La storia di Dietrich Mateschitz. L’austriaco che con Red Bull ha messo le ali al mondo
Assaggiata per la prima volta nel lontano Oriente è una energy drink nota ovunque grazie anche a social e marketing. Per "colpa" della burocrazia tedesca oggi è un'azienda austriaca. «Se non c'è un mercato per il nostro prodotto, allora vorrà dire che ce lo creeremo». La nuova puntata di A lezione di fallimento di Francesca Corrado

È un pomeriggio afoso. Seduto nella hall del lussuoso Mandarin Oriental Hotel di Hong Kong, Didi afferrò la copia del Newsweek adagiata sul tavolino davanti a sé. Ne sfogliò le pagine con disattenzione. Fino a quando una classifica non destò il suo interesse, quella relativa alle aziende più ricche dell’Asia. Al vertice della classifica non c’erano noti marchi giapponesi ma un’azienda a lui sconosciuta. Taisho Pharmaceuticals, questo il nome, aveva un fatturato da capogiro. Incuriosito, Didi cercò di capire perché la Taisho Pharmaceuticals fosse tra i maggiori contribuenti giapponesi. Non sapeva ancora che di lì a qualche anno, grazie a questa fugace lettura, si troverà a capo di un impero. Un impero del valore di miliardi di dollari.

Didi, il cui nome all’anagrafe era Dietrich Mateschitz, era arrivato in Thailandia nel 1982, all’età di 38 anni. Era nato il 20 maggio del 1944, sotto il segno zodiacale del Toro, nel piccolo villaggio austriaco di Sankt Marein in Mürztal. Il padre abbandonò presto la famiglia e il piccolo Didi crebbe con la giovane madre Auguste. Dopo essersi diplomato si trasferì a Vienna per studiare Economia con indirizzo in Marketing. Si laureò in 10 anni. Non uno studente modello. Il suo futuro lavorativo, appena laureato, era ancora incerto. Iniziò come venditore per Jacobs Kaffee, azienda del settore caffè acquisita da Kraft. In seguito assunse un ruolo nel marketing per la divisione internazionale della filiale Unilever Blendaxper, dal 1987 parte del gruppo Procter & Gamble. Guadagnava molto, ma non era troppo contento di quella vita vissuta tra stanze d’albergo e sale d’attesa degli aeroporti. Sempre sotto la costante pressione di scadenze e obiettivi economici da rispettare. Sarà forse questa insoddisfazione di fondo che lo porterà a prestare particolare attenzione a quella notizia a cui molti avrebbero dedicato uno sguardo appena.
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Lipovitan D, il precursore degli energy drink moderni
Taisho Pharmaceuticals è una azienda giapponese, nata nel 1912, specializzata nella prevenzione delle malattie attraverso farmaci da banco. Ma il suo successo lo deve a una bevanda energizzante, la Lipovitan D. È il 1962 quando sugli scaffali delle farmacie giapponesi comparve un tonico dal colore giallo fluorescente. Era a base di erbe e venduto in bottiglie delle dimensioni di un minibar. Il fluido era simile a uno sciroppo per la tosse per via dell’odore e della sua vischiosità. Conteneva taurina.
La taurina era una sostanza che i medici giapponesi, durante la Seconda Guerra Mondiale, somministravano ai piloti per migliorare la loro vista e la concentrazione mentale. Lipovitan D era apprezzato anche per la sua capacità di aumentare la resistenza fisica. Queste qualità resero il prodotto popolare tra i lavoratori – camionisti ed autisti- che percorrevano lunghe distanze. E tra gli operai affaticati dal lavoro in fabbrica.
La bevanda in poco tempo varcò i confini nazionali. Non per scelta strategica dell’azienda farmaceutica ma grazie ai nipponici che lavoravano a Bangkok. Portarono con sè la bevanda in Thailandia, conquistando da subito gli operai locali. Venuto a conoscenza della bevanda, il chimico Chaleo Yoovidhya ne migliorò la formula rendendola più dolce. Il suo nome era Krating Daeng, tradotto in inglese: Red Bull. L’energy drink aveva un logo caratteristico, 2 rossi bisonti a testa bassa, uno di fronte all’altro pronti a caricare. E un pubblico specifico. La maggiore consumatrice della bevanda era la classe operaia, grande appassionata di muay thai, la boxe thailandese. Pertanto, la scelta di sponsorizzare gli eventi di muay thai per promuovere la bevanda fu una scelta strategia quasi naturale. Molto popolari in Asia, Lipovitan D e Krating Daeng, erano sconosciuti nel resto del mondo. Almeno fino ad allora.
