Il governo ha introdotto limiti agli PFAS nelle acque potabili, ma è una vittoria a metà
Dopo anni di denunce da parte di comunità locali, associazioni ambientaliste e scienziati, il governo ha finalmente deciso di intervenire sulla questione PFAS, le cosiddette “sostanze chimiche eterne” che contaminano le acque potabili in tutto il Paese. Il decreto legislativo approvato il 13 marzo introduce un limite alla presenza di quattro PFAS pericolosi (PFOA, PFOS, […] The post Il governo ha introdotto limiti agli PFAS nelle acque potabili, ma è una vittoria a metà appeared first on L'INDIPENDENTE.

Dopo anni di denunce da parte di comunità locali, associazioni ambientaliste e scienziati, il governo ha finalmente deciso di intervenire sulla questione PFAS, le cosiddette “sostanze chimiche eterne” che contaminano le acque potabili in tutto il Paese. Il decreto legislativo approvato il 13 marzo introduce un limite alla presenza di quattro PFAS pericolosi (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS) nelle acque potabili, fissato a 20 nanogrammi per litro. Per la prima volta, inoltre, viene regolamentato anche il TFA (Acido Trifluoroacetico), uno dei composti PFAS più diffusi e finora sfuggito a qualsiasi controllo normativo. Un passo avanti, certo, ma il provvedimento lascia ancora molte ombre: il limite imposto è ben lontano dagli standard più cautelativi adottati in altri Paesi europei e manca ancora una strategia complessiva per la dismissione di questi inquinanti dal sistema produttivo.
I PFAS (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche) sono composti chimici artificiali utilizzati dagli anni ’50 per le loro straordinarie caratteristiche di resistenza all’acqua e al calore. Li troviamo ovunque: nelle padelle antiaderenti, nei tessuti impermeabili, nei prodotti per la cura della persona, e sono praticamente indistruttibili. Accumulandosi nell’organismo, sono stati associati a gravi problemi di salute, tra cui cancro, disfunzioni del sistema endocrino e malattie cardiovascolari. In Italia, il Veneto è tristemente noto per ospitare una delle aree più contaminate al mondo da questi composti, ma il problema è diffuso in tutto il territorio nazionale.
Il decreto approvato in Cdm stabilisce che la somma di quattro PFAS (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS) non potrà superare i 20 nanogrammi per litro nelle acque potabili. Si tratta di un valore allineato alla Germania, ma decisamente superiore ai limiti adottati da Danimarca (2 ng/L) e Svezia (4 ng/L), che si basano su standard più cautelativi per la salute pubblica. Inoltre, l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) e l’Agenzia Europea per l’Ambiente ritengono inadeguato il tetto massimo di 100 ng/L imposto dall’Unione Europea per la somma di 24 PFAS, che entrerà in vigore in Italia nel 2026. Una novità importante del decreto è l’introduzione di un limite per il TFA, fissato a 10 microgrammi per litro (10.000 nanogrammi per litro). Il TFA è una delle molecole PFAS più abbondanti sul pianeta, presente in tantissime acque potabili italiane, e finora non aveva alcuna regolamentazione. Il testo prevede anche il monitoraggio di altre sostanze della classe PFAS, come le molecole ADV prodotte in Italia dalla ex Solvay di Alessandria (ora Syensqo).
Se da un lato il decreto segna un’importante presa di coscienza del problema, dall’altro mostra i suoi limiti. Innanzitutto, il governo si è mosso con scarsa coerenza: il 26 marzo, la Camera ha approvato una mozione della maggioranza che impegna l’esecutivo a intervenire sui PFAS, quando un decreto in materia era già stato varato due settimane prima. Un disordine di metodo che rischia di minare l’efficacia dell’intervento normativo. Inoltre, il provvedimento è una soluzione parziale: imporre limiti nelle acque potabili è fondamentale, ma non basta. Come rimarcano le associazioni ambientaliste, infatti, la vera soluzione sarebbe vietare la produzione e l’uso dei PFAS nell’industria, come già fatto dalla Danimarca e, dal 2026, dalla Francia per tessuti e cosmetici contenenti questi composti. Senza un bando totale, continueranno a disperdersi nell’ambiente, rendendo vani gli sforzi di regolamentazione.
Il decreto è stato trasmesso al Senato e dovrà passare al vaglio delle commissioni parlamentari competenti. Le associazioni ambientaliste, pur sottolineando il passo in avanti, chiedono al Parlamento di intraprendere un’azione ancora più incisiva. «Se è vero che il provvedimento rappresenta un risultato importante per la tutela della salute di cittadini e cittadine, è indubbio però che debba essere ancora perfezionato – ha scritto Greenpeace in un comunicato –. Le forze politiche dovranno al più presto trovare un accordo per ridurre ancora di più i limiti consentiti avvicinandoli all’unica soglia sicura, lo zero tecnico. È fondamentale che si arrivi al più presto a una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS!». Proprio Greenpeace, conducendo tra il settembre e l’ottobre 2024 un’indagine chiamata “Acqua e veleni”, ha recentemente attestato come, in Italia, il 79% dell’acqua potabile è contaminato da PFAS. I numeri descrivono uno spaccato di proporzioni preoccupanti: dei 260 campioni raccolti in 235 città di tutte le regioni e province autonome, ben 206 contengono queste sostanze tossiche.
[di Stefano Baudino]
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