Prelati bocciati in inglese. Salvi Tagle e Pizzaballa. L’italiano croce di Aveline
Una Chiesa internazionale esige un Pontefice che sia sempre più poliglotta. Zuppi non è fluente nella lingua di Londra. E il latino diventa marginale .

Un Papa universale, un Papa capace di una leadership globale, a mo’ di team leader per una Chiesa del Terzo millennio, sia che venga da una periferia, sia dal Vecchio continente. Se questo è l’identikit che sempre più va ormai delineandosi per la scelta del futuro Pontefice, è lecito chiedersi quale lingua debba parlare il successore di Francesco. Naturalmente un Papa non può non conoscere l’italiano, la lingua del Vaticano che ha ormai di fatto soppiantato il latino riservato ai testi scritti e alle liturgie speciali come è stata proprio quella delle esequie papali e sarà quella della messa Pro eligendo pontifice che anticipa l’ingresso nella Cappella Sistina.
Ma un Conclave che guarda come mai al mondo e ai giovani, in tempi di guerre e di laceranti contrapposizioni, cerca anche un candidato in grado di comunicare il più possibile e con quante più persone possibili. Per questo scopo, l’inglese, appare oggi imprescindibile. Ed è per questo che salgono le quotazioni di cardinali papabili fluenti nella lingua di Shakespeare come il filippino Louis Antonio Tagle, in realtà ottimo comunicatore anche con i suoi accenni di ballo, i gesti come la Shaka, il saluto di origine hawaiana mutuato dai surfisti con le tre dita della mano alzate tenendo chiusi solo pollice e il mignolo, che significa ’ciao’ ma anche ’cool’ o ’grande’, e che Tagle aveva insegnato a Francesco che ai giovani non credenti inviava invece una ’buena onda’. Fluenti in inglese sono anche il cardinale Pietro Parolin (anche in francese e in spagnolo), naturalmente a motivo della sua formazione diplomatica, e il francescano Pierbattista Pizzaballa che, se è vero che distinguendosi da molti ecclesiastici che hanno prestato servizio in Terra Santa, ha studiato e conosce l’ebraico moderno, è anche vero che quotidianamente, proprio in Terra Santa, si relaziona in inglese, la lingua più usata in Medio oriente, anche dalle comunità cristiane locali. Madrelingua inglese, poi, è il cardinale maltese Mario Grech, candidato in pectore dello stesso Francesco che a lui affidò il coordinamento del Sinodo che riteneva essere la vera eredità da lasciare alla Chiesa. Un inglese fluente potrebbe essere un punto di debolezza per il presidente della Cei, il cardinale di Bologna, Matteo Zuppi che comunque, assicura il suo entourage, lo parlerebbe assieme allo spagnolo e al portoghese (parlato in Mozambico del cui Accordo di pace è stato artefice).
La mancata conoscenza dell’inglese e un italiano piuttosto stentato sarebbe un handicap infine, per il cardinale marsigliese, nato ad Algeri, Jean-Marc Aveline, che viene considerato però un possibile outsider sempre più in ascesa per il suo profilo di grande dialogatore, in particolare con le comunità islamiche. Aveline ha tenuto l’altro ieri una messa nella sua chiesa titolare di Roma, Santa Maria ai Monti, ma seppur in suolo italiano, rigorosamente in francese.