Il “Toro Rosso” thailandese che ha dato le ali a un impero
È durante un altro viaggio, questa volta in Thailandia, che Didi spossato dagli effetti del jet lag assaggia la Krating Daeng e ne rimane folgorato. Al ritorno dal viaggio in Asia, Didi era ossessionato da un settore che all’epoca non aveva ancora un nome specifico, quello degli energy drink. Iniziò a testare tutti i prodotti energetici disponibili sul mercato. Organizzò anche degli energy drink party nei quali domandava alle persone che cosa ne pensassero delle bevande e quale effettivamente potesse ritenersi la migliore. La Krating Daeng aveva un qualcosa in più.
Un viaggio d’affari portò Mateschitz da un partner thailandese del gruppo Unilever, l’azienda T.C. Pharmaceutical Industries Ltd, di proprietà del chimico C. Yoovidhya ideatore della Krating Daeng. Didi lo convince a credere nel potenziale della bevanda al di fuori della Thailandia, rivelando la sua visione. «Sono più un visionario e un uomo di marketing», diceva sempre Mateschitz.
Credeva che potesse diventare qualcosa di molto più grande di un liquido in bottiglia. Red Bull sarebbe stato uno stile di vita. Grazie alla sua passione e perseveranza, nel 1984 i due diventeranno soci al 49% ciascuno formando la joint venture Red Bull Trading GmbH. Il restante 2 % delle azioni è andato al figlio di Yoovidhya, Chalerm.
«Non c’è un mercato per il nostro prodotto? Allora vorrà dire che ce lo creeremo»
Ripercorrere la storia di un successo ponendo attenzione agli ostacoli lungo il percorso, rende evidente quanto visione, perseveranza e accettazione del rischio siano essenziali, ma non sufficienti, per raggiungere gli obiettivi. I primi tre anni sono stati, secondo lo stesso Didi, i più difficili della sua vita.
La storia di Red Bull rischiò di essere molto breve a causa dei numerosi ostacoli incontrati sin dall’inizio. Come sappiamo, il percorso di un’impresa nascente è spesso irto di difficoltà, soprattutto quando ci si avventura in territori inesplorati. Ancora di più quando nessuno sente il bisogno di quello che offri e non esiste un mercato pronto ad accoglierti. «Se non c’è un mercato per il nostro prodotto, allora vorrà dire che ce lo creeremo», erano le parole di Mister Red Bull. La strategia Oceano Blu era solo agli inizi. Negli oceani blu, la domanda viene creata piuttosto che combattuta.
Didi, a 41 anni, lascia il suo lavoro di capo marketing per dedicarsi alla sua ossessione imprenditoriale. Aveva risparmiato 500mila euro che utilizzò per realizzare un diverso prodotto e un nuovo mercato. Ma non poteva più contare sulle ricche entrate a cui era abituato, all’opposto doveva affrontare una serie di spese, anche impreviste, e di ostacoli dovuti a un mercato inesistente. Era cresciuto con l’idea che «una persona perbene non ha debiti», per cui era riluttante a chiedere prestiti.
«Non funzionerà»
Alla fine degli anni Ottanta la CE, la Comunità Europea, stava diventando sempre più influente. Le regole di sicurezza non erano le stesse tra Thailandia ed Europa, per questo motivo la ricetta originale della Krating Daeng non poteva essere utilizzata. I primi test in laboratori erano finalizzati a rendere legale la bevanda. Il secondo ostacolo da superare: adattare la ricetta al gusto occidentale. Pare sia stato lo stesso Didi, dopo numerosi tentativi ed errori a trovare la formula vincente. Meno dolce rispetto all’originale e gassata per conferire una sensazione frizzante e rinfrescante.
