Il cardinale Zuppi: “Il Bologna? Come il Conclave. Grandi emozioni, in tutti e due i casi ha vinto la squadra”

La prima intervista dopo l’elezione di Leone XIV: ci sta chiedendo di guardare al futuro. “Francesco ci ha regalato grande affetto e nella Sistina abbiamo sentito di essere tutti uniti”

Mag 16, 2025 - 04:20
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Il cardinale Zuppi: “Il Bologna? Come il Conclave. Grandi emozioni, in tutti e due i casi ha vinto la squadra”

Bologna, 16 maggio 2025 – Quando le “finestrone” su San Pietro, in un misto di trascendenza e meraviglia, “si sono aperte” e la figura di Robert Francis Prevost s’è avvicinata per la prima volta all’orizzonte del mondo come papa Leone XIV, al cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, è venuto “un groppo in gola”. Silenzio, “sospiri, tanti”: e “che lacrimoni”. Poi la bellezza, “solo bellezza, la bellezza della Chiesa”. Don Matteo, acclamato per giorni dalle piazze e ora tornato sulla bicicletta da prete di strada, non ha paura di concedere la prima intervista dopo il Conclave in un giorno simbolico, dove sacro e profano si inseguono e sfiorano: quello della vittoria del Bologna in Coppa Italia sul Milan, non a caso evocata prima della Cappella Sistina.

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BOLOGNA. Messa di Ringraziamento per l’elezione di Papa Leone XIV celebrata dal Cardinale Matteo Maria Zuppi

Cardinale, ha visto?

“La partita no, perché sennò mi coinvolgo troppo, poi devo andare allo stadio, non sono mai andato allo stadio. Ma è stata un’emozione straordinaria. L’emozione di una comunità che si ritrova”.

Famiglie, vip e normali cittadini: è stato un esodo che spinge una città intera.

“L’emozione dei 30mila bolognesi che stavano a Roma e di tutti quanti gli altri che stavano qui ha creato tanta comunità. E dà il senso dell’unità, ma soprattutto dimostra qualcosa di fondamentale: la fedeltà”.

In che senso?

“Dopo oltre 50 anni il Bologna ha vinto: e non sono di certo scontate tanta unità, solidarietà, umiltà, capacità di attraversare le difficoltà. Mi ha colpito molto il mister Vincenzo Italiano”.

Perché?

“È chiaro che volesse vincere, la sua determinazione era netta. Ma aveva spiegato che qualunque risultato non avrebbe intaccato il senso del gruppo e la speranza. Ci ha insegnato che si vince insieme. È il tratto della speranza. E poi c’è altro: la proprietà con Joey Saputo”.

Cosa l’ha colpita?

“Il coinvolgimento discreto, senza luccichii. L’attaccamento e la riservatezza, la delicatezza dell’uomo che si fa grandezza. Non a caso è stata una festa per tante famiglie”.

Pochi, due anni fa, avrebbero scommesso sul Bologna, dalla Champions alla Coppa Italia: c’è una foto che gira, con uno striscione rossoblù e la scritta ‘Nessuno l’aveva Prevost’.

Ride: “L’ho visto, ma dietro quella scritta c’è già tanto amore. C’è la vicinanza dei bolognesi al Papa, che non a caso ci visitò per la Madonna di San Luca. E c’è altro: il calcio vissuto non solo come soldi, sport, agonismo. La fedeltà e la passione hanno liberato il calcio riducendo l’aspetto affaristico: dentro lo stadio c’era qualcosa della Bologna più vera che ha mitigato quelle derive economiche che conosciamo. E in quella gente m’è venuto in mente un volto”.

PREVOST

Chi?

“Sinisa Mihajlovic, l’allenatore del Bologna che è mancato. Anche lui ha contribuito tanto in questa esperienza: ha condiviso le sue difficoltà, ha mostrato le sue lacrime, le lacrime degli eroi e degli uomini, proprio lui che sapeva essere così duro, fiero, riservato, di poche parole. Con un gesto, con quelle lacrime, ci ha svelato l’amore della vita e per la vita, che sono poi anche il lato più vero dello sport. Le vittorie sono più belle se le condividiamo con gli altri”.

Il calcio e il Bologna come metafora.

“Il Bologna non ha un uomo solo al comando, questo è il segreto di Italiano, di Saputo e dei ragazzi. Questo è il segreto della città e della comunità. Questo è il senso della squadra ed è un’analogia che non posso non fare con le nostre vite. Funziona dappertutto così: no a uomini soli al comando, la festa sia di tutti”.

È inevitabile non trasferire un pensiero a quanto accaduto nel mistero del Conclave. Cosa le resta di quei giorni?

“Il grande affetto che papa Francesco ha regalato. Francesco ci ha lasciato la dimensione di una Chiesa vicina: ha sempre voluto manifestare alla gente, pensiamo alla benedizione Urbi et Orbi di Pasqua, pensiamo a cosa significa davvero stare in mezzo alla gente, cosa rappresenta la protezione di un bambino, cosa rappresenta una carezza”.

Anche in questo caso con un grande senso di unità?

“Francesco, il Conclave e ora papa Leone XIV ci lasciano tanto senso di responsabilità, ci indicano una strada, ci chiedono di guardare al futuro. Il Conclave ha disegnato una Chiesa che abbraccia tutti: pensate ai cardinali che venivano da luoghi diversissimi, dall’Oceania all’Africa fino alla Mongolia. Eppure questa diversità ha rivelato unità, unità forte, ha dimostrato che serve la squadra e questo è stato oggettivamente segnato dalla rapidità del Conclave. Il Conclave è futuro: e quando uno deve pensare al futuro, pensa partendo da realtà, storia, problemi e sofferenze, da che cosa vogliamo che sia la Chiesa. Tutti erano commossi nel vedere e nel sentire di essere una cosa sola”.