Il congresso del Ppe. Tajani riconfermato vice: "Il Green Deal un disastro"
Il leader di FI critica il piano della Commissione: sosteniamo l’economia reale. Poi saluta l’arrivo di Merz: "Condividiamo interessi e obiettivi industriali".

È il gran giorno di Antonio Tajani, riconfermato vicepresidente del Ppe con un diluvio di voti: 438. Meglio è andato solo il premier finlandese Petteri Orpo. La festa però è un po’ sfregiata dal duro battibecco sul Green Deal che contrappone il vicepremier azzurro e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, anche lei nella Feria di Valencia per il congresso dei popolari. Il Green Deal è la bestia nera non solo dell’ala italiana del Ppe, FI, ma dell’intera destra oggi maggioritaria nell’Unione. E Tajani affonda il coltello: "Serve una politica industriale forte, serve sostenere l’economia reale, serve una nuova stagione dopo il disastro del Green Deal" che non rappresenta "una lotta al cambiamento climatico, ma un attacco all’agricoltura e all’industria". Insiste: "Va fermata la decisione di passare dal 2035 solo all’auto elettrica". Ironizza: "Abbiamo già una religione: siamo cristiani".
La presidente, piccata non foss’altro perché l’odiato Deal è parto del suo primo mandato, al termine del discorso applaude ma poi fa rispondere agli attacchi (martedì anche il neocancelliere tedesco Friedrich Merz era stato durissimo) la sua portavoce a Bruxelles in conferenza stampa: un modo per puntualizzare che una cosa è il Ppe, un’altra la Commissione. Paula Pinho non solo rilancia "il pieno sostegno" di Ursula al Patto Verde, ma osserva come "non si tratti più di un progetto della Commissione, essendo stato approvato dagli Stati". Della serie: l’avete votato tutti. E ribadisce che "l’obiettivo reale è assicurarsi che le proposte siano attuate, anche se fossero necessari degli aggiustamenti". Come è successo con il rinvio delle sanzioni ai produttori sulle auto inquinanti. Ce n’è abbastanza per capire che il Green Deal sarà ancora oggetto di un braccio di ferro sulle modifiche, sui tempi di attuazione, sui ridimensionamenti. Anche se gli analisti concordano nel ritenere che nel nuovo quadro internazionale con le esigenze di riarmo al primo posto quel progetto è già morto. La nuvola turba appena il successo del vicepremier che in questi giorni ha fatto blocco con Merz. "Rafforzeremo l’alleanza Italia-Germania. Siamo due paesi industriali, condividiamo interessi e obiettivi", spiega Tajani. I due concordano sul virare a destra la barra del Ppe, operazione nella quale sono da tempo impegnati il presidente del Ppe Weber e von der Leyen.
A Palazzo Chigi la conferma di Tajani e il suo peso nella gerarchia del Ppe sono accolti con non celata soddisfazione. Fin qui il gioco di sponda tra Tajani e Giorgia Meloni ha funzionato perfettamente: nell’accreditare la leader della destra inizialmente vista con sospetto, il vicepremier è stato essenziale, ora lo sarà ancora di più. Tajani inoltre svolge un ruolo fondamentale nel respingere le offensive di Salvini dicendo a voce alta quel che la premier non può dire pena l’incidente diplomatico nella maggioranza. Come è successo martedì, quando Salvini ha elogiato la decisione dell’Ungheria di lasciare la Corte penale internazionale e Tajani ha replicato secco: "Il nostro Paese non lo farà". Ancora, senza di lui sarebbe stato impossibile lo spostamento di FI a favore di Kiev sul nodo dell’Ucraina. La premier si sarebbe trovata in minoranza nella sua coalizione e sarebbe stato un guaio. Insomma, nonostante lo spostamento in area Washington di Meloni, il feeling Popolari-Conservatori e FI–FdI sembra destinato a consolidarsi. Donald Trump permettendo.