Didi modificò anche il segmento di clienti ideali. La bevanda era destinata a giovani uomini dai 18 ai 34 anni che erano appassionati di sport estremi come lui. «La maggior parte dei campioni nazionali austriaci di quei tempi erano miei amici personali e trascorrevamo tutto il nostro tempo libero andando in mountain bike, facendo windsurf, snowboard», dirà in seguito. Si racconta che la presentazione di Red Bull all’Università di Economia di Vienna, alla presenza di alcuni noti giornalisti economici, non suscitò l’entusiasmo sperato. Gli esperti erano d’accordo: «Non funzionerà».
I problemi non finiscono mai
Didi era residente in Germania. La prima sede della Red Bull era a Wiesbaden, città dell’Assia, nel distretto tedesco di Darmstadt. Le autorità tedesche ostacolarono da subito la nuova iniziativa imprenditoriale. Erano spaventate dal rischio di una possibile dipendenza, a causa del contenuto eccessivo di caffeina e taurina. Suggerirono a Red Bull di inserire il nuovo prodotto nella categoria bevanda di lusso. Una categoria che avrebbe portato a un sensibile innalzamento dei contributi da versare allo Stato tedesco. Inoltre, l’entrata nel mercato sarebbe avvenuta in tempi notevolmente più lunghi.
Per lo Stato tedesco, il prodotto avrebbe potuto funzionare ma a caro prezzo. Grazie alla burocrazia tedesca che Red Bull è oggi un’azienda austriaca. Siamo alla fine del 1986, e la nuova bevanda rischia di non vedere la luce. Sull’orlo del fallimento, Didi decide di spostarsi in Austria. A Salisburgo prima, poi a Fuchsl am See, un piccolissimo paesino di soli 1.400 abitanti. Sperava in un minore burocratizzazione e nella possibilità di inserire il nuovo prodotto in una nuova categoria, quella degli energy drink.
Anche la scelta del packaging si rivelò ardua: gli imbottigliatori austriaci erano restii ad entrare in affari con lui. Solo Roman Rauch, produttore di soft drink, credette nel progetto, «Non davo molte chance al prodotto, ma Mateschitz era determinato e aveva ben chiaro il suo progetto», ricorda Rauch. L’accordo fu firmato con una stretta di mano. È allora che nacque la distintiva lattina blu e argento.
Red Bull ti mette le aaaaali
Taisho Pharmaceutical era il maggior contribuente del Giappone grazie anche agli incredibili margini di profitto. Essendo Red Bull l’apripista del settore energy drink, avrebbe dovuto dominare il mercato posizionandosi come un prodotto di fascia alta nel segmento di prezzo più alto. Un prezzo giustificato dal fatto che Didi vendeva uno stile di vita. La pubblicità divenne una priorità. Scelse di affidarsi alla creatività del suo ex compagno di studi Johannes Kastner, dell’agenzia pubblicitaria Kastner & Partner. «Sapevo che Kastner era un ragazzo in gamba. È un perfezionista come me. Come squadra, siamo quindi imbattibili». C’era però un problema. Didi non aveva i soldi per pagarlo. Gli propone quindi di collaborare per 18 mesi gratis per la sua agenzia. Kastner non sa che saranno i mesi più difficili della sua vita.
Per un anno e mezzo Kastner fa una proposta dopo l’altra. Alla cinquantesima idea scartata, Kastner molla il progetto. «Dobbiamo separarci per rimanere amici», avrebbe detto. L’idea geniale arriverà qualche tempo dopo nel cuore della notte. Red Bull gives you wings. Kastner sveglia Mateschitz al telefono. Didi risponde con un semplice «va bene».
Lo slogan Red Bull ti mette le aaaaali e la campagna di accompagnamento con gli spot a fumetti freschi e irriverenti ne decreteranno il successo. Ma è ancora presto per scongiurare la crisi. La gente non apprezzava la nuova bevanda. E anche le banche stavano per voltargli le spalle. La conclusione della storia è nota. Nella prossima puntata racconteremo come la strategia Blue Ocean e lo Storydoing evitarono che un successo in potenza si trasformasse in un sonoro tracollo.