I salari italiani sono lontani dalla attese delle famiglie perché sono lo specchio del declino non solo economico del nostro Paese

E' opinione diffusa che i salari italiani siano bassi rispetto ad altri Paesi europei ma il salario non può essere una variabile indipendente ma il compenso per la ricchezza che ha contribuito a creare in un'attività imprenditoriale che opera sul libero mercato. Se l'economia non cresce, non c'è da stupirsi che anche il potere d'acquisto delle famiglie resti lontano dalle attese L'articolo I salari italiani sono lontani dalla attese delle famiglie perché sono lo specchio del declino non solo economico del nostro Paese proviene da FIRSTonline.

Mag 2, 2025 - 07:34
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I salari italiani sono lontani dalla attese delle famiglie perché sono lo specchio del declino non solo economico del nostro Paese
Salario minimo in Italia, mani con soldi
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“Inadeguati”: così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito nei giorni scorsi i salari e, più in generale, la retribuzione del lavoro, anche se, diversamente da quanto riportato dalla stampa per un disguido, non ha mai detto che i salari sono “insufficienti”. Ma inadeguati rispetto a cosa? Porsi questa domanda è tutt’altro che superfluo perché, innanzitutto si dovrebbe partire da qui.

Cos’è il salario e quando è “adeguato”

In primo luogo: cos’è, o cosa dovrebbe essere, il salario? Molti ritengono che un salario per essere adeguato dovrebbe consentire a chi lavora un tenore di vita almeno dignitoso e rientrare, di conseguenza, in una sorta di diritto civile. 

È il pensiero, questo, che deriva dalla cultura cattolica che ne considera più gli aspetti solidaristici, direi persino morali, ben più di quelli economici. Superfluo osservare che si tratta di un pensiero assai diffuso sia nella classe politica che in quella sindacale. Basti considerare come si tenti sempre con le unghie e con i denti a difendere ogni posto di lavoro, sempre e comunque sia, per avere conferma del fondamento di una simile asserzione. 

No: il salario è, o dovrebbe prioritariamente essere, il compenso per la ricchezza che ha concorso a produrre all’interno di una attività imprenditoriale che operi su un libero mercato (attività privata), o concorra a quell’attività attraverso leggi ed iniziative amministrative che la agevolino e la promuovano (attività pubblica). Solo in questo caso il salario assegna al lavoratore una quota della ricchezza aggiuntiva prodotta. In ogni altro caso il salario è finanziato in tutto o in parte col trasferimento di una ricchezza precedentemente prodotta ed assegnata ad altri, come avviene solitamente quando intervengono direttamente o indirettamente risorse pubbliche, o peggio quando queste risorse mancano e si ricorre all’indebitamento (trasferendone così il carico alle generazioni future). In entrambi i casi si produce il danno collaterale di spegnere la spinta ad un fisiologico ricambio delle iniziative produttive per far posto a quelle di volta in volta più efficienti e produttive.

I salari sono una faccia del declino italiano

Fatta questa precisazione, è conseguente la possibilità di affermare che i salari – e mi si perdoni la sintesi estrema – sono adeguati eccome: adeguati alla possibilità del sistema produttivo di sostenerli non solo e non tanto in termini monetari, ma soprattutto in termini di potere d’acquisto. Il tema così si sposta: i salari corrispondono alla ricchezza che il sistema produttivo riesce a generare, e se si considera che questa ricchezza da anni non cresce, si può serenamente affermare che allora si: sono adeguati sia in assoluto che in termini relativi a quanto invece è avvenuto ed avviene nei Paesi con i quali può avere senso confrontarci.

Non sono adeguati rispetto a quelli che avrebbero potuto essere e soprattutto rispetto ad una concezione assai diffusa secondo la quale siamo ancora un Paese dell’Europa ricca, benestante, progredita. C’è stato un tempo in cui l’Italia in quella direzione si era felicemente incamminata, ma da anni non è più così e se ne dovrebbe avere una ben maggiore consapevolezza; da anni l’evoluzione dei salari non è che una faccia di un generale declino, purtroppo non solo economico, della nostra Italia.

Quali sono le cause di questo declino è cosa fin troppo nota. La giaculatoria sul “piccolo è bello”, sui costi dell’energia, sui lacci e lacciuoli delle tante burocrazie, sull’incapacità imprenditoriale di far crescere almeno a livello europeo le pur tante imprese piccole o anche medie di successo, l’inefficienza della giustizia, l’inefficienza della scuola e della istruzione universitaria con la proliferazione di pseudo-università private che sono state messe in grado di fare concorrenza alle ben più serie università statali, e via dicendo; cose che sanno tutti, almeno da chi frequenta mezzi di informazione come questo nel quale mi state leggendo.

Quello che manca, e non dovrebbe mancare in un sistema di piena e consapevole democrazia, è il nesso logico secondo il quale tutto questo è il risultato di scelte e politiche che i vari governi hanno seguito nel corso degli ultimi decenni con il consenso degli elettori; è il risultato di voti espressi sulla base di personalismi, propaganda mediatica e chimeriche promesse; è il risultato di un regresso culturale (scuola, social) che ha portato all’annientamento dei cosiddetti corpi intermedi con la conseguenza che la maggior parte degli elettori vota per un leader (neanche per un partito) con lo stesso spirito e per motivi non più ragionati di come tifa per una squadra di calcio. 

I salari e il costo dell’energia

Un esempio e chiudiamo. Una causa di questo declino – una tra le tantissime – è l’esorbitante costo dell’energia che penalizza le nostre produzioni e taglieggia i redditi delle famiglie. Indirizzando l’occhio alla maggior parte degli altri Paesi europei, è facile vedere che l’”errore” fu quello di votare il “no” all’energia nucleare sulla base di analisi frettolose e partigiane che lasciarono spazio a chimeriche promesse ambientaliste. Ecco: una parte non piccola dell’inadeguatezza dei salari rispetto alle attese, alle speranze, alle ambizioni di chi lavora è data anche dal costo di quella scelta per il “no” al nucleare. Chi nella scheda tracciò la casella del “no” è consapevole del nesso? Se si, saremmo già a buon punto, ma la speranza ha ben scarsi appigli. 

Come per il nucleare, così è per gli altri ostacoli che nel tempo si sono stratificati per frenare il potenziale di crescita del sistema produttivo e con esso il potere di acquisto delle famiglie. La logica del sistema di mercato nel quale il nostro sistema economico è inserito non lascia spazio ad alternative. Mettiamoci pure l’animo in pace: fino a quando non si comincerà ad allentare quel freno il declino proseguirà inesorabile ed i salari saranno sempre più inadeguati rispetto alle attese dei lavoratori, ma adeguati alla realtà della condizione economica, politica e sociale della nostra Italia.