945, che attirò ospiti illustri come Albert Camus e George Orwell. Sebbene si configurerà poi un’Europa delle nazioni, il Manifesto di Ventotene sarà comunque preso come testo di riferimento per dare vita a una connessione tra i popoli e a una pace che dura da ottant’anni. Nulla di scontato, considerando che parliamo di nazioni che per secoli si sono massacrate tra loro. Spinelli resterà per anni a lavorare per un’Europa unita, democratica e libera. Fu lui, nel 1984, il relatore della risoluzione sul trattato istitutivo dell’Unione Europea. Oggi, a Bruxelles, una delle due ali del Parlamento europeo si chiama ASP: Altiero Spinelli.
È probabilmente il politico italiano più influente di sempre a livello europeo; è bene che la nostra presidente del Consiglio ne prenda atto. E forse le servirebbe un ripassino per capire come quel manifesto sia stato portato fuori da Ventotene per circolare in tutta Europa. Qui entrano in gioco le “madri fondatrici” europee. Impossibilitati a lasciare l’isola, Spinelli, Rossi e Colorni consegnarono il testo a Ursula Hirschmann, moglie di Eugenio (e, anni dopo, di Altiero), Ada Rossi, moglie di Ernesto, e Gigliola e Fiorella Spinelli, sorelle di Altiero. Ada, Gigliola e Fiorella erano delle militanti antifasciste, mentre Ursula un’intellettuale ebrea tedesca. Quest’ultima tradusse in tedesco il manifesto e lo distribuì ai militanti della resistenza antinazista, mentre le tre donne italiane lo fecero battere a macchina da altre partigiane per consegnarlo clandestinamente nelle università e negli ambienti antifascisti. Ada venne scoperta dal regime e venne arrestata fino all’agosto del 1943. Ursula, nei decenni successivi alla fine della guerra, unì all’ideologia federalista una militanza femminista che portò nel 1975 alla fondazione a Bruxelles dell’associazione Femmes pour l’Europe. Un’azione all’epoca rivoluzionaria, se consideriamo che in quel periodo in Italia non c’era ancora stato il referendum per l’aborto o altre conquiste civili per le donne. La componente femminile è radicata nel manifesto non soltanto per il ruolo che hanno avuto le donne nella diffusione, ma per delineare un’Europa moderna, senza divisioni – né di nazionalità né di genere – e all’avanguardia. Tutto ciò che Meloni e altri sovranisti europei vogliono oggi smantellare.
È quindi ignobile che la nostra premier abbia infangato il manifesto che ha dato il via a un processo di democrazia in Europa e, di conseguenza, in Italia. Tra l’altro Colorni, poco dopo aver curato la redazione del testo, fu ucciso nel 1944 da una squadra di fascisti. Una di quelle che il nostro Presidente del Senato, Ignazio La Russa, in passato ha tentato di camuffare come “banda di musicisti”, come nel caso dell’attentato di via Rasella. Ciò che colpisce oggi non è tanto la consapevolezza di essere governati da un partito neofascista – questo lo sapevamo già – quanto una manifestazione inedita di “quella matrice lì”, nonostante i tentativi di nasconderla, nemmeno troppo riusciti, di questi anni. Meloni, infatti, nonostante i suoi ideali ben noti è sempre stata attenta a rimanere nel territorio del linguaggio istituzionale. Ieri invece ha fatto una “salvinata”, un gesto che ci saremmo aspettati dal leader leghista e non da chi ha fatto del camuffamento della propria natura un tratto distintivo. È dunque uscita allo scoperto come mai nessun politico aveva fatto in parlamento, rinnegando un testo sacro della nostra formazione democratica europea e italiana. È un tentativo di riscrivere la Storia strumentalizzando un testo che Meloni stessa aveva difeso nel 2016, quando per criticare Renzi, Hollande e Merkel scrisse: “Sull’Europa avevano le idee più chiare nel 1941 i firmatari del Manifesto di Ventotene, detenuti in carcere, che non questi tre premier europei nel 2016”. Dunque mentiva nove anni fa o è subdola adesso, non ci sono altre opzioni. L’unica cosa certa è che, come italiani ed europei, non possiamo lasciar passare le sue parole senza un’indignazione trasversale. Ricordandole che lei si trova lì anche grazie a quel manifesto e che, soprattutto, il vento fischia ancora.
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