Il governo si prende 4 mesi in più per completare la delega fiscale. “Taglio Irpef al ceto medio? Dipende dal contesto”
Il governo Meloni si prende quattro mesi in più – quindi fino a fine anno – per completare l’attuazione della delega fiscale ricevuta dal Parlamento nell’agosto 2023. E allunga di conseguenza fino a fine 2027 anche i termini entro cui correggere i provvedimenti già adottati, da quello sulla revisione dell’Irpef in cui c’è da sanare […] L'articolo Il governo si prende 4 mesi in più per completare la delega fiscale. “Taglio Irpef al ceto medio? Dipende dal contesto” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Il governo Meloni si prende quattro mesi in più – quindi fino a fine anno – per completare l’attuazione della delega fiscale ricevuta dal Parlamento nell’agosto 2023. E allunga di conseguenza fino a fine 2027 anche i termini entro cui correggere i provvedimenti già adottati, da quello sulla revisione dell’Irpef in cui c’è da sanare il pasticcio degli acconti da calcolare con le vecchie aliquote alla riforma della riscossione, passando per la cooperative compliance, la fiscalità internazionale e il finora fallimentare concordato preventivo biennale tra Agenzia delle Entrate e partite Iva. Sullo sfondo resta la promessa sempre rimandata di tagliare l’Irpef al ceto medio: il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dopo il consiglio dei ministri di mercoledì che ha visto anche l’approvazione del Documento di economia e finanza, ha frenato avvertendo che ogni decisione andrà “tarata rispetto al contesto generale (dazi e rischio recessione, ndr) e di possibilità legate anche alle regole europee che vedremo se saranno allentate o no”.
Tornando al disegno di legge approvato ieri, i quattro mesi in più rispetto alla scadenza originaria di agosto 2025 serviranno per finire il lavoro su regolamenti e decreti necessari per mettere a terra i provvedimenti già adottati. Difficile invece che si possano affrontare tutti i punti della delega rimasti lettera morta: dalla riforma dell’Iva con “razionalizzazione del numero e della misura delle aliquote” al “superamento dell’Irap” da sostituire con una “sovrimposta” sul modello dell’Ires, ma anche il superamento della distinzione tra i redditi di capitale – ovvero dividendi da partecipazioni e interessi – e i “redditi diversi”, cioè i guadagni o le perdite che derivano dalla vendita di titoli a un valore diverso da quello di acquisto. Tutti interventi che rischierebbero di ridurre il gettito e rendere quindi necessarie coperture aggiuntive: la sola creazione di una sola categoria di redditi da capitale, stando a stime del dipartimento Finanze del Mef, metterebbe a rischio 10 miliardi di introiti annui. Oltre ad aprire larghi spazi a comportamenti elusivi. Visto che i cordoni della borsa sono stretti, pare improbabile che il governo decida di seguire la strada indicata nella delega.
Il viceministro dell’Economia con delega al fisco Maurizio Leo, che ha seguito passo passo l’attuazione, ha non a caso festeggiato la possibilità di “consolidare i risultati ottenuti e di completare gli interventi ancora in elaborazione”, senza riferimenti all’adozione di ulteriori decreti delegati. Tanto più che l’ultimo ddl dà al governo altri compiti a casa, prevedendo altri due princìpi di delega: dovrà estendere anche ai tributi delle regioni la possibilità già esistente per gli enti locali di “raggiungere un accordo sul pagamento parziale o dilazionato” – come previsto dal nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – e disciplinare ordinamento, stato giuridico e ruolo dei magistrati tributari, uniformandoli a quelli della magistratura ordinaria. Così si completerà l’iter avviato nel 2022 quando è nata la figura del “magistrato professionale tributario” ma senza disciplinare lo status giuridico di questa quinta magistratura. Ora il vuoto normativo va colmato, come spiega la relazione illustrativa, visto che sono già entrati in servizio 22 magistrati ed entro il 2029 dovrebbero prendere servizio altri 576 tra cui 146 vincitori del primo concorso ad hoc.